“Nessun pasto è gratis”. Una frase breve, rapida e pungente come forse solo la cultura americana statunitense sa essere. E proprio della cultura americana, in particolare quella economica, questa frase è uno degli emblemi. Il suo significato va più a fondo di quanto si possa inizialmente pensare. Se si mettono da parte per un istante preconcetti e filtri ideologici, si capisce che ciò che vuole esprimere è, essenzialmente, che qualsiasi bene o servizio ha un costo, e ci sarà sempre qualcuno che quel costo lo deve pagare. Forse non il diretto beneficiario di quel bene o servizio, forse nemmeno chi quel bene o servizio lo fornisce, ma qualcuno alla fine dei giochi dovrà farsi inevitabilmente carico del costo. E questo, prima che ideologia, è severo ma lucido pragmatismo – vale a dire uno dei principali punti di forza della cultura USA.

È bene ricordare che quando si parla di costo non si parla necessariamente solo di denaro, ma anche di altre risorse. Un buon esempio di ciò è il tempo, probabilmente la risorsa più importante a nostra disposizione e che puntualmente ignoriamo o diamo per scontata. Si legge nei giornali sempre più spesso che le aziende intendono compensare i propri dipendenti con strumenti innovativi quali orario flessibile e settimana corta. Lo scopo finale è garantire un miglior equilibrio tra vita lavorativa e vita personale, cercando di ridurre le differenze di opportunità tra chi può lavorare da casa (impiegati) e chi ha bisogno di essere fisicamente in azienda per eseguire il proprio lavoro (operai). L’orizzonte a cui si tende è il superamento del modello “lavoro per orario” a favore del modello “lavoro per obiettivi”, sfruttando al massimo le moderne tecnologie comunicative e facendo tesoro dei concetti di prevenzione della salute mentale che stanno radicandosi nella nostra cultura.

Difficile trovare qualcosa da ridire in tutto questo. E infatti non c’è. Riportare al centro del mondo produttivo l’individuo e la sua tutela è un principio fondamentale che merita attenzione e risorse, oltre ad essere uno dei pochi punti su cui Marxisti e Cristiani si trovano generalmente d’accordo. Solo un appunto va fatto. Chi paga il costo? In altre parole, qual è l’altro lato della medaglia? I casi sono due: o si riduce il tempo lavorativo e si accetta di avere una minore produttività, con conseguenze radicali sul nostro stile di vita (leggi minor quantità di prodotti in circolazione, niente più shopping h24), oppure si mantiene un pari livello di produttività trasportando fasi di lavoro in altri ambienti dove l’attenzione all’equilibrio vita/lavoro non è esattamente una priorità. Nessun pasto è gratis.

Non bisogna illudersi a pensare che l’evoluzione della cultura lavorativa si stia diffondendo ugualmente in tutto il mondo – sarebbe anzi una grave ingenuità. Se infatti il cosiddetto “mondo occidentale” sta vivendo una fase storica di post-capitalismo in cui si comincia a cercare la propria identità in vie alternative a quella del denaro (almeno apparentemente), nei paesi “non occidentali” ci sono centinaia di milioni di esseri umani affamati – metaforicamente e non – che sono pronti a dedicare fino a 18 ore della propria giornata al lavoro. Sono loro che potenzialmente si faranno carico del costo di cui sopra, e in cambio vorranno avere sempre più voce in capitolo in affari di cui i civilizzati ed emancipati Occidentali ritengono scontato essere i soli legittimi gestori – o meglio, Manager. Il grido di battaglia di questi centinaia di milioni è silenzioso e allo stesso tempo micidiale: “Adesso tocca a noi”.

Enrico De Zottis
Enrico De Zottis Nato a Venezia nel 1987 e cresciuto a Mogliano Veneto, da oltre un decennio si occupa professionalmente di Gestione delle Risorse Umane presso aziende multinazionali. Ad oggi vive e lavora a Lione (Francia). Nel tempo libero si dedica allo studio di tematiche socio-economiche, oltre che alla musica e al trekking. Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza a Padova e un Master in Analisi Economica a Roma.

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