A margine della recente assemblea dell’associazione di quartiere a Campocroce, mi è capitato di riflettere su alcuni interventi riguardanti le aspettative dei suoi abitanti. Legittime le aspettative di un miglior collegamento con il centro del nostro comune, legittime le frustrazioni derivanti da una certa avvertita marginalizzazione, di cui è emblematica la mancanza di un negozio di alimentari col panificio. Certo c’è una pizzeria da asporto, ci sono due parrucchieri, la farmacia e il bar. C’è lo spaccio carni/formaggi dell’azienda agricola Donadel. Ma ha chiuso, oramai da molti mesi, il Maxì Family. Francamente mi è parso inattendibile il capro espiatorio individuato rumorosamente da qualcuno, per addossare la “colpa” di tale carenza: il negozio avrebbe chiuso i battenti per… mancanza di parcheggio, cioè come diretta conseguenza della realizzazione della piccola piazza antistante, su cui non possono sostare le macchine.

Per ragioni professionali diverse conosco approfonditamente le vere ragioni che hanno portato alla cessazione dell’impresa commerciale, presente nella frazione da circa un secolo. Si tratta di una crisi partita da lontano, quando la cintura del territorio si è contornata della presenza di ipermercati e supermercati concorrenti molto aggressivi: a nord Lando, a ovest lo Spak Market, a sud i numerosi punti vendita di Peseggia e Mogliano ovest. La clientela si è ridotta sempre più. A frequentare il punto vendita della frazione, con regolarità per la spesa principale, era una sempre meno numerosa clientela, magari anche cosciente della sua funzione preziosa. Altri cittadini, anche tra coloro che ora protestano, se ne servivano solo occasionalmente, perché inseguivano altrove la loro convenienza.  Legittimamente, certo, ma non si possono pretendere servizi che non si utilizzano. Si consideri che ultimamente il negozio aveva conosciuto un vero e proprio rinascimento, proprio durante il primo terribile lock-down per il Covid. Le consegne a domicilio avevano riportato clientela in abbondanza. Ma si è trattato di un fuoco di paglia, benedetta pandemia. Passato il Covid, la gente ha ripreso le consuete abitudini, con poca gratitudine verso chi li aveva serviti nei momenti difficili. Altro che mancanza di parcheggi!

Nessuno, che io sappia, era stato scoraggiato per tale motivo dal frequentare la bottega: ai lati della via Rigamonti ed anche lungo tutta la via Zero Branco, davanti all’asilo e ai campi sportivi, esiste una teoria immensa di posti asfaltati. In quanto a comodità, è una soluzione ben più agevole di quella che si trova negli spazi distanti dei giganteschi centri commerciali. Un’altra botta, casomai, la darebbe l’avvento del nuovo superstore di Visotto nell’area Nigi che può scoraggiare ulteriormente l’insediamento di un nuovo negozio nel piccolo centro.

Venni ad abitare nella frazione di Campocroce nel 1970: già all’epoca essa appariva come un borgo periferico. Alcuni angoli suggestivi e qualche edificio antico, comunque, ne caratterizzavano un certo fascino paesaggistico storico e pregevole, da preservare: l’area della filanda con la chiesetta e il convento (casa Calzavara), l’antica piazzetta con l’edificio della trattoria (chiusa da tempo immemore) detta l’Ancora o la Cibera, la villa Rigamonti e il ponte a schiena d’asino con lo scorcio sul fiume Zero e il mulino.  Quest’ultimo è stato deturpato da una improvvida ristrutturazione stradale della provincia che lo ha privato della sua bellezza, senza risolvere la viabilità. Per preservare almeno il paesaggio davanti alla filanda è stata condotta una lunga battaglia, anche con l’intervento di Salviamo il paesaggio, attraverso convegni e manifestazioni che hanno mobilitato la Soprintendenza di Venezia: oggi la cartolina lasciata alle generazioni future è quasi intatta.

Anche i cittadini che si recano alla messa trovano ora abbondanti parcheggi, in precedenza carenti. Ricordiamo che sul campo antistante la filanda, lato ovest, era pronta l’autorizzazione a costruire 5000 metri cubi: uno sfregio all’integrità. Per edificare nuove case ci sono disponibili due grandi aree lottizzabili, se ci sarà qualcuno che vorrà investire sul mattone, senza pregiudicare le nostre bellezze.

Per la piazzetta, vecchie ruggini politiche ne disconoscono il pregio: magari si sarebbe preferito che il piccolo cuore riconosciuto della frazione diventasse un ennesimo parcheggio a margine di una rotatoria, com’era previsto in precedenza. Auto e ancora auto, case su case, cemento: la distruzione del paesaggio rimane in agguato, secondo il modello veneto. Ma è una visione superata, persino gli irriducibili si stanno accorgendo che occorre una nuova progettazione: lo stesso comune di Treviso ha annunciato una revisione dei propri piani per consentire la fruibilità della città, senza più l’assillo di auto.

Anche la piazzetta a Campocroce troverebbe ottimale coronamento con l’acquisizione pubblica della vecchia trattoria, opportunamente ristrutturata come Casa per la comunità campocrocina. Non sarebbero necessarie ulteriori edificazioni. La struttura, il porticato, il giardino posteriore sarebbero una location adatta: troverebbe posto una saletta riunioni adattabile, un centro di ritrovo e magari una biblioteca/ludoteca per i ragazzi e spazi per eventi. I soldi? Se, solo a mo’ di esempio, consideriamo che per rifare un paio di centinaia di metri di strada sulla via don Bosco a Mogliano, per puro abbellimento, si spenderanno poco meno di 3 milioni di euro (escludendo i costi della pista ciclabile da Marocco al centro), forse era opportuno dirigere i fondi per un’operazione meno di immagine, ma certo più funzionale per la frazione disagiata.

Nel mentre scrivo questo articolo mi viene in mente un episodio del passato: solo i più vecchi ricordano che Campocroce ha rischiato di diventare una orribile zona agro/industriale. Si tratta del tratto di campagna che si allinea a nord della via Zero Branco, nel tratto rettilineo che da Campocroce conduce verso la trattoria da Bimbari: all’epoca la giunta democristiana col vicesindaco Maser ne avevano sponsorizzato la realizzazione. I soliti guastafeste (o lungimiranti?) del primo Consiglio di Quartiere hanno impedito che la frazione si trasformasse in un discutibile agglomerato puzzolente di capannoni. Oggi, transitando su quella strada, ci si allarga il cuore: all’orizzonte si possono ancora ammirare le propaggini delle montagne e sui prati lungo la strada pascola indisturbata una piccola mandria di asini, mentre intorno si muove una bianca frotta di oche bianchissime.  Il significato della tutela dei luoghi simbolo non è reazionario: talvolta occorre lasciar passare i decenni per accorgersi che miglioramento fa una pessima rima con stravolgimento. L’Italia vive in questa stagione una riscoperta turistica impressionante, anche nelle località minori. Pure Campocroce, se la si ama davvero, deve contribuire a mantenere con cura le sue perle, tante o poche che siano. Qui non c’entra più lo schieramento politico, è una questione di visione: a rovinare tutto, ci si mette un momento. E quando capita, è per sempre.

Roberto Masiero
Roberto Masiero è nato da genitori veneti e cresciuto a Bolzano, in anni in cui era forte la tensione tra popolazioni di diversa estrazione linguistica. Risiede nel trevigiano e nel corso della sua vita ha coltivato una vera avversione per ogni forma di pregiudizio. Tra le sue principali pubblicazioni: la raccolta di racconti Una notte di niente, i romanzi Mistero animato, La strana distanza dei nostri abbracci, L’illusione che non basta, Dragan l’imperdonabile e Il mite caprone rosso. Vita breve di norbert c.kaser.

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