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“È morto l’ultimo barbone di Venezia”: così in quella fredda mattina del novembre del ’93 veniva annunciata sui giornali la morte di Dante Sinibaldi.

Ma chi era quest’uomo?

Fu una scintilla che si spense ancor prima di rilucere.

Dante naque nel 1917 in seno ad un ramo cadetto della nobile famiglia Sinibaldi, che parecchi secoli prima aveva donato i natali alla santa palermitana Rosalia. Nel tardo ‘800 i nonni paterni si erano trasferiti nella capitale lagunare e agli inizi del ‘900 il padre, Armando, sposò una nobile padovana, il cui matrimonio, osteggiato da entrambe le famiglie, privò i coniugi dell’agiatezza che avrebbe permesso loro una vita spensierata. Dante, secondogenito di cinque figli, ebbe un’infanzia alquanto bizzarra, che oscillava tra dolci ricordi di un’epoca felice e fredde tristezze per un futuro tinto di bigie ombre.

Il padre nei primi anni ’20, per motivi politici, si vide costretto a lasciare l’Italia, trovando rifugio oltreoceano, abbandonando però alla sua partenza moglie e figli.

La famiglia sembrò sgretolarsi e il bonario ma fragile animo di Dante iniziò ad incrinarsi, trovando conforto nell’affetto per il fratello minore Otello, che da quel momento veglierà su di lui come un angelo custode.

Il matrimonio di Dante fu bizzarro e non certo felice, cosa che minò ancor di più la sua integrità psichica.

Il matrimonio finì in una separazione e Dante iniziò una vita che, con termini attuali, potremmo definire bohémienne, cosa che in una Venezia perbenista ed ipocrita lo portò ad essere allontanato dalla sua stessa famiglia, privandolo così anche del piccolo conforto delle gioie familiari e facendolo piombare in un baratro psichico e fisico. Solo Otello gli rimase sempre vicino, anche nei momenti più bui della sua esistenza, e fu proprio Otello, durante una delle lunghe degenze del fratello a S. Servolo a spronarlo a dipingere.

Nella pittura Dante trovò conforto, il suo animo irrequieto e pieno di ombre trovava sfogo nelle buie pennellate dei suoi dipinti. La sue pittura era cupa e contorta, i più innocui soggetti sembravano tramutarsi in inquietanti creature strappate dalle pagine di Lovecraft, il suo buio interiore si rifletteva nelle sue tele, ma nelle tenebre che avvolgevano la sua arte vi era sempre un bagliore luminoso che, come nella vita, gli dava la forza di continuare.

Settimana dopo settimana i dipinti si accumulavano, il buio del suo animo si traslava sulla tela, ma ciò gli donava conforto. Le sue opere colpirono l’attenzione del primario della struttura che, in accordo con il fratello Otello, diede vita ad una mostra, durante la quale vennero vendute tutte le tele. Le mostre si susseguirono e sempre col medesimo risultato, suscitando un certo clamore in ambito artistico.

La vita dell’anziano Dante sembrò stabilizzarsi trovando conforto nel fratello, seppur ormai il suo mondo fosse più onirico che reale. I suoi comportamenti rimanevano eccentrici e bizzarri, e a volte  risultava alquanto burbero nei comportamenti, un orco all’apparenza, ma nella realtà un incompreso GGG.

L’arte di Dante colpì un gallerista milanese, il quale decise di allestire una sua grande personale nel capoluogo lombardo, ma il fato sembrò volergli giocare l’ultimo terribile tiro, e pochi mesi prima di quella che sarebbe dovuta essere la sua pubblica apparizione sul jet set dell’arte italiana, il corpo senza vita di Dante venne recuperato nelle prime luci mattutine di una nebbiosa giornata di novembre, galleggiante nelle gelide acque di un canale.

La nebbia che si depositava sui candidi marmi percolava in grosse gocce dalle superfici, dando l’impressione che l’intera città piangesse la scomparsa di chi tanto aveva sofferto e al quale era stata negata, in un atto di estrema malignità, la gioia di vedersi riconosciuta la bravura per l’unica cosa che tra le sue mani non era andata in frantumi. 

Finì così ancor prima di iniziare la carriera artistica di Dante. Al suo funerale presenziarono gli alti prelati del capoluogo lagunare e un’intera giornata venne dedicata in suo onore dal centro sociale veneziano.

Delle molte tele dipinte per la mostra non fu trovata traccia; l’unico quadro che rimase ad Otello a ricordo dello sfortunato fratello fu un vaso di fiori, regalatogli molti anni prima.

Andrea M. Basana
Di natali veneziani, si è sempre interessato all'arte, non solo lagunare. Il suo campo di ricerca sono le arti applicate, cosa che lo ha portato a tenere svariate conferenze in importanti realtà museali, tra cui le più degne di nota sono quelle del museo di palazzo Zuckermann a Padova e del museo di palazzo Fulcis a Belluno. Ha collaborato con varie riviste tra cui Ateneo Veneto, l'archivio di Belluno, Feltre e Cadore e l'Oadi di Palermo. Negli ultimi anni si è dedicato alla scoperta dell'arte e della cultura della Basilicata, pubblicando per testate locali e scrivendo in collaborazione con il prof. Santoliquido "Forenza Sacra", pubblicazione patrocinata dal Vescovo di Melfi, Rapolla e Venosa.

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