Con questo modello la FIAT reinventa ancora una volta il concetto di utilitaria: pratica, robusta, essenziale, parca nei consumi, resta un successo intramontabile.

All’operazione nostalgia oggi tanto di moda piace raccontare dei “mitici anni Ottanta” ma a ben vedere questo decennio di mitico aveva ben poco perché, soprattutto nella prima parte rappresentò un periodo piuttosto difficile per l’Italia.

Il 1980 è l’anno della strage di Ustica e della bomba alla stazione di Bologna, nel 1981 l’attentato a Giovanni Paolo II° ripreso in diretta dalla televisione continua la drammatica sequenza di quel lungo periodo che passerà alla storia, prendendo a prestito il titolo di un film di Margarethe von Trotta, come “gli anni di piombo”.

L’economia italiana è travolta dall’inflazione che arriva al 22%, e si trasforma in stagflazione cioè stagnazione, viene introdotto lo scontrino fiscale per combattere il “nero”, il costo del denaro raggiunge il 25%, quello del lavoro aumenta del 29% e il prezzo del petrolio continua a salire a causa della guerra fra Iran e Iraq.

Gli economisti di casa nostra svalutano la lira come estrema ratio per rilanciare le esportazioni ma questo comporta il crollo del sistema borsistico italiano del 20% in un solo giorno tanto che Piazza Affari, evento unico, rimane chiusa per una settimana intera e quando riapre perde un ulteriore 10%, cioè un terzo del capitale azionario!

Per quanto riguarda il mondo dell’automobile va registrato il passaggio dalla tassa di circolazione a quella di possesso per la gioia dell’erario mentre l’odiatissimo ministro socialdemocratico Enrico Ferri introduce un decreto che limita la velocità a 110 chilometri orari nelle autostrade e a 90 nelle strade extraurbane: ne consegue una pioggia di multe perché gli italiani non sono abituati a rispettare i limiti di velocità  ma anche questo serve a far cassa. Comunque l’evoluzione tecnologica non si ferma e le code ai caselli vengono superate grazie all’introduzione della Viacard (1984) e poi del più evoluto Telepass (1989).

Fortunatamente nella seconda metà del decennio, favorita dal ribasso dei prezzi del petrolio e delle materie prime, l’economia mondiale riparte e le grandi imprese tornano ad investire nel prodotto e nell’innovazione. L’Italia ritrova competitività internazionale ma, di contro, la spesa pubblica aumenta a dismisura: per ora non se ne preoccupa nessuno tanto più che non esistono ancora i vincoli di bilancio UE. Sappiamo come andrà a finire. Dal punto di vista sociologico, in barba alle difficoltà sopracitate ed esaurita in gran parte la spinta riformista dei decenni precedenti, il trend degli anni Ottanta sembra essere quello ben più frivolo di spendere o almeno mostrare di spendere tanto che la carta di credito diventa uno status symbol da esibire. Sono gli anni nei quali esordisce la televisione commerciale (Canale 5 inizia le trasmissioni il 30 settembre 1980), gli anni dei paninari, delle giacche con le spalline imbottite, della “Milano da bere” degli yuppies e delle maggiorate del “Drive In”.

Gli italiani, visto che l’inflazione si mangia i loro risparmi, tornano a comprare automobili (nel 1989 si toccherà il record assoluto mai più raggiunto di 1.972.000 vetture nazionali prodotte) nonostante la benzina rossa (col piombo) a fine decennio tocchi le 1.400 lire e il gasolio le 800. A partire dal 1988 sarà introdotta la benzina verde che costa 40 lire in più al litro. Dal maggio 1985 cambiano anche le targhe che da nere con numeri bianchi e sigla della provincia in arancione diventano totalmente bianche riflettenti con lettere e cifre nere.

Le due automobili italiane simbolo di questo periodo sono indubbiamente la Fiat Panda (1980)e la Fiat Uno (1984). Qui in particolare vogliamo raccontarvi la storia della prima perché con questa immortale vetturetta nasce la moderna citycar.

La Panda si deve ad una felice intuizione di Carlo De Benedetti nei cento giorni del 1976 durante i quali rivestì l’incarico di Direttore Generale della FIAT. Il concetto da soddisfare era sostanzialmente questo: una moderna super utilitaria  con motore e trasmissione anteriori, carrozzeria a due porte più portellone, versatile, razionale, economica nei consumi e con una manutenzione ai minimi termini. Si trattava di un concept innovativo che prevedeva un contenitore in grado di offrire un interno spazioso ma spartano che doveva mantenere il costo industriale della 126 “tutto dietro” di cui sarebbe stata l’erede. Insomma un’auto essenziale che potesse mettere rivaleggiare con le mitiche “tutto avanti” francesi Citroën 2CV e Renault 4 i cui progetti risentivano ormai del peso degli anni. E qui entra in campo il vero deus ex machina (è proprio il caso di dirlo) di questa storia perché per la prima volta FIAT affida ad un designer esterno il compito di progettare interamente la sua nuova creatura: si tratta di Giorgetto Giugiaro, un nome che al grande pubblico forse dice poco ma che può essere annoverato come uno dei giganti del settore, eletto nel 1999 da esperti di tutto il mondo Designer del Secolo.

All’epoca aveva trentasei anni ma poteva già vantare all’attivo modelli storici come l’Alfa Romeo Giulia GT (con Bertone nel 1963), l’Alfasud (1971) e praticamente tutta la gamma Volkswagen: Passat (1973), Golf (1974), Polo e Scirocco (1975). Nel 1968 aveva fondato a Torino l’Italdesign (oggi del gruppo Volkswagen) portandola a diventare il più importante centro di design industriale del mondo.

Giugiaro disegna un’auto essenziale, senza fronzoli, con i vetri piatti, parabrezza compreso, senza maniglie esterne sostituite da un incavo e da un semplice pulsante mentre l’apertura delle porte ha la cerniera a vista. La linea è semplice, con due porte e un portellone posteriore ma il coefficiente aerodinamico, nonostante la forma squadrata, è addirittura migliore di quello della 127. Ma il capolavoro assoluto resta l’interno che adotta svariate soluzioni modulabili. Sedili a struttura semplificata rivestiti di un tessuto robusto e lavabile e persino asportabile, montanti interni del padiglione non rivestiti ma verniciati nel colore dell’esterno, versatilità e adattabilità della panchetta di seconda fila con schienale estraibile e arrotolabile per liberare uno spazio enorme per una utilitaria mentre la plancia è una vasca portaoggetti rivestita dello stesso tessuto dei sedili con una traversa imbottita proteggi ginocchia lungo la quale scorre il posacenere. Un piccolo cruscotto squadrato davanti al guidatore fornisce le informazioni essenziali: velocità, chilometraggio, spia carburante e poco altro. Le versioni iniziali sono due: la Panda 30 che monta il motore bicilindrico da 652 cc. della 126 e la Panda 45 che adotta il quattro cilindri da 903 cc. della 127. Una curiosità. La nuova vettura avrebbe dovuto chiamarsi Fiat 141 ma invece si preferì darle lo stesso nome dell’orsetto simbolo del WWF. Ciò provocò un quasi incidente diplomatico con l’organizzazione ambientalista ma tutto rientrò nella normalità quando la casa torinese spiegò che il nome scelto era ispirato da quello della dea Panda, divinità minore romana protettrice dei viaggiatori che teneva libere le strade (dal verbo latino pandere, aprire). Le linee di montaggio della Panda, grazie ad un compromesso con i sindacati che avrebbero preferito fosse prodotta al Sud, vennero suddivise tra Desio (MI) e Termini Imerese (PA). Nonostante un prezzo di listino non propriamente economico (3.970.000 la 30 e 4.700.000 la 45) e un’inflazione galoppante, la vettura fu un successo e fioccarono subito almeno 70.000 ordinazioni per cui bisognava attendere quasi 12 mesi per la consegna. Nel corso degli anni questo modello ha conosciuto una evoluzione continua nella linea, negli allestimenti e soprattutto nelle motorizzazioni. Dopo tre generazioni, la Panda rimane uno dei modelli di maggiore successo della casa torinese con circa otto milioni di esemplari prodotti, confermandosi anno dopo anno l’auto più venduta in Italia, tuttora presente in gran numero sulle nostre strade, tra pochissimo anche in modalità elettrica. Un storia esemplare nata, sembra impossibile, da una intuizione vincente oltre cinquant’anni fa.

Renzo De Zottis
Renzo De Zottis é nato a Treviso il 9 settembre 1954 e da qualche anno ha lasciato l'insegnamento nella scuola media. Collabora da lungo tempo con svariati mensili occupandosi prevalentemente di argomenti di carattere storico. Ha inoltre al suo attivo diversi servizi fotografici per le maggiori testate nazionali di automobilismo storico ed é stato addetto stampa in diverse manifestazioni internazionali del settore. Fa parte del direttivo dell'Unitre Mogliano Veneto e da almeno un ventennio svolge conferenze per questa associazione e per l'Alliance Française di Treviso.

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