Questo articolo lo devo a Giulia, anche se non la conoscevo e non avevo mai sentito di parlare di lei, perché Giulia potrebbe essere mia figlia, mia moglie, mia mamma, mia nipote, mia nonna. Giulia potrebbe essere una delle mie alunne, una delle mie amiche, una delle mie conoscenti, potrebbe essere qualsiasi donna, anche se Giulia era Giulia.

Dalle foto e da quanto ho letto, era una ragazza solare, attenta e premurosa, studiosa e creativa, con un grande dolore forse ancora da metabolizzare, ossia la perdita della cara mamma. Giulia era Giulia, ma ciò che le è successo sarebbe potuto succedere a qualsiasi donna, in qualsiasi momento. La giustizia farà il suo corso, come è giusto che sia, ma questa mia riflessione non vuole entrare in una materia nella quale non ho competenza. Piuttosto vuole soffermarsi sul concetto distorto di amore che troppe volte sentiamo o leggiamo. A ben pensarci, le parole di Elena, sorella di Giulia, sono quanto di più vicino al mio pensiero possa aver letto prima e dopo il tragico fatto, e ci restituiscono quel quadro di apparente “normalità” nel quale molte di queste storie nascono, crescono e si concludono. Sì, perché spesso vediamo mostri che non ci sono, o che, se ci sono, sono ben facilmente distinguibili e riconoscibili, mentre ci dimentichiamo delle persone apparentemente “normali”, incapaci di fare male a una mosca, quei bravi ragazzi o uomini a cui apriremmo e sicuramente abbiamo aperto le porte di casa. Perché la sete di possesso è più facile da vedere in figure egocentriche ed egoriferite, magari di bell’aspetto o comunque di successo, con lavori o carriere avviate, mentre lo è molto meno con persone che rientrano negli standard medi. Ci sono molti Filippo tra di noi, e se alcuni sono riusciti, consciamente o con aiuti esterni, a controllare e ad abbassare i loro impulsi di gelosia e di controllo smodati, altri non ci sono mai riusciti e mai ci riusciranno: è per questo che bisogna sempre essere vigili e cogliere i segnali di disagio evidente nelle persone “controllanti”, o magari semplicemente far riflettere un amico con smanie di controllo sul partner sul fatto che controllare significa sostanzialmente tarpare le ali all’altra persona, impedirle di “prendere il volo” metaforicamente, insomma significa limitarla o addirittura annullarla. La stessa cosa va fatta verso le persone “controllate”, che spesso sono donne: argomentare che la libertà non è una concessione dell’altra persona, che fare ciò che si vuole è un diritto di tutti, che avere i propri pensieri ed esprimere le proprie opinioni è naturale, che non si deve rendere conto di tutte le proprie azioni e che è giusto avere una propria sfera “privata” da condividere solo con sé stessi. Ma, e qui sta il problema vero, la nostra cultura è impregnata di un maschilismo che, nel tempo, si è radicato a tal punto da instillare nella mente di molte persone la convinzione che il solo fatto di essere uomo renda normale essere a capo della famiglia, controllare la donna, rendendola quasi asservita alle proprie necessità e ai propri desideri. E, se una volta tutto ciò veniva accettato quasi naturalmente perché il divorzio non era concepito e il matrimonio era davvero per sempre e ad ogni costo, ora che non è più così, che la donna è libera di decidere, il suo rifiuto di proseguire una storia può scatenare reazioni che possono portare a tragici epiloghi, come nel caso della povera Giulia. L’educazione diversa e nuova necessaria verso le nuove generazioni impone di insegnare ai bambini che il rispetto reciproco e l’assoluta equità tra i due sessi, pur nella reciproca diversità, sono i capisaldi della società, che bisogna accettare un no senza perdere il controllo, che esiste la possibilità di essere rifiutati in tutti gli ambiti, anche in quello delle relazioni. È facile dire, a posteriori, che lei avrebbe dovuto lasciare lui: è una cosa ovvia, ma spesso non è così, e gli elementi che stanno venendo a galla mostrano quanto la paura fosse mescolata al senso di colpa, frutto delle allusioni a possibili atti estremi da parte della persona che stava cercando faticosamente di lasciare e che non accettava la fine della loro relazione.  

È più difficile capire e cogliere, come argomentavo poco più su, i segnali che qualcosa non funziona, che l’intervento è necessario per evitare possibili gravi conseguenze. Ed è su questo che la società tutta deve agire: famiglia, amici, scuola, associazioni, comuni, regioni, stato. Nessuno può essere immune da responsabilità, ancor meno quando una donna decide di denunciare le violenze subite. Giulia non ha voluto, forse non ha potuto, nessuno vicino a lei o a lui si è probabilmente prefigurato cosa sarebbe potuto succedere perché, di nuovo, lui non era percepito come potenzialmente pericoloso, ma era una persona come tutti noi, a cui la sete di possesso, la gelosia, sicuramente l’invidia verso una persona che gli sembrava vicina ma che in realtà era più avanti di lui negli studi e probabilmente anche nella vita lo hanno accecato a tal punto da portare a termine ciò che gli inquirenti definiranno nei suoi contorni, ma che si può di certo definire come una bestialità assoluta, come l’aberrazione del concetto di amore che amore non è. È per questo che non si deve tacere, non si deve stare zitti ma si deve fare rumore, tanto rumore, perché se ancora oggi, nel 2023, in Italia muore una donna ogni tre giorni e non si contano le denunce per violenze di vario tipo, è chiaro che il problema è strutturale e bisogna affrontarlo nella sua complessità, non solo condannando quanto successo ma trovando approcci nuovi, diversi e più efficaci al problema. È solo così che, a poco a poco, forse finalmente non ci saranno più altre tragiche storie come quella di Giulia.

Federico Faggian
Nato a Treviso il 02-06-1981. Laureato in Lingue a Ca’ Foscari, specializzato alla SSIS Veneto. Insegnante di spagnolo in una scuola superiore di Treviso. E’ stato presidente del quartiere Ovest-Ghetto e collaboratore de L’Eco di Mogliano; è consigliere di un’importante realtà associativa locale, il CRCS Ovest-Ghetto. Impegnato da molti anni in città nel mondo dello sport, dell’associazionismo volontario e della cultura.

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