Dicono che si entra nella terza età quando i ricordi prendono il posto dei sogni e confesso di esserne convinto anch’io. Penso proprio che i nostalgici siano numerosi perchè ho notato che gli amarcord vanno tanto di moda sui Social network. Pagine acchiappa like ti invitano a ricordare la Fiat Topolino,la bicicletta Dei, il motore Mosquito da installare sulle bici, il Flit per combattere le zanzare, la stilografica Pelikan,i fumetti di Jacovittio ppure il giradischi Geloso ed io con la stessa nostalgia mi faccio venire alla mente alcuni ricordi della mia infanzia e della mia giovinezza perché sono tra quelli che possono ancora raccontare cose oggi ‘incredibili’ come queste:

Le nostre mamme non ci hanno visti nel proprio grembo con l’ecografia. Le comari le assicuravano: «sarà di certo un maschietto se in gravidanza la gestante ha la pancia a punta». Poi il parto avveniva in casa con l’aiuto della Levatrice perché l’ospedale era troppo lontano dal paese.

• L’undici novembre in occasione della festività diSan Martino, antesignano di Halloween, si andava in giro a questuare caramelle o monetine coperti da improbabili mantelli e suonando tamburi di latta.

Se a scuola il maestro metteva una nota sul diario, a casa erano occhiate poco rassicuranti, non come ora che i genitori vanno a scuola a picchiare l’insegnante che ha osato ‘richiamare’ il figlio.

• Sul banco a scuola c’erano: il canotto, i pennini ed il calamaio con l’inchiostro. Più tardi portavamo i libri tenuti assieme da una cinghia elastica che era più anticonformista ed economica della tradizionale cartella di cuoio o di pelle da tenere a tracolla con la cinghia.

Sempre a scuola quando c’era l’ora di ginnastica si partiva in bici da casa in tuta blu scuro con la doppia banda lungo la gamba che faceva molto‘atleta’ ed anche un po’ carabiniere.

• Le uniche merende erano il panino con la mortadella oppure per i più ‘delicati’ il Buondì Motta di cui si mangiavano prima i chicchi di zucchero con la glassa e poi la base soffice. Tanti anni dopo, la pubblicità del Mulino bianco si è impadronita del rito della colazione mattutina e della merenda aggiungendoci la giovane ragazza che inzuppa compiaciuta nel caffe latte il biscotto al cioccolato.

Quando faceva freddo si andava, come sempre, a scuola in bicicletta ma con un foglio di giornale sul petto per ripararsi dall’aria e con  le ‘mollette’ che chiudevano gli spifferi dal fondo dei pantaloni.

• La gita scolastica annuale si faceva in giornata ed al massimo si andava all’Ossario della I^ Guerra mondiale a Redipuglia o ad Aquileia a vedere la basilica con i mosaici bizantini. Si mangiavano panini al sacco oppure una pasta al sugo in qualche trattoria. In pullman poi si cantava e si vomitava.

• Le ricerche scolastiche le facevamo utilizzando la modesta biblioteca di casa, non certo con l’ausilio di Google e/o di Wikipedia. Avevamo anche i proibitissimi Bignami da consultare di nascosto sotto il banco o i rotolini con le formule di matematica scritte in micro caratteri.

• La domenica, dopo la Messa, come premio per i risultati scolastici della settimana i genitori ci offrivano le pastine con la tazza di cioccolata a patto che restassimo seduti tranquilli al bar mentre loro prendevano l’aperitivo. Immancabile Il Corriere dei Piccoli con i suoi mitici personaggi.

• Non esisteva Facebook ma avevamo ugualmente tanti amici: compagni di scuola o di giochi. Se litigavamo per qualche motivo, non ci mettevamo la ‘faccina arrabbiata’ ma ci si menava e basta.

• A metà degli anni ’50 per cambiare il canale della televisione ci si doveva alzare dalla sedia e le opzioni erano due:la Rai eTele Capodistria che chiudeva sempre le trasmissioni con‘Bandiera rossa’.

Giocavamo a ‘nomi-cose-animali-città’ oppure gareggiando con le biglie o coni tappi di bottiglia.

In genere la penitenza in tutti i giochi di gruppo era ‘dire-fare-baciare-lettera-testamento‘ e le ragazze sceglievano spesso il ‘baciare’ per mettere in imbarazzo lo sconfitto.

• Per terminare la raccolta dell’album della Panini mancava sempre qualche figurina molto rara che raggiungeva ‘quotazioni astronomiche’ tra i ragazzi di allora.

• Se ci sbucciavamo il ginocchio giocando a calcio all’oratorio Don Bosco ci mettevano l’alcool denaturato per disinfettare la ferita, se invece ci strappavamo i pantaloni della tuta era un ‘problema’ con la mamma che doveva rammendarli oltre che lavare calzini, maglietta e canottiera.

• Prima di avere il permesso di uscita con una ragazza ci si doveva sempre sottoporre all’interrogatorio materno o paterno: «La conosciamo? a che ora torni? Possiamo stare tranquilli?».

• Le ragazze non andavano al cinema da sole, ma sempre con l’amica meno bella per vincere il confronto. Se quest’ultima si prendeva la cotta per te metteva in crisi le tue strategie di conquista.

• Si ballava avvinghiati alla ragazza tanto desiderata e sognata come Laocoonte e i serpenti. Quando mettevano sul giradischi Je t’aime, moi non plus, perché lei si sentiva Jane Birkin e lui Serge Gainsbourg, immancabilmente la padrona di casa chiedeva categoricamente chi avesse portato quel disco e mandava via il colpevole con inclusa la minaccia di informare i suoi genitori!

• Ci emozionavamo anche solo per un bacio su una guancia, mentre il primo sulla bocca ci riusciva sempre un po’ maldestro. Le ragazze erano però restie a farlo con la lingua perché avevano paura di restare incinte. Però con gli anni, sia i maschi e sia le femmine, sono certamente migliorati.

• A causa della carriera militare non ho vissuto le calde lotte sociali e di classe del ’68 ma ho saputo che alcuni amici studenti all’Università le hanno prese di santa ragione dai questurini della Celere. Hanno respirato i lacrimogeni e qualcuno ha anche perso un dente per una manganellata.

Oggi, che sono ancora qui dopo molti anni, tante vicissitudini e qualche problema di salute, certe cose non le ho dimenticate ma sorrido quando me le fanno ricordare, perché ho vissuto tutti questi piccoli amarcord e tanti altri ancora. Fino ai diciotto anni mi sentivo, come cantava Giorgio Gaber, parte di una generazione che voleva spiccare il volo per cambiare la vita ed il mondo ma senza esserne ancora capace. Ora anche se sono ormai ultrasessantenne e il sogno di Icaro sembra per me improbabile qualche piccolo volo provo ancora a farlo.

Gianni Milanese
Sono nato a Mogliano Veneto nel 1946. Dopo una lunga carriera militare mi sono dedicato alla libera professione come Consulente di Direzione ed Organizzazione, attività che ancora oggi svolgo con grande passione nell’ambito dello Studio Milanese®. Scrivere rappresenta per me un hobby come il Nordic Walking, la Barca a vela, la musica Jazz e l’impegno nel Volontariato. Ho scritto alcuni racconti lunghi e numerose poesie. Ma, fondamentalmente, quando mi metto alla tastiera lo faccio per me stesso e per chi sa ancora accendere la miccia dei sentimenti cioè per coloro che soffrono o gioiscono e che, come me, nello scrivere vivono una seconda vita. In tale ottica la mia scrittura non può essere giudicata come scontata, perché l’esistenza non lo è mai. Secondo me un racconto per toccare le corde deve essere dolceamaro come appunto lo è la vita. Dal 2021 collaboro con il mensile di attualità, cultura e società L’ECO di Mogliano e con altri periodici [Trevisani nel Mondo, D&V…]. Vivo e lavoro a Villorba, ridente cittadina a nord di Treviso, nel comprensorio del Parco naturalistico del fiume Storga.

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