Secondo l’autorevole Corriere Motori in Italia ci sono oggi 684 automobili ogni mille abitanti, il valore più alto dell’intera Unione Europea. Ma quando e come è iniziato questo nostro rapporto imprescindibile con l’automobile? Iniziamo oggi a raccontarvi le tappe che hanno portato alla motorizzazione di massa in Italia attraverso la storia di alcuni modelli iconici. Iniziamo naturalmente dalla immortale Topolino.

La vicenda di questa vetturetta prende origine nei primi anni Trenta ed è emblematica di come il regime fascista, per molti altri versi legato ad arcaiche e brutali logiche di potere e di consenso, avesse invece qui giustamente individuato uno dei nodi di sviluppo della società moderna: la motorizzazione di massa.

Nonostante il nostro paese fosse stato all’avanguardia nella tecnica automobilistica fin dai primi decenni del secolo, durante il Ventennio le quattro ruote restavano un fenomeno d’élite, un oggetto quasi irraggiungibile: nel 1932 solo una famiglia su cinquanta poteva permettersi una vettura contro una famiglia americana su due e una inglese o francese su cinque-sei. Il primo vero tentativo di produrre una automobile dai costi più accettabili era avvenuto nel 1932 con il lancio della Fiat 508 denominata Balilla (il piccolo eroe genovese simbolo della rivolta contro gli austriaci) in ossequio alla retorica del regime, nonostante il parere contrario del senatore Agnelli. Era una vettura con quattro posti reali, un robusto quattro cilindri di 993 cc., cambio a tre marce (poi quattro) freni idraulici, novità assoluta per una utilitaria europea e una carrozzeria tutta in acciaio quando all’epoca era ancora frequente l’impiego del legno e della tela.

“L’automobile finalmente verso il popolo. Il dono della Fiat agli italiani: la nuova Balilla” annunciava un gigantesco striscione all’entrata del Salone Internazionale dell’Automobile che allora si teneva a Milano. Mussolini aveva fermamente chiesto che la nuova auto non costasse più di 10.000 lire (circa 12.300 euro attuali) cifra, comunque, ancora piuttosto alta visto che lo stipendio medio mensile di un impiegato era di 400 lire e la benzina toccava le 3 lire al litro (3,71 euro odierni).

Tra il 1932 e il 1937 ne furono costruite 113.000 contribuendo non poco alla definitiva affermazione della casa torinese ma nel corso della sua evoluzione la Balilla aumentò non solo di cilindrata (1.100 cc.) e di dimensioni ma soprattutto di prezzo arrivando a costare quasi 15.000 Lire. C’era bisogno quindi di un nuovo modello che dotasse ogni famiglia, come pretendeva il Duce, di una vera utilitaria robusta e facile da guidare ma che soprattutto non costasse più di 5.000 lire! Vale la pena di ricordare che negli stessi anni Ferdinand Porsche, su precisa richiesta di Hitler, progettava la VolksWagen (letteralmente macchina del popolo) per motorizzare le masse tedesche, altra storia affascinante da raccontare.

La piccola auto denominata Fiat 500 A (in riferimento alla cilindrata di 569 cc.) ma universalmente conosciuta come Topolino (nome mai ufficializzato dalla Fiat) perché in qualche modo ricordava il personaggio della Disney, venne presentata il 15 giugno 1936, poco più di un mese dopo la proclamazione dell’impero, come la “vetturetta del lavoro e del risparmio”. Era stata progettata dall’ingegner Dante Giacosa (padre di altre storiche vetture Fiat come la 600) e risultò un vero e proprio capolavoro. La parola d’ordine era ridurre quanto possibile le dimensioni tanto che la Pirelli progettò appositamente un pneumatico per quella che allora era l’automobile più piccola del mondo, lunga 3,21 metri e pesante appena 535 chilogrammi. Il suo quattro cilindri da 13 CV vantava un consumo, straordinario per l’epoca, tra i 15 e i 18 chilometri/litro pur consentendo una velocità massima di 80 chilometri orari. Naturalmente il limite delle 5.000 lire di costo non poté minimamente essere rispettato tanto che il modello base costava 8.900 Lire (poco più di 10.000 euro) mentre quello più richiesto con il tettuccio apribile arrivava a toccare le 9.750 Lire. La nuova auto poteva essere comprata con rate da 295 lire al mese che però erano pur sempre più della metà dello stipendio di una dattilografa o di un disegnatore meccanico. Comunque, la Topolino ebbe un successo travolgente sia in Italia che all’estero e ne furono vendite quasi centomila prima dell’entrata in guerra dell’Italia nel 1940. Ma non era e non poteva essere la vettura di famiglia, vista anche la spinta del regime a fare più figli possibile: aveva solo due posti effettivi e nell’esiguo spazio posteriore ci potevano stare a malapena due bimbi piccoli o in alternativa valigie e borse.

Passata la bufera della guerra l’Italia si ritrovò con un parco auto desolatamente povero e qualsiasi mezzo di trasporto diventava prezioso, biciclette comprese come ci insegna Vittorio De Sica.

“Sulla Topolino amaranto si va che è un incanto nel quarantasei” cantavaPaolo Conte enfatizzando da par suo l’epopea della faticosa ripresa di un paese a pezzi, quando mancava quasi tutto, la benzina e le gomme erano introvabili, la rete stradale devastata ma la voglia di tornare a vivere più forte delle difficoltà. La Topolino contribuì grandemente alla ricostruzione e alla ritrovata mobilità soprattutto grazie alle sue versioni furgoncino, fondamentali per le attività commerciali e all’introduzione delle sue versioni famigliari, la Giardiniera (in legno) e la Belvedere (in metallo) che consentivano finalmente quattro posti veri e perfino un bagagliaio con portiera posteriore: un vero lusso. Concludiamo ricordando che Giuseppe Berto nel 1950 con i guadagni della sua opera d’esordio “Il cielo é rosso” si comprò la sua prima automobile: proprio una Fiat 500 Topolino Belvedere verde.

“Ci piaceva fare viaggi insieme, per lo più al Sud. Guidava lui. Con la nostra giardinetta, per metà in legno, andavamo a settanta all’ora e non ci annoiavamo mai. Visitammo la Calabria, specie la costa” ricorda la sua compagna di allora Stella Pines. La storia della vettura più piccola del mondo nata nell’anno delle “inique sanzioni” continuò fino al 1957, anno del lancio dello Sputnik, quando venne sostituita dalla Nuova Cinquecento. Ma questo è già un nuovo capitolo.

Renzo De Zottis
Renzo De Zottis é nato a Treviso il 9 settembre 1954 e da qualche anno ha lasciato l'insegnamento nella scuola media. Collabora da lungo tempo con svariati mensili occupandosi prevalentemente di argomenti di carattere storico. Ha inoltre al suo attivo diversi servizi fotografici per le maggiori testate nazionali di automobilismo storico ed é stato addetto stampa in diverse manifestazioni internazionali del settore. Fa parte del direttivo dell'Unitre Mogliano Veneto e da almeno un ventennio svolge conferenze per questa associazione e per l'Alliance Française di Treviso.

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