Le uscite del presidente del Senato sulla Resistenza e sul 25 Aprile non meritano alcun commento, perché sarebbe come discutere di scienza con un terrapiattista. È utile invece ribadire, a mo’ di  risposta, come nella Costituzione l’antifascismo non solo sia presente, ma ne costituisca il tratto più rilevante e significativo.

Lo sanno anche i ragazzi di terza media e coloro che hanno letto la Carta senza gli occhiali dell’ideologia. È vero che nel testo della Costituzione non c’è un cenno esplicito all’antifascismo o alla Resistenza e che solamente nell’art. XII delle Disposizioni transitorie e finali si fa riferimento al passato regime e al divieto di riorganizzare, sotto qualsiasi forma, il disciolto partito fascista.

Ma furono decine gli interventi in cui si richiamarono gli anni della dittatura e della lotta di Liberazione, anche in considerazione del fatto che numerosi padri costituenti avevano subito le atrocità del regime, oppure avevano partecipato – combattendo o da dirigenti di partito – alla guerra partigiana.

Basti pensare che la metà delle donne elette alla Costituente avevano aderito alla Resistenza o erano state in carcere, al confino o in esilio: Adele Bei, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi, Nadia Gallico Spano, Teresa Noce, Nilde Iotti, Teresa Mattei, Angela Gotelli, Maria Federici, Angelina Merlin.

La risposta migliore a La Russa l’hanno data Piero Calamandrei e Aldo Moro proprio durante i lavori della Costituente.

Il primo, eletto nella fila del Partito d’azione, prendendo la parola nella prima seduta dell’Assemblea riunita in sessione plenaria, il 4 marzo 1947, sottolineò la centralità dell’antifascismo come principio fondante della Costituzione e della Resistenza come esperienza che aveva caratterizzato il vissuto di un’intera generazione:

“C’è nelle disposizioni transitorie, del progetto, un articolo che proibisce «la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del partito fascista». Non so perché questa disposizione sia stata messa fra le transitorie: evidentemente può essere transitorio il nome «fascismo», ma voi capite che non si troveranno certamente partiti che siano così ingenui da adottare di nuovo pubblicamente il nome fascista per farsi sciogliere dalla polizia. Se questa disposizione deve avere un significato, essa deve esser collocata non tra le disposizioni transitorie, e non deve limitarsi a proibire un nome, ma deve definire che cosa c’è sotto quel nome, quali sono i caratteri che un partito deve avere per non cadere sotto quella denominazione e per corrispondere invece ai requisiti che i partiti devono avere in una Costituzione democratica.

[…] Se noi siamo qui a parlare liberamente in quest’aula, in cui una sciagurata voce irrise e vilipese venticinque anni fa le istituzioni parlamentari, è perché per venti anni qualcuno ha continuato a credere nella democrazia, e questa sua religione ha testimoniato con la prigionia, l’esilio e la morte.

Io mi domando, onorevoli colleghi, come i nostri posteri tra cento anni giudicheranno questa nostra Assemblea Costituente: se la sentiranno alta e solenne come noi sentiamo oggi alta e solenne la Costituente Romana, dove un secolo fa sedeva e parlava Giuseppe Mazzini. Io credo di sì: credo che i nostri posteri sentiranno più di noi, tra un secolo, che da questa nostra Costituente è nata veramente una nuova storia: e si immagineranno, come sempre avviene che con l’andar dei secoli la storia si trasfiguri nella leggenda, che in questa nostra Assemblea, mentre si discuteva della nuova Costituzione Repubblicana, seduti su questi scranni non siamo stati noi, uomini effimeri di cui i nomi saranno cancellati e dimenticati, ma sia stato tutto un popolo di morti, di quei morti, che noi conosciamo ad uno ad uno, caduti nelle nostre file, nelle prigioni e sui patiboli, sui monti e nelle pianure, nelle steppe russe e nelle sabbie africane, nei mari e nei deserti, da Matteotti a Rosselli, da Amendola a Gramsci, fino ai giovinetti partigiani, fino al sacrificio di Anna-Maria Enriquez e di Tina Lorenzoni, nelle quali l’eroismo è giunto alla soglia della santità.

Essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi, con semplicità, come se si trattasse di un lavoro quotidiano da compiere: il grande lavoro che occorreva per restituire all’Italia libertà e dignità. Di questo lavoro si sono riservata la parte più dura e più difficile; quella di morire, di testimoniare con la resistenza e la morte la fede nella giustizia. A noi è rimasto un compito cento volte più agevole; quello di tradurre in leggi chiare, stabili e oneste il loro sogno: di una società più giusta e più umana, di una solidarietà di tutti gli uomini, alleati a debellare il dolore. Assai poco, in verità, chiedono a noi i nostri morti. Non dobbiamo tradirli.”

E qualche giorno dopo Aldo Moro rispose con parole inequivocabili a chi esprimeva il desiderio che “la nuova Costituzione italiana fosse una Costituzione non antifascista, bensì afascista”: “Non possiamo fare una Costituzione afascista, cioè non possiamo prescindere da quello che è stato nel nostro Paese un movimento storico di importanza grandissima, il quale nella sua negatività ha travolto per anni le coscienze e le istituzioni. Non possiamo dimenticare quello che è stato [il fascismo], perché questa Costituzione emerge da quella resistenza, da quella lotta, da quella negazione, per le quali ci siamo trovati insieme sul fronte della resistenza e della guerra rivoluzionaria ed ora ci troviamo insieme per questo impegno di affermazione dei valori supremi della dignità umana e della vita sociale”.

Daniele Ceschin
Nato a Pieve di Soligo il 20.12.1971. Storico con un dottorato di Storia sociale europea dal medioevo all’età contemporanea. Docente a contratto di Storia contemporanea dal 2007 al 2011 all’università di Ca’ Foscari di Venezia. Autore di pubblicazioni a carattere storico. E’ stato Vicesindaco a Mogliano Veneto dal 2017 al 2019.

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