Non abbiamo capito niente della terza alluvione in pochi mesi (dopo Ischia e le Marche): ennesima prova dell’ignoranza e supponenza dell’homo SAPIENS. Nella “babele mediatica”, che si sta rivelando una prodigiosa e funesta “arma di distrazione di massa”, non sono echeggiate parole come “suolo” e “alberi”, quasi non fosse il momento di ascoltare l’appello di geologi e scienziati a “fermare” il consumo di suolo “permeabile” e quello del botanico Stefano Mancuso a investire “sugli alberi e il loro apparato radicale”: raccomandazioni che diventano ancor più pressanti in presenza delle conseguenze alluvionali dei cambiamenti climatici. In compenso sono echeggiate le parole dell’homo sapiens che, dopo averci condotto sul bordo della “sesta estinzione di massa”, in questa occasione straparla di “bacini di laminazione”, di “nuove dighe” e di “dragaggio degli alvei fluviali”.
Il “dragaggio dell’alveo dei fiumi”, in particolare, è un boccone informativo avvelenato dalla superficialità di politici e giornalisti. Infatti, una cosa è la “pulizia dell’alveo” (da effettuare nei periodi di siccità e comunemente chiamata “manutenzione”) di tutti i piccoli e grandi corsi d’acqua, fossati compresi, un’attività su cui penso ci sia un “consenso unanime”, altra cosa è il “dragaggio”, che non è la superficiale pulizia dell’alveo, ma “uno scavo per asportare sabbia, ghiaia e detriti da un fondo subacqueo”(Wikipedia). Uno scavo che può provocare un aumento di pendenza, innescando erosione delle sponde per eccesso di energia della corrente, instabilità in prossimità delle pile di ponti, perdita di habitat acquatici e delle fasce riparie e, soprattutto, l’abbassamento e impoverimento della falda freatica con relative e conseguenti difficoltà di approvvigionamento idrico: una “disconnessione ecologica” che non ci possiamo permettere perché le alluvioni si alterneranno, purtroppo, a “periodi di siccità” e quindi la mitigazione degli effetti estremi deve andare di pari passo con la gestione oculata della risorsa acqua e la “ricarica naturale delle falde”. Dopo l’ennesimo effetto dei cambiamenti climatici manifestatosi in Romagna le chiacchiere che accompagnano il dibattito sul “da farsi” è sconfortante: gli “assenti” in questa penosa discussione, costellata dalle immancabili fake news, sono il “suolo” e gli “alberi”.
Chissà perché della funzione del “suolo” e della “vegetazione” ne parlano solo i geologi. Antonio Cederna nel 1978 (45 anni fa) scriveva come “il geologo è un personaggio scomodo, la sua attività non serve alla politica elettoralistica”: sia mai che gli “scienziati della terra” disturbino il flusso degli affari e dei profitti.
Se chiedete ai governatori di regione o anche a qualche ministro quale potrebbe essere il ruolo del “suolo non ancora cementificato” e il ruolo degli “alberi lungo gli argini”(vegetazione riparia) nell’attenuare gli effetti più dirompenti delle piene sulla vita delle popolazioni, molto probabilmente vi risponderanno che il primo è lo spazio dove fare bacini di laminazione con muraglioni alti una decina di metri per una lunghezza di decine di chilometri (di cemento, quello con manca mai) e l’escavazione di centinaia di ettari e che i secondi, gli alberi, andrebbero eliminati dagli argini in nome della sicurezza idraulica.
Se in Emilia-Romagna non si fosse consumato suolo nel 2021 per 78,6 ettari in aree a “pericolosità idraulica elevata” e 501,9 ettari in aree a “pericolosità idraulica media” nonostante il Regio Decreto 523/1904 “vieti di costruire in alveo, in fascia di rispetto di corsi d’acqua e in golena”, avremmo avuto gli stessi danni? O se non si fosse proceduto ad un taglio massivo di alberi lungo gli argini che con il loro intreccio di radici proteggevano la fascia spondale dalle erosioni (penso al fiume Savena) avremmo avuto comunque una esondazione di quelle proporzioni?
Il valore ecosistemico della “permeabilità del suolo naturale” e della “stabilizzazione degli argini ad opera degli alberi” sono totalmente assenti dalla “babele mediatica”, la quale salva d’ufficio chi ha “(mal)governato” il territorio, consumato suolo e autorizzato il taglio di migliaia di alberi delle fasce ripariali dei fiumi. La funzione della “vegetazione riparia” la troviamo descritta anche in Wikipedia: “le curve sinuose di un fiume, combinate con la vegetazione e i sistemi delle radici dissipano l’energia del corso, risultando nella minore erosione dei suoli e in una riduzione dei danni delle inondazioni”.
Purtroppo fra un po’ di giorni l’industria della “sovra informazione” porterà la nostra attenzione su altre questioni più o meno importanti e più o meno impattanti sul nostro futuro e ciò che è accaduto in Romagna diventerà l’effetto di un fenomeno epocale, ma dal peso emotivo e scientifico livellato e degradato ad uno dei tanti episodi di cronaca che non disturba le rotte tracciate da una “politica analfabeta”, ecologicamente parlando. Attraverso i nostri smartphone la “sovra informazione mediatica”, con la sua “funzione distrattiva” da quelle che sono le priorità epocali, farà defluire l’energia della nostra attenzione verso una overdose di notizie o verso dei talk show parolai ed entreremo, stanchi mentalmente, in una fase di “risparmio energetico neuronale” per cui non avremo voglia di lottare per abrogare le leggi sul suolo del Veneto e dell’Emilia Romagna che aumentano il consumo di suolo affermando di volerlo contenere e tanto meno saremo disposti a premiare, con il nostro voto nella cabina elettorale, chi si batte per una rigorosa legge nazionale che arresti subito il consumo di suolo, senza se e senza ma. Anche se sto povero suolo una mano ce la darebbe gratis visto che “alle nostre latitudini, un ettaro di suolo non cementificato in buono stato è in grado di trattenere circa 3,75 milioni di litri, pari ad una pioggia di 400 mm, solo considerando il contributo reso dalla sua porosità e dai primi 100 cm di spessore” (Commissione Europea 2012, da “L’intelligenza del suolo”, Paolo Pileri).