L’alacrità di un’amministrazione comunale, qualsiasi amministrazione, sospinta dalla scadenza delle imminenti elezioni, abitualmente riserva alla cittadinanza delle opportunità da non sottovalutare. Così molte aspettative di miglioramenti agli arredi urbani, asfaltature, illuminazioni, piste ciclabili e compagnia varia, pur pianificate anni prima, trovano fatalmente la loro esecuzione qualche mese prima che la giunta sia sottoposta al giudizio del popolo.

Anche il paesino di Campocroce ha ottenuto la sua porzione di briciole dal bilancio: rifatta parte della recinzione del campo sportivo, aggiunto qualche palo della luce, creato un collegamento bus un poco più comodo. Cosucce, ma importanti: quando si butta una goccia nel deserto, così desolatamente deserto, miracolosamente nasce una pianta. Per la soddisfazione di tutti. E proprio qui sta il problema: non tutte le ciambelle nascono col buco, come si dice.

Da anni la popolazione richiedeva una sistemazione adeguata, per impreziosire l’accesso al piccolo centro. Il filare di pruni che costeggiavano la via Zero Branco era miserevolmente andato in rovina, le aiuole sottostanti, in origine graziosamente decorate di rose canine, soffrivano di ataviche mancate manutenzioni. Insomma, degrado. Ed ecco la soluzione, pratica, economica, moderna…

Ora vorrei fare una premessa. Un paesino, che ha la ventura di chiamarsi Campocroce, evoca come riflesso condizionato un rimando cimiteriale. In verità, per tale toponomastica si potrebbe immaginare, ridestata dall’amnesia nebbiosa della Storia, una campagna protetta dalla croce durante la benedizione dei raccolti, secondo l’antico uso contadino: sono le Rogazioni che hanno origini pagane in omaggio alla primaverile dea Cerere, e sono state incorporate in una nuova forma dal Cristianesimo. Si potrebbe, dunque, trattare di una croce simbolica, piantata a difesa di un campo.

E invece no, maledetta fantasia condizionata: quando oggi si fa il nome di Campocroce, viene quasi spontanea l’allusione al mondo sereno ma un poco inquietante dei più, che proprio i cristiani poco amano e spesso temono, preda di immagini nefaste e spettrali ereditate dalla tradizione popolare o letteraria, quantomeno quella cosiddetta gotica che ci assilla dalla seconda metà del settecento.

Ora l’amministrazione, sollecitata dalle richieste di intervento per il decoro urbano (anche attraverso queste stesse colonne) con questo intervento ha ottenuto, mi auguro involontariamente, di accentuare la percezione di area cimiteriale. Al posto dei pruni rinsecchiti ha piantato un filare di giovani cipressi. Per completare l’opera, rimosse le magre siepi di rose e le erbacce sottostanti, ha creato un’unica aiuola, sottolineatura color nero ebano di pietrisco granulato. Così le aspettative di un risanamento adeguato sono state risolte, nel segno della praticità: meno manutenzione. Più risparmi per la comunità.

Ma, mi chiedo, nel centro di Mogliano si sarebbe proceduto altrettanto sbrigativamente? Tanto più che Campocroce è considerato un bacino solido di voti per il centrodestra. Per carità, non dico che fosse opportuno indire un referendum, ma ascoltare qualche voce meno freddamente “tecnica” avrebbe consentito una scelta forse più ponderata e meno discutibile.

Del resto quest’amministrazione, a Campocroce, qualche altro segno di scarsa sensibilità l’aveva già offerto, quando ha impropriamente ribattezzato le denominazioni con riguardo alle varie località (un incongruo “Borgo Molino” è spuntato là dove non è proprio mai esistito, ed esclude dai confini – vedi la beffa – proprio il molino Bertoldo). Come è avvenuto in tale circostanza, le polemiche iniziali sono inesorabilmente destinate a spegnersi, com’è giusto che sia, per simili quisquilie, rispetto ai grandi casi problematici che affliggono il mondo. Si sa: basta lasciar trascorrere il tempo, perché le cose si tacciano in un silenzio… tombale.

Ma torniamo ai cipressi: nel mito greco si racconta che un cacciatore di nome Ciparisso, giovane amato da Apollo, si affezionò ad un cervo sacro alle ninfe della campagna, in una delle isole Cicladi nel mare Egeo. Durante una battuta di caccia, Ciparisso colpì per sbaglio proprio l’animale che, nonostante il soccorso di Apollo, morì. Il giovane chiese agli dèi di poter portare il lutto per sempre: allora, fu trasformato in un albero millenario che dal suo nome fu chiamato cipresso. Da quel momento, Apollo stabilì che il cipresso fosse considerato l’albero del conforto ai defunti.

Così, aggiungo i versi di qualche poeta, arcinoti, allo scopo di ammorbidire il dispetto di chi avrebbe voluto vedere sulla via Zero Branco, di fronte alla bella filanda Motta, una teoria di gioiosi alberi fioriti. Magari i versi riportati serviranno solo a rafforzare la convinzione di chi, invece, ha voluto caparbiamente proprio i cipressi. Pazienza: sui gusti non c’è discussione. Si noterà che ho usato un’equidistanza tollerante, come si addice in prossimità dei camposanti. Ecco i versi stralciati:

Giosuè Carducci (Davanti San Guido): I cipressi che a Bolgheri alti e schietti / van da San Guido in duplice filar, / quasi in corsa giganti giovinetti / mi balzarono incontro e mi guardar (…);. 

Giovanni Pascoli (La civetta): (…) E sopra tanta vita addormentata / dentro i cipressi, in mezzo alla brughiera/ sonare, ecco, una stridula risata / di fattucchiera: (…);

il poeta cantautore Fabrizio De André (Inverno): Sale la nebbia sui prati bianchi / come un cipresso nei camposanti (…);

Domenico Gnoli (Tra i cipressi): Informe gruppo di cipressi neri / Che coronate la solinga vetta, / Rosi dagli anni, arsi da la saetta, /Come il mio capo da foschi pensieri.

Chiudo volentieri con le parole di Aldo Palazzeschi (Rio Bo) che mi sembrano proprio attagliarsi al piccolo borgo di Campocroce. Restituiscono in poesia, ciò che la realtà a volte ci nega. Facciamocene una ragione: Microscopico paese, è vero, / paese da nulla, ma però…/ c’è sempre disopra una stella, / una grande, magnifica stella, / che a un dipresso…/ occhieggia con la punta del cipresso (…)

Roberto Masiero
Roberto Masiero è nato da genitori veneti e cresciuto a Bolzano, in anni in cui era forte la tensione tra popolazioni di diversa estrazione linguistica. Risiede nel trevigiano e nel corso della sua vita ha coltivato una vera avversione per ogni forma di pregiudizio. Tra le sue principali pubblicazioni: la raccolta di racconti Una notte di niente, i romanzi Mistero animato, La strana distanza dei nostri abbracci, L’illusione che non basta, Dragan l’imperdonabile e Il mite caprone rosso. Vita breve di norbert c.kaser.

1 COMMENT

  1. suggerisco di piantare sempre alberi da frutta, di quelli “selvatici”, resistenti alle malattie: sono decorativi e nutrono le bestiole alate, forse anche le api… se sono frutti molto piccoli non rischiano di “sporcare”

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