La vegetazione riparia soccorsa dalla legge sul “ripristino della natura” (NATURE RESTORATION LAW)

In nome del contrasto al dissesto idrogeologico si stanno mettendo in atto in tutto il paese delle preoccupanti mattanze di alberi e arbusti lungo gli argini e le sponde dei nostri piccoli e grandi corsi d’acqua. Una riduzione della vegetazione che nelle modalità con cui sta avvenendo rischia di aumentare anziché contenere il dissesto idrogeologico e favorire il deterioramento degli habitat naturali presenti lungo le rive dei corsi d’acqua.

Singoli cittadini e comitati locali cercano di contrastare con tutte le loro forze questa mattanza della “vegetazione riparia”, ma senza un importante sostegno politico-normativo centrale è una lotta impari. Si è consolidato, anche fra la pubblica opinione, il convincimento che solo radendo al suolo le piante che crescono lungo gli argini dei fiumi non ci saranno futuri problemi di dissesto idrogeologico: una visione bislacca della sicurezza idrogeologica, sia ecologicamente, sia economicamente.

Per non farsi sopraffare da una visione tecnocratico-antropocentrica, creatrice di disastri ambientali annunciati, è necessario che i comitati e le associazioni ambientaliste locali facciano vivere idee e proposte rivoluzionarie e che i loro rappresentanti nazionali agiscano con coraggio e determinazione. Partendo dal presupposto che dei nove “limiti planetari” da non superare per non pregiudicare le forme di vita sul nostro pianeta ben tre sono già stati superati: i “cambiamenti climatici”, i “cicli biogeochimici” e la “perdita di biodiversità”.

Bisogna agire posando uno “sguardo sovversivo” su una concezione del “rapporto uomo-natura” secondo cui la natura, ora che è diventata cattiva e si manifesta in modo violento, va dominata da ruspe e motoseghe, magari facendo girare ancora un po’ di soldi pubblici, dopo quelli spesi per comprometterla. In tal senso, credo che i principi contenuti nel Regolamento di attuazione della “Legge per il ripristino della natura” del Parlamento europeo del 24 giugno 2024 (Nature Restoration Law) possano venire in soccorso di una visione ecologica (ed economica) sul ruolo della “vegetazione riparia” nel tempo dei cambiamenti climatici. La “Legge per il ripristino della natura” stabilisce, infatti, che “il ripristino degli ecosistemi contribuisce anche agli obiettivi dell’Unione in materia di mitigazione dei cambiamenti climatici e di adattamento ai medesimi”. Una visione ripresa anche nella sesta relazione di valutazione dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) dove  si afferma che il “ripristino degli ecosistemi sarà fondamentale per contribuire alla lotta contro i cambiamenti climatici”.

Credo che una visione diversa sul ruolo della “vegetazione riparia” possa far parte del Piano Nazionale di Ripristino della Natura che anche l’Italia deve presentare alla Commissione Europea entro il 1° settembre 2026. Cosa sono i fiumi e i nostri torrenti, con la loro “vegetazione riparia sana” che cresce lungo le loro sponde, se non dei veri e propri “corridoi ecologici” dove trovano casa diverse specie di uccelli, di piccoli mammiferi, di anfibi, di insetti e una variegata vegetazione. Il Regolamento riconosce agli Stati membri la possibilità, per sostenere il ripristino e il non deterioramento degli habitat, di designare altre zone protette, oltre a quelle facenti parte di rete Natura 2000. Perché non considerare la vegetazione degli argini lungo i corsi d’acqua come un “habitat specifico” da inserire all’interno di Rete Natura 2000?

Quella di considerare la vegetazione degli argini lungo i corsi d’acqua come un habitat specifico da inserire all’interno di Rete Natura 2000 può benissimo diventare parte del Piano Nazionale di Ripristino della Natura, visto e considerato che già oggi le sponde dei corsi d’acqua per una profondità di 150 metri dall’acqua sono in ogni caso tutelate con vincolo paesaggistico (art. 142, comma 1°, lettera c, del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.).

Il Regolamento sottolinea in modo esplicito come tali misure “siano importanti anche per evitare l’aumento delle esigenze di ripristino in futuro”: una sottolineatura di estremo buonsenso. Una visione diversa sul ruolo della “vegetazione riparia” (quindi della Natura) è possibile, ed è possibile certificarla ecologicamente ed economicamente anche per gli altri suoi servizi ecosistemici, quali l’assorbimento e l’immagazzinamento dell’acqua da parte delle radici degli alberi che riducono il rischio di esondazione, il filtraggio degli  inquinanti, il consolidamento delle sponde proteggendole dall’erosione, il rallentamento della velocità dell’acqua, il mantenimento della  temperatura adatta alla vita acquatica, ecc. Lungo i nostri corsi d’acqua per le opere di contenimento del dissesto idrogeologico perché non limitarsi alla rimozione degli alberi e rami caduti nell’alveo e all’eventuale taglio, sotto il controllo di personale competente, di alberi con patologie in essere o con problemi di staticità (entrambe verificate con strumentazione e documentate)? L’ambientalismo ha bisogno di “visionari” che con coraggio e determinazione, propongano una nuova visione del rapporto uomo-natura sottraendolo alla dittatura del pensiero unico economico: un pensiero cieco che non investe risorse e attenzioni sul mantenimento delle condizioni perché la natura e il suolo possano offrire i loro servizi ecosistemici.

Dante Schiavon
Laureato in Pedagogia. Ambientalista. Associato a SEQUS, (Sostenibilità, Equità, Solidarietà), un movimento politico, ecologista, culturale che si propone di superare l’incapacità della “classe partitica” di accettare il senso del “limite” nello sfruttamento delle risorse della terra e ritiene deleterio per il pianeta l’abbraccio mortale del mito della “crescita illimitata” che sta portando con se nuove e crescenti ingiustizie sociali e il superamento dei “confini planetari” per la sopravvivenza della terra. Preoccupato per la perdita irreversibile della risorsa delle risorse, il “suolo”, sede di importanti reazioni “bio-geo-chimiche che rendono possibili “essenziali cicli vitali” per la vita sulla terra, conduce da anni una battaglia solitaria invocando una “lotta ambientalista” che fermi il consumo di suolo in Veneto, la regione con la maggiore superficie di edifici rispetto al numero di abitanti: 147 m2/ab (Ispra 2022),

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