Fino a pochi anni fa la festa della Liberazione aveva perduto di sapore. Come una mela dimenticata troppo a lungo sulla fruttiera. Erano soltanto i vecchi, quelli che il fascismo lo avevano vissuto da dentro e dopo lo avevano maledetto, che ci costringevano a ricordare. Con le loro sfilate e il loro passo incerto ma orgoglioso, spesso incompresi, come certi monumenti invasi dal muschio, tenevano caparbi il passo e la memoria.

Per molti di noi, i baby-boomer che il fascismo lo avevano appena sfiorato nelle lezioni alle medie superiori, se c’era abbastanza tempo di accennarne prima che si concludesse l’anno scolastico, quella del 25 aprile era quasi soltanto la festa dove si dovevano esporre le bandiere italiane dalla finestra. Qualcuno confondeva persino le date con altre feste civili e panta rei.

Ma dopo c’era stato un risveglio: erano venuti gli anni ’70. Ventenni col sangue più caldo, ci infiammavamo tutti impregnati da un certo spirito comunista ingenuo, anche se di sicuro non eravamo tutti comunisti: sostanzialmente, per convinzione intima o anche per moda, significava aver rispetto per gli altri. Anche Cristo pareva alzare il braccio sinistro e la mano chiusa a pugno, comunque benedicente. Manifestavamo per solidarietà anche verso popoli di altri continenti, ascoltavamo le canzoni degli Inti Illimani esiliati dal Cile e credevamo nella forza del pueblo unido.

Poi sono venuti anni addolciti, quando la democrazia si dava per scontata e lo stato sociale era forte, i sindacati credibili, pur con l’italico mantra che comunque “piove, governo ladro”. 

Superate le urgenze, abbiamo via via lasciato affievolire il significato di questa festa, al massimo relegandola al rango di un rito commemorativo. Ma, come insegna il buon Giambattista Vico, la storia si ripete e nulla rimane fermo per sempre. Nemmeno le conquiste sociali e la libertà…

Nel 1943, dopo l’8 settembre che ha visto un re insignificante e un Badoglio in vergognosa fuga, col Fascismo di fatto giustiziato e appeso a testa in giù dal popolo, sembrava finito l’incubo per gli italiani, liberati dal Mascellone.

Invece la guerra era ripresa in modo più subdolo: adesso assumeva anche i contorni crudeli di una guerra civile, italiani contro italiani. Per tutta l’Italia giovani vite prendevano la via delle montagne o la clandestinità per rispondere ai colpi di coda di un fascismo ricostituito a Salò, di nazisti che si erano considerati traditi e volevano farci pagar caro il voltafaccia: con le retate, le impiccagioni, le torture.

Non dimentichiamolo: Le SS naziste in Italia sono sempre state appoggiate dai residuali e aggressivi fascisti nostrani, irriducibili.

Non dimentichiamolo: l’Italia non ha avuto un processo di Norimberga che distinguesse i carnefici dalle vittime e molti fascisti han cambiato casacca riciclandosi, anche se conservano ancora in casa e nel cuore i cimeli di un passato orribile.

Non dimentichiamolo: sul senso dello Stato di giovani, talvolta inesperti e – come si dice – quasi scappati da casa, abbiamo ricostruito il volto presentabile di un Paese deturpato.

L’epopea gloriosa della Resistenza ha avuto tante voci, ma mi rimangono impresse specialmente le parole autentiche di Piero Calamandrei: 

“Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati” (discorso del 26 gennaio 1955).

Prima del fatidico 25 aprile 1945 trascorsero circa un paio d’anni inimmaginabili di stragi, di speranze anche illogiche, come lo sono quelle delle donne e degli uomini che gettano il cuore oltre l’ostacolo per un ideale: un ideale di pace. Italo Calvino, partigiano, scrisse queste righe poetiche nel pieno della bagarre: 25 aprile

Forse non farò
cose importanti,
ma la storia
è fatta di piccoli gesti anonimi,
forse domani morirò,
magari prima
di quel tedesco,
ma tutte le cose che farò
prima di morire
e la mia morte stessa
saranno pezzetti di storia,
e tutti i pensieri
che sto facendo adesso
influiscono
sulla mia storia di domani,
sulla storia di domani
del genere umano.

La storia della Resistenza è stata un fiorire di tanti gesti anonimi che i nostri padri ci hanno dedicato e a noi tocca custodirli, non soltanto come inerti ricordi.

Venti di guerra, livore, lotte politiche di piccolo o grande cabotaggio, sopraffazioni imperialiste inquinano questo quarto di secolo che inaugura il millennio. Ecco la festa del 25 aprile: dunque oggi germoglia di un significato che non deve assumere insegne partitiche, se non quelle di un sincero antifascismo perenne.  È un patrimonio di tutti noi.

Leggiamo con attenzione, tutti insieme, i piccoli grandi segni che indicano un rischio di allentamento del presidio alla democrazia: nella rinuncia al voto, nelle compravendite di consensi, nell’occupazione degli spazi di comunicazione per imporre un pensiero unico fatto solo di proclami vittoriosi, simili a quelli che venivano pronunciati dal balcone di Palazzo Venezia a Roma, o diffusi attraverso i comunicati Radio e i documentari. Nell’assuefazione all’ingiustizia.

La libertà va presidiata anche contro coloro che si travestono da libertari per farci fare la fine della rana bollita.

Respiriamo appieno insieme ad un grande della letteratura, Dino Buzzati, tutto il significato semplice e genuinamente popolare per un momento di gioia immensa proiettato nell’oggi come monito.  Era l’alba di un’epoca che finalmente allentava la tensione, dopo tanto strepito e tanto buio:

Ecco, la guerra è finita.
Si è fatto silenzio sull’Europa.
E sui mari intorno ricominciano di notte a navigare i lumi.
Dal letto dove sono disteso posso finalmente guardare le stelle.
Come siamo felici.
A metà del pranzo la mamma si è messa improvvisamente a piangere per la gioia, nessuno era più capace di andare avanti a parlare.
Che da stasera la gente ricominci a essere buona?
Roberto Masiero
Roberto Masiero è nato da genitori veneti e cresciuto a Bolzano, in anni in cui era forte la tensione tra popolazioni di diversa estrazione linguistica. Risiede nel trevigiano e nel corso della sua vita ha coltivato una vera avversione per ogni forma di pregiudizio. Tra le sue principali pubblicazioni: la raccolta di racconti Una notte di niente, i romanzi Mistero animato, La strana distanza dei nostri abbracci, L’illusione che non basta e Dragan l’imperdonabile.

2 COMMENTS

  1. Bello il neologismo Resistente “commuovente” che direi, con arguta crasi dell’Autore, può alludere a com-muovere, cioè un sentimento che non sia solo di pura commozione ma anche attivo, di movimento, di partecipazione. Il 25 aprile richiede non solo ricordo e commozione ma … deve essere anche in grado di com-muovere. Muovere insieme 😉

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