Pienone il 16 aprile alla conferenza del professor Paolo Pileri, docente ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale.
Personalmente, ho apprezzato la sua capacità di narrare argomenti molto complessi (la ricchezza del suolo, la simbiosi tra piante, batteri e funghi, gli impatti ambientali del land-use-change) in modi molto semplici, efficaci e coinvolgenti.
Ho ascoltato con attenzione tutte le informazioni e argomentazioni che portava, specie una, sulla quale non ero d’accordo: da grande fan delle energie pulite, non capivo come mai ritenesse fotovoltaico e agrivoltaico come “consumo di suolo” nonostante non prevedano la cementificazione dello stesso.
Per carità! Un laureato qualunque in scienze ambientali non può sfidare un professore di simili materie, specie quando ci sono decenni di esperienza di differenza: per questo ho accolto il suo consiglio di andare a consultare gli studi scientifici sull’argomento.

E ne ho trovati! Ecco riassunta l’idea che mi sono fatto, dopo una letta agli studi che trovate linkati in fondo all’articolo:

(nota: come “coltivazione biologica” ho inteso qualcosa di simile alla fattoria dove lavoro, non le grandi colture certificate)

COMPATTAZIONE DEL SUOLO (è un fattore negativo, perché lo impermeabilizza in parte)
Foresta: no
Prato stabile: no
Coltivazione biologica: sì, molto limitata
Coltivazione biologica con agrivoltaico: sì, con passaggio macchinari il primo anno per piazzare i pannelli
Campo con pannelli a terra: sì, con passaggio macchinari il primo anno per piazzare i pannelli
Monocoltura intensiva: sì, con passaggio macchinari ogni anno
Monocoltura intensiva con agrivoltaico: sì, con passaggio macchinari ogni anno

RIMESCOLAMENTO DEL SUOLO (è un fattore negativo perché distrugge le catene trofiche nel suolo)
Foresta: no
Prato stabile: no
Coltivazione biologica: sì, parziale e superficiale ogni anno
Coltivazione biologica con agrivoltaico: sì, parziale e superficiale ogni anno
Campo con pannelli a terra: no
Monocoltura intensiva: sì, totale e profonda ogni anno
Monocoltura intensiva con agrivoltaico: sì, totale e profonda ogni anno

TEMPERATURA DEL SUOLO (più è alta e maggiore è la produzione di biomassa se c’è abbastanza acqua, ma più è bassa e maggiore è la qualità del suolo)
In ordine decrescente:
Monocoltura intensiva>Monocoltura intensiva con agrivoltaico>Coltivazione biologica>Coltivazione biologica con agrivoltaico>Campo con pannelli a terra>Prato stabile>Foresta

UMIDITA’ DEL SUOLO (generalmente un fattore positivo per piante e per la qualità del suolo)
In ordine decrescente:
Foresta>Prato stabile>Coltivazione biologica con agrivoltaico>Monocoltura intensiva con agrivoltaico>Campo con pannelli a terra>Coltivazione biologica>Monocoltura intensiva

CARBONIO NEL SUOLO (generalmente più ce n’è, maggiore è la qualità del suolo e minori sono i gas serra prodotti)
In ordine decrescente:
Foresta>Prato stabile>Coltivazione biologica con agrivoltaico>Coltivazione biologica>Campo con pannelli a terra>Monocoltura intensiva con agrivoltaico>Monocoltura intensiva

PRODUZIONE CIBO ED ENERGIA (parametro antropocentrico)
Foresta: no
Prato stabile: no
Coltivazione biologica: cibo
Coltivazione biologica con agrivoltaico: cibo ed energia
Campo con pannelli a terra: energia
Monocoltura intensiva: cibo
Monocoltura intensiva con agrivoltaico: cibo ed energia

USO FERTILIZZANTI (emettono gas serra, specie quelli sintetici)
Foresta: no
Prato stabile: no
Coltivazione biologica: sì, letame e sovescio
Coltivazione biologica con agrivoltaico: sì, letame e sovescio
Campo con pannelli a terra: no
Monocoltura intensiva: sì, molti e sintetici
Monocoltura intensiva con agrivoltaico: sì, molti e sintetici

USO PESTICIDI
Foresta: no
Prato stabile: no
Coltivazione biologica: no
Coltivazione biologica con agrivoltaico: no
Campo con pannelli a terra: no
Monocoltura intensiva: sì
Monocoltura intensiva con agrivoltaico: sì

USO DISERBANTI/SFALCIO (meglio sfalcio)
Foresta: no
Prato stabile: no
Coltivazione biologica: no
Coltivazione biologica con agrivoltaico: no
Campo con pannelli a terra: diserbanti o sfalcio a seconda del gestore
Monocoltura intensiva: diserbanti
Monocoltura intensiva con agrivoltaico: diserbanti

BIODIVERSITA’ E QUALITA’ DEL SUOLO
In ordine decrescente:
Foresta>Prato stabile>Coltivazione biologica con agrivoltaico>Coltivazione biologica>Campo con pannelli a terra>Monocoltura intensiva con agrivoltaico>Monocoltura intensiva>Terreno cementificato
Di fatto, i dati danno ragione a entrambi.
Se i pannelli vanno a sostituire aree ad alta qualità (foreste, prati stabili, coltivazioni biologiche), hanno un impatto negativo sulla qualità del suolo.
Se invece sostituiscono aree a bassa qualità (monocolture intensive), la migliorano.

Conclusioni mie personali: anche in un contesto in cui, nell’utopia di coprire di pannelli tutti i tetti di ogni edificio moglianese, ci servirebbero comunque ettari ed ettari di impianti a terra per poter finalmente chiudere le super-inquinanti e climalteranti centrali a combustibile, è improponibile consumare foreste, prati o coltivazioni biologiche per metterci i pannelli; piuttosto le superfici degradate come quelle dei parcheggi, quelle di lato alle autostrade, quelle sottoposte a monocolture intensive.
Nell’ultimo caso occorrerebbe ridurre al massimo del 3% le dimensioni delle coltivazioni, e quindi per compensare servirà diminuire del 3% gli sprechi di cibo (che sono attualmente fino al 25%) e il consumo di carne (infatti il 60% di quello che viene coltivato viene consumato, e poi cagato, dagli animali da bistecca). Non una grande rinuncia, anzi.
Per “salvare” le coltivazioni, inoltre, ci sarebbe anche l’opzione agrivoltaico, che secondo la rinomata rivista specializzata Qualenergia in molti casi addirittura aumenta produzione e qualità del suolo, perché scherma in parte le piante da un sole sempre più violento (si previene la fotorespirazione, il contrario della fotosintesi).
Insomma: il fotovoltaico non è la panacea, non è sempre la soluzione migliore, ma non è neanche il male (specie se confrontato coi suoi concorrenti, carbone petrolio e gas!). E’ un’arma contro il riscaldamento globale, dobbiamo saperlo usare bene, sfruttando anche il fatto che si può spostare e/o riciclare.
Vogliamo governare bene la transizione ecologica, o vogliamo opporci a ogni cambiamento e aspettare che il surriscaldamento globale secchi e uccida i nostri suoli? Sta già cominciando a farlo…
Nota: questo NON vuole essere un articolo d’opinione fine a sè stesso, piuttosto vuole veicolare l’invito ad approfondire ulteriormente seguendo sempre l’invito del professore: cercare studi scientifici peer-rewiewed sulle migliori riviste scientifiche internazionali, tra le quali le più famose e universalmente riconosciute ci sono ad esempio “Nature” e “ScienceDirect“.
Alcuni degli studi da me consultati:
nature
sciencedirect
agrivoltaicosostenibile
qualenergia

i casi studio in fondo
sciencedirect

4 COMMENTS

  1. Stiamo valutando un testo pervenutoci dal Gruppo di intervento giuridico ove si attesta che quanto sta accadendo in Sardegna (sovraproduzione di energia rinnovabile che non si è attrezzati a trasferire sul continente) se accettate le richieste di nuovi impianti provenienti dagli imprenditori del settore, porterebbe a una perdita significativa di suolo e di paesaggi di pregio facendoci superare di molto gli obiettivi necessari di energia da rinnovabili identificati nel piano nazionale. Tutto da verificare quindi. L’opzione principale a nostro avviso è puntare decisamente alle superfici esistenti sugli edifici adatti: sono milioni di metri quadri, come sulle aree degradate. In italia di certo non mancano le discariche e le aree industriali abbandonate: una per tutte le centinaia di ettari a Porto Marghera. Credo anche siano da utilizzare al meglio le opportunità di produzione e risparmio derivanti dalle Comunità Energetiche di recente normate da una Legge. Il tema è complesso; bisogna essere veloci nelle decisioni, ma al contempo evitare di adeguarci in toto all’iniziativa privata e solo a quella.

  2. Nel Rapporto Ispra 2021 è stata fatta una stima della superficie potenzialmente disponibile per l’installazione di impianti fotovoltaici sui tetti e relative ipotesi sulla potenza fotovoltaica installabile. La superficie totale degli edifici ricavabile dalla carta del suolo consumato 2020, al netto di quelli ricadenti nei centri storici la cui installazione è inopportuna per ragioni storico-paesaggistiche, ammonta a 3.481 km2. Tenendo conto delle indicazioni a livello europeo sulla percentuale dei tetti effettivamente utilizzabile per ospitare pannelli fotovoltaici, oscillante tra il 49% e il 64% di riduzione della superficie, più un ulteriore 60% di riduzione di superficie per garantire la distanza minima tra pannelli per la loro manutenzione resta una superficie netta disponibile che può variare da 682 a 891 km2. Tale superficie netta disponibile sarebbe in grado di fornire dai 66 agli 86 GW. Lo studio di Ispra, poi, in considerazione del fatto che sul 10% delle superfici artificiali possano essere già stati installati pannelli fotovoltaici, stima la produzione di una potenza fotovoltaica compresa tra 59 e 77 GW, un quantitativo sufficiente a coprire l’aumento di energia rinnovabile previsto dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) al 2030. Da notare che in questo calcolo sono rimaste escluse altre superfici artificiali utilizzabili, quali aree di parcheggio, aree adiacenti autostrade, aree adiacenti altre infrastrutture e altre aree dismesse o comunque già impermeabilizzate.

  3. La “transizione ecologica” non è solo “transizione energetica”. La transizione ecologica esige che la “quantità” e la “qualità” dei servizi ecosistemici del suolo agricolo e naturale aumentino, “parallelamente” alla decarbonizzazione dell’energia. Se, in nome della transizione ecologica, consumiamo suolo agricolo per produrre energia rinnovabile senza aver prima esperito altre soluzioni, finiremmo per buttare via il bambino con l’acqua sporca. Secondo la Coldiretti di Rovigo in 25 anni il Veneto ha perduto il 28% di terra coltivabile. Nel 2017 una ricerca Confagricoltura evidenziava come il nostro paese disponesse di una “superficie agricola utilizzabile” inferiore del 45% rispetto alla Francia e del 50% rispetto alla Germania. Il rapporto Ispra 2019 stimava, tra il 2012 e il 2018, in 3 milioni di quintali i prodotti agricoli che avrebbero potuto fornire le aree perdute per strade, abitazioni, capannoni, centri commerciali, poli logistici, supermercati, parcheggi. L’obiettivo del raggiungimento della “sovranità alimentare”, anche in considerazione delle sue molteplici valenze ambientali, economiche e sanitarie, non può essere rimosso da una transizione ecologica di tipo “tecnocratico”. La rimozione di tale obiettivo non ha solo un contraccolpo sulla bilancia dell’import/export alimentare, visto che importiamo il 55% di grano duro e il 45% di grano tenero, ma comporta anche la rinuncia a pensare a un’agricoltura diversa. Il peso degli “allevamenti intensivi” nei tempi della pandemia deve essere drasticamente ridotto perché secondo l’EFSA (l’autorità per là sicurezza alimentare) il 75% delle nuove malattie che hanno colpito l’uomo negli ultimi 10 anni è stato trasmesso da animali e perché i casi di “influenza aviaria” sono in crescita in Europa. E, come se non bastasse, gli allevamenti intensivi sono la seconda causa di inquinamento da “polveri fini” in Italia. Secondo uno studio dell’Ispra, infatti, riscaldamento e allevamenti sono responsabili rispettivamente del 38% e del 15,1% del particolato PM 2,5 della penisola. In altre parole, lo stoccaggio degli animali nelle stalle e la gestione dei reflui inquina più di automobili e moto (9%) e più dell’industria (11,1%). L’edificio della transizione ecologica necessità che il primo mattone sia “l’arresto immediato di consumo di suolo”, senza se e senza ma. Deve aumentare la superficie agricola per seminativi destinati all’alimentazione umana e per una zootecnia a campo aperto per contenere il rischio del “salto di specie” dall’animale all’uomo. Per questa ragione la transizione ecologica non può passare attraverso la riduzione a cuor leggero della S.A.U. “superficie agricola utilizzabile”. Vanno percorse tutte le strade alternative al consumo di suolo agricolo visto che, malauguratamente, alcune regioni come il Veneto e la Lombardia, nella loro declinazione dello sviluppo, hanno creato una estensione di superfici artificiali che possono essere utilizzate per la produzione di energia rinnovabile. Anche se lo sguardo dei media va altrove, diventando il nostro sguardo distratto, non è difficile da comprendere.

  4. L’Italia con il 7,11% e il Veneto con l’ 11,87% di suolo consumato rispetto, alla media europea del 4,2%, paradossalmente potrebbero non avere l’impellente necessità di occupare suolo agricolo vista la considerevole disponibilità di superfici già artificializzate rispetto al resto d’Europa. Il Veneto, ad esempio, con il triste primato nazionale nella cementificazione del suo territorio, potrebbe, con i suoi 92000 capannoni (Fonte Assindustria Veneto Centro 2019) disseminati in 5679 aree produttive presenti nei 541 comuni della regione per una superficie complessiva di 41000 ettari di terreno, corrispondenti a 410 km2 e applicando cautelativamente dei coefficienti di riduzione della superficie effettivamente utilizzabile, fornire una “superficie artificiale” per produrre alcuni GW di energia da fotovoltaico.

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