Gentili Lettori, forse vi starete interrogando sul fatto che le piante ornamentali – tra cui certamente qualche orchidacea del genere Phalaenopsis – che agonizzano nel vostro salotto surriscaldato, siano o meno rare. Nel senso che magari avete inteso che si stia parlando di quelle, che poi sono le sole piante da cui siamo quotidianamente circondati e con cui abbiamo una certa familiarità, pur non conoscendone spesso i nomi e l’origine.
Ebbene no, stiamo parlando di tutt’altro.
Stiamo parlando della flora selvatica, che cresce sulle sponde delle scoline, presso le siepi campestri, nei residui boschi della stessa campagna, così come sulle dune del litorale o sulle barene lagunari. Stiamo, cioè, parlando dell’elemento floristico che, ignorato dagli umani e nonostante loro, è riuscito a sopravvivere avventurosamente e talvolta miracolosamente alle profonde e devastanti trasformazioni ambientali dovute alla stessa opera dell’uomo (pastore, agricoltore, industriale, guerriero, pensionato, ecc. ecc.).
Dovete infatti sapere, cari lettori, che chi scrive ha dedicato alcuni decenni della propria vita alla ricerca delle piante rare; e questo per ragioni molteplici. Posso citare, tra queste, il loro significato fitostorico ed ecologico, il mio interesse culturale personale e non da ultimo l’impegno nella loro conservazione.
Le piante rare, infatti, raccontano la storia naturale del nostro territorio. Sono testimonianze viventi di quanto accadde dopo il termine dell’ultima glaciazione e dell’assetto ambientale preistorico della stessa Pianura Veneta, costellata di lembi di foresta mesofila e palustre, da fiumi selvaggi, da paludi dolci e da lagune salmastre. Cose, insomma, che andrebbero insegnate a scuola, nel tentativo di formare cittadini migliori, anziché giovani che camminano incappucciati, che si muovono in bande con le braghe al ginocchio e con il coltello a serramanico in tasca.
Comunque sia le piante rare sono gioielli autentici di naturalità vera e finalmente “indipendente” dall’uomo; il tragico primate che, per volere divino, sta distruggendo questo Pianeta, credendosi a sua volta una divinità.
Il consiglio allora è di cercarle, di scoprirle, di osservarle, di fotografarle, di disegnarle, di annotarle nel vostro diario e perché no, di raccoglierne i semi e di coltivarle in giardino, per offrire loro un’opportunità di sopravvivenza.
A questo punto ve ne indicheremo qualche specie, affinché possiate scoprirne l’aspetto mediante l’Internet del vostro smartphone.
Se andate a passeggiare in campagna, allora, osservate i sottosiepe. Lì potrebbero nascondersi e in questa stagione potreste osservare, pianticelle di Primula vulgaris, di Anemone nemorosa, di Pulmonaria officinalis, di Scilla bifolia, di Polygonatum multiflorum, di Leucojum vernum, di Galanthus nivalis ed altre ancora. Se invece andrete a passeggiare in spiaggia in maggio, nelle depressioni retrodunali potreste osservare le orchidee Epipactis palustris e Orchis palustris, mentre nel sottobosco della pineta, denudato dalla frequentazione balneare, potreste ritrovare Cephalanthera longifolia, Cephalanthera rubra e Orchis morio.
Se poi foste attratti dai residui, infinitesimali lembi di palude dolce che talvolta resistono negli angoli dimenticati della campagna, ecco che, sempre nella primavera, potreste osservare le fioriture di Leucojum aestivum, di Gladiolus palustris e di Euphorbia palustris.
La scoperta di queste presenze, riserva emozioni speciali e suscita sensazioni tipo una ritrovata sintonia con il proprio ambiente. Quella che non si prova passeggiando in Piazza Ferretto a Mestre o in Piazza dei Signori a Treviso, nonostante le vetrine colme di ogni ben di dio e a prezzi non scontati, riescano comunque a stimolare primordiali istinti di accaparramento e di possesso.
Appare comunque evidente, che per apprezzare il piacere suscitato dalla scoperta delle piante rare, è necessario attrezzarsi culturalmente. Nulla è gratis a questo mondo, ma in questo caso, più che mai, l’investimento vale la candela.
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