L’impotenza delle masse di fronte a eventi sconvolgenti come crisi economiche, guerre e rivoluzioni è stato un elemento quasi costante nel corso della storia. Questo stato di passività forzata derivava da una combinazione letale di mancanza di informazioni e mancanza di forza materiale. In altre parole, nessun modo di sapere, nessun modo di reagire.

Ma, per lo meno, c’era davvero qualcuno al timone che stabiliva fermamente la direzione della nave, per parlare in metafora: tirannicamente (a volte), antidemocraticamente (la maggior parte delle volte), incurante della sorte degli ultimi (praticamente tutte le volte) – ma avendo comunque una meta da raggiungere e una strategia su come portarvi la nave.

Il plurisecolare processo di elevazione e riscatto delle classi sociali più basse è stato in effetti un processo di rivendicazione del diritto ad avere maggiore cognizione e consapevolezza di questa strategia, al fine di poter esprimere la propria opinione al riguardo.

In questo primo quarto del Ventunesimo Secolo, tutto ciò sembra essere precipitato in un abissoo scuro nel sottosuolo dell’esistenza: quando guardiamo il timone non solo fatichiamo a capire chi comanda ma – ecco il vero orrore – non sembriamo preoccuparcene. Ma come si è arrivati a questo ?

Mai prima d’ora nella storia dell’umanità così tanti individui sono stati dotati dei mezzitecnici per accedere alle informazion iprovenienti da quasi ogni parte del pianeta in un dato momento – e questo è già qualcosa la cui entità è ancora difficile da afferrare. Ma non è tutto. Quegli stessi mezzi tecnici garantiscono l’accesso immediato alla totalità della conoscenza dell’umanità. Che sia attraverso un computer portatile o uno smartphone, la maggior parte degli esseriumani sulla Terra ha accesso a tutto questo. Tutto. In qualsiasi momento.

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Ora, è sempre stato difficile credere, e ancor più sperare, che tutti gli esseri umani benedetti da questo dono avrebbero immediatamente iniziato ad espandere la propria cultura ed elevare il proprio intelletto. Concesso. Tuttavia, le vere conseguenze di quanto descritto erano qualcosa che forse solo poche persone avevano visto arrivare.

Occorre porsi una domandafondamentale: chi controlla i mezzi tecnici che potenzialmente concedono tali meraviglie? Più specificamente, qual è lo scopo di chi detiene tale controllo?

La risposta più probabile è un doloroso promemoria : la spiegazione più semplice è spesso quella giusta. Lo scopo è il guadagno. E gli attori –multinazionali digitali, social network e compagnia – che tengono le redini e incassano i ricavi hanno forse spalancato la porta a uno dei più oscuri abissi umani mai visti. A coronare il tutto, e in coerenza con uno dei leitmotiv di queste riflessioni, a loro sembra in fondo non importare. La potenzialità di evoluzione futura è sacrificata a favore del guadagno presente.

La costruzione di un avatar pubblico con l’intento di mostrare la migliore versione possibile di sè stessi al più vasto pubblico possibile ha intrappolato milioni di persone in tutto il mondo, e ancora di più sono state sedotte dalla lussuriosa sete di accedere a questi spettacoli di bellezza virtuale.

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Questo è più del semplice desiderio di attenzione. È il disperato desiderio di immortalità. Questo desiderio sta non solo influenzando la psicologia degli individui, specialmente i più giovani, in modi che forse siamo troppo spaventati per voler affrontare. Sta anche distruggendo i resti deboli e logori del tessuto della nostra società. L’individualismo, la grande seduttrice tanto amata e sfruttata dalle Direzioni Marketing a partire dalla seconda metà del Novecento, è stata ora portata a un nuovo livello della sua evoluzione. Gli individui non desiderano più semplicemente elevarsi a uno status di preminenza nella realtà sociale condivisa da tutti, ora possono desiderare di diventare Divinità in quelle stesse realtà che hanno creato.

E dove sono i governi, in tutto questo? Dov’è il capitano di mare robusto e temprato dalla vita che stabilisce la rotta della nave per assicurarsi che quantomeno la nave stia effettivamente andando da qualche parte? Mentre guardiamo il ponte superiore, tutto ciò che riusciamo a vedere è un individuo dalla faccia inespressiva, che assomiglia a tutti e a nessuno allo stesso tempo, pietrificato dalla paura di onde più grandi di quanto avrebbe mai potuto immaginare, e a cui non era mai stato addestrato. Lo spirito aleggiante, invisibile eppure molto tangibile dell’Economia Globale tiene tra i suoi artigli la spina dorsale dei leader mondiali: nessuna iniziativa è permessa, nessuna soluzione alternativa è apprezzata.

I governi, in questo sistema, sono tenuti a reagire solo quando l’eccessiva oscillazione della nave minaccia di diffondere il panico tra i passeggeri. Ma in nessun modo la direzione della nave è una questione da discutere. Quel che è peggio, anche i leader mondiali sono rimasti invischiati nel meccanismo perverso dell’autocelebrazione sui social, facendo prevalere la caccia al consenso emotivo sulla caccia alle soluzioni.

Quindi eccoci intrappolati in questo spettacolo surreale in cui tutti, cittadini e politici, si sballano con i Mi piace e le dimostrazioni di sostegno (virtuale) a cause umanitarie che vengono dimenticate nel giro di poche ore.

Il consumismo ha creato il suo avatar definitivo, potremmo chiamarlo cons-individualismo, in cui gli individui non sono più solo accecati dai loro desideri materiali indotti, ma sono anche disconnessi dalla società che li circonda in quanto nutriti con l’idea che della società non ci sia più bisogno. E, alla fine dei giochi, non gliene importa.

Perché impegnare le nostre menti a pensare a noi, all’aumento  del costo della vita, alla tremante stabilità sociale, al crollo dei livelli medi di cultura generale quando c’è un mondo virtuale di perfezione e adorazione che ci aspetta a portata di clic.

In questo contesto, la speranza di elevare una coscienza collettiva sui molti problemi che la nostra civiltà sta affrontando sta passando da “poco realistica” a “inutile”. Il cambiamento è atto della volontà, non conseguenza automatica della contingenza.

Sono passati cento anni da quando Gyorgy Lukacs ha definito la “coscienza di classe” l’antidoto per combattere lo status di alienazione imposto dai moderni processi di produzione, come precedentemente  teorizzato da Karl Marx.

Lo scenario di oggi richiede di portare l’impegno su un fronte di battaglia più profondo e molto più delicato: l’alienazione non trova più la sua causa semplicemente nell’organizzazione industriale del lavoro, ma trova la sua causa nel nostro più oscuro e inconfessato desiderio di adorazione. In definitiva, l’alienazione ha ora la sua causa in noi stessi.

Enrico De Zottis
Enrico De Zottis Nato a Venezia nel 1987 e cresciuto a Mogliano Veneto, da oltre un decennio si occupa professionalmente di Gestione delle Risorse Umane presso aziende multinazionali. Ad oggi vive e lavora a Lione (Francia). Nel tempo libero si dedica allo studio di tematiche socio-economiche, oltre che alla musica e al trekking. Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza a Padova e un Master in Analisi Economica a Roma.

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