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Parliamo ancora del linguaggio ampio per affrontare la questione della visibilità del femminile, a partire dai nomina agentis, o nomi professionali, considerando che marzo è il mese dedicato alla donna (quando non ci sarà più bisogno di una festa o di un intero mese dedicato alle donne per le ragioni che sappiamo, il mondo sarà migliore e saremo tutti più felici; ma per il momento ci accontentiamo di festeggiare).

Durante una puntata della trasmissione radiofonica Un giorno da pecora di Rai Radio1, i due conduttori Giorgio Lauro e Geppi Cucciari  – piacevolissimi e geniali  – chiedono al loro ospite Presidente di Regione (uomo) se voglia essere chiamato la presidente. Lui sembra non cogliere l’ironia e risponde che no, preferisce farsi chiamare il presidente. Partiamo da qui, da un’occasione mancata di declinare in modo corretto, grazie all’articolo posto davanti a un nome ambigenere, un’importante carica politica, e sappiamo bene a chi ci riferiamo. Questa confusione, che non fa bene a nessuno, è valsa al nostro Presidente del Consiglio il titolo di “Uomo dell’anno 2023”, famosa copertina del giornale Libero sulla quale l’interessata, o a questo punto l’interessato non si è mai espresso.

Corso di francese, prima lezione: siamo un gruppetto, ci presentiamo con nome, professione, provenienza. Una signora di una certa età dice “Sono un avvocato”. La giovane donna che le siede accanto dice “Io sono un’avvocata”. Si accende un breve dibattito, l’avvocato spiega che per “poter lavorare” non ha mai pensato di declinarsi al femminile; l’avvocata ammette di aver provato un’iniziale resistenza, ma di aver poi deciso che è ora di finirla. L’ultima parola è dell’insegnante di madrelingua francese, che dice che in Francia già da tempo hanno provveduto alla “femminilizzazione” delle professioni.

Qualcuno obietterà che avvocata, medica, ingegnera, ministra non suonano bene… Eppure sono femminili corretti, così come commessa, cassiera, maestra e infermiera. Nel suo saggio Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, già nel 1986 la linguista Alma Sabatini arrivò alla conclusione che non è l’italiano a essere sessista, bensì il suo uso. Se da una parte la realtà influisce sulla lingua, dall’altra la lingua influisce sul modo di vedere e di percepire la realtà. Da cui si comprende come ognuno possa fare la sua parte, intervenendo quotidianamente sul proprio vocabolario abituale per contribuire alla creazione di un immaginario meno sessista e più equo. E in caso di dubbio, si può sempre consultare un dizionario aggiornato. Sembra che non ci siano davvero più scuse… parola di scrivente! (Lo o la secondo voi?)

Elena Carraro
Dopo la laurea in Lingue e Letterature straniere, ha approfondito altri percorsi di studio e intrapreso la professione di fisioterapista, condividendo con altri operatori sanitari l'impegno per la difesa della dignità della persona fino all'ultimo istante di vita. Ha sempre coltivato l'amore per la musica e la scrittura. Ha pubblicato L'Uovo di Mary - Storia di una sopravvivenza (Cleup 2018) e Triplo Concerto (Antilia 2023). Lasciato l'ambito sanitario per "anzianità", lavora oggi come copywriter.

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