Il messaggio è rivoluzionario. Speriamo lo siano, anche e soprattutto, gli atti, le scelte, il coraggio.
Secondo la “legge europea sul ripristino della natura” (Natural Restoration Law) entro il primo settembre 2026 gli Stati membri devono presentare alla Commissione un progetto di “piano nazionale di ripristino della natura”.
In una società incurante degli effetti dello sviluppo economico sugli equilibri naturali e votata all’iper-sfruttamento delle risorse naturali leggere di “obiettivi e obblighi di ripristino” ci obbliga, scusate il gioco di parole, a porre un limite al nostro “consumismo di natura”.
“L’obbligo di ripristino” previsto dalla legge europea, rivoluzionario nella sua inderogabile significanza ecologica e amministrativa, si riferisce agli ecosistemi terrestri, costieri e di acqua dolce, agli ecosistemi marini, alla connettività naturale dei fiumi, agli ecosistemi agricoli, agli ecosistemi forestali, alle popolazioni di impollinatori e agli ecosistemi urbani (questi ultimi agli articoli da 4 a 12 della legge).
Distribuiti fra tutti gli ecosistemi che ho appena elencato la legge prevede all’articolo 13 un altro rivoluzionario grande “obiettivo”: la messa a dimora, entro il 2030, di tre miliardi di nuovi alberi. Mi soffermo su due “obblighi di ripristino” che mi stanno particolarmente a cuore: quello riferito agli “ecosistemi urbani” e quello di mettere a dimora nei centri urbani una parte considerevole di quei “3 miliardi di alberi”.
All’articolo 8 della legge la norma sugli “ecosistemi urbani” è chiara: “Entro il 31 dicembre 2030 gli Stati membri provvedono affinché non si registri alcuna perdita netta della superficie nazionale totale degli spazi verdi urbani e della volta arborea urbana nelle zone di ecosistemi urbani rispetto al 2024”. Si, avete capito bene: non si deve registrare alcuna perdita netta degli “spazi verdi” e delle “alberature urbane”.
La norma poi aggiunge e rilancia: “Dal 1° gennaio 2031 gli Stati membri conseguono una tendenza “all’aumento della superficie nazionale totale degli spazi verdi urbani e all’aumento della volta arborea urbana”: si realizza così quella sinergia ecologica tra l’aumento degli spazi verdi (articolo 8) e la messa a dimora negli ecosistemi urbani di parte di quei 3 miliardi di alberi (articolo 13). Tale sinergia ecologica è finalizzata a promuovere una maggiore “resilienza ai cambiamenti climatici” attraverso una misura che “aumenta la connettività ecologica basata sull’imboschimento, il rimboschimento e sull’aumento degli spazi verdi urbani”.
Leggendo tali norme europee il mio pensiero è andato, colmo di rabbia e rimpianti, a tutto quello che non si è fatto e non si sta facendo in difesa della “naturalità” degli “ecosistemi urbani” del Veneto, vittime sacrificali di alcune delle 16 deroghe della legge regionale n.14 del 6 giugno 2017 ipocritamente titolata “Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo”.
Non ha avuto seguito la mia proposta di raccogliere 40.000 firme per indire un referendum regionale per chiedere l’abrogazione di quella legge e delle sue 16 deroghe. Provo tanta amarezza nel constatare come anche fra gli ambientalisti non ci sia stato il coraggio di imbastire una vera lotta ecologista a difesa del suolo veneto. La raccolta di firme sarebbe stata occasione per dibattere fra la gente comune i dati drammatici sulla cementificazione in Veneto, sulla presenza di un enorme patrimonio immobiliare residenziale e commerciale (case vuote e negozi chiusi), produttivo (capannoni vuoti), infrastrutturale (la straderia veneta) e sulla sottaciuta “dissonanza urbanistica veneta”: paesi minori e borghi in spopolamento da un lato e congestione e gentrificazione dei centri urbani maggiori dall’altro.
Alla dispendiosa e inefficace lotta ambientalista frammentata in singoli comitati contro singole occupazioni di suolo, accompagnate spesso da pesanti tagli di alberi, non è stata affiancata una lotta coraggiosa contro la “legge-madre” di tutti quei singoli suolicidi e albericidi. Una legge-madre che sta legittimando, incentivando e moltiplicando nuove occupazioni di terra fertile esentandole dalla contabilità del suolo consumato (oltre il danno la beffa), rivelando la mediocre subalternità della politica al potere dei soldi e creando una serie di gravi problemi ecologici a cui la “legge europea sul ripristino della natura” cerca di porre rimedio.