Quando siamo stati bambini, e dentro lo siamo quasi tutti, abbiamo adorato il mondo che ci proponeva Walt Disney: un ambiente naturale dove animaletti antropizzati dalle ciglia affascinanti (Bamby) ci suggerivano possibili incontri meravigliosi sui sentieri nei boschi. Non soltanto cerbiatti o scoiattoli saltellanti, anche farfalle che col loro volo sensato ci indicavano il cammino giusto per non perderci. Nel sottobosco ci impressionava il colore di funghi coloratissimi che immaginavamo senza veleno. I cartoni di Hanna – Barbera, invece, hanno avuto l’intuizione di mostrare l’amabile orso mascalzone Yoghi col suo fido compagno Bubu, ladruncoli inoffensivi di merendine. L’immagine della natura costruita a misura dell’Uomo è un retaggio che coltiviamo dalla notte dei tempi e l’Eden in qualche modo, per l’immaginario collettivo, ne rappresenta l’archetipo. Il rapporto con la Natura si è via via strutturato con un’ambiguità ideologica di fondo: da un lato ci consideriamo parte di un sistema, asservito a proprie regole universali che considerano l’umanità una componente tra le altre, senza particolari privilegi dinastici; dall’altro  si è sviluppato come una pretesa di assoluto dominio, che la stessa Bibbia (o meglio il suo estensore) ci assegna con le parole della Genesi (1,26): E Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». Dunque qui si ribadirebbe una padronanza o potestà incontrastata e non una convivenza su basi quantomeno paritetiche. Il rapporto con la Natura, purtroppo, da qui in poi ci racconta preferibilmente proprio di un atteggiamento di possesso, muscolare. Quando l’imporsi delle forze della Natura smentisce questa presunta superiorità umana, ecco che ne siamo profondamente indispettiti, quasi per lesa maestà, e la reazione è conseguente. Del resto è un fatto che viviamo nell’Antropocene e sembra che non possiamo permetterci esitazioni: ne va del progresso consumista, del benessere, dell’economia e ammennicoli vari.

Ogni tanto, fortunatamente, ci viene il dubbio che l’universo non giri come un computer programmato dall’Uomo e allora la momentanea coscienza della nostra piccolezza ci salva dalla protervia: la Natura impone regole del gioco eguali per tutti gli esseri, per non pagare un pegno inesorabile.

Ritorniamo alla storia dell’orso. Proprio quest’anno ho percorso chilometri e chilometri nel parco Nazionale d’Abruzzo, sperando di vedere un esemplare marsicano. A parte qualche cartellone, mi sono dovuto accontentare di un cervo imponente e di osservare da vicino i tre esemplari di orsi acciaccati, tutti di provenienza slovena, rinchiusi nel Centro visite di Pescasseroli: l’areale degli orsi in piena libertà, su quel territorio poco abitato, può contare su circa 496 km2 e dunque vederne uno è come vincere alla Lotteria di capodanno.

La pretesa degli uomini è quella di avere a disposizione, per il proprio piacere, tutta la fauna e la flora disponibile sul mercato, a patto che non disturbi: l’equilibrio preteso è precario. Così si è deciso per la reintroduzione anche in Trentino degli orsi (progetto Life Ursus, finanziato dall’Europa a fine anni ‘90), a suo tempo decimati fino all’estinzione. Questo tiramolla, di volere le cose ma mai disposti a pagarne un prezzo, genera mostri. Il Trentino si fregia di essere una terra di grande accoglienza turistica: dopo aver speso fior di danari per la propaganda a favore del fatto che l’orso è una rarità presente nei suoi boschi, ottima per attirare altri turisti curiosi, oggi si accorge che la bestia si è trovata fin troppo bene. La popolazione ursina è un poco cresciuta (stiamo comunque parlando di ca 80/100 esemplari in tutta una regione) e se capita un incidente, per altro rarissimo come è successo, dàgli addosso all’orso “assassino”e anche a tutti gli altri, incolpevoli. È noto che un orso non sceglie mai l’uomo come preda e reagisce solo per paura o se deve difendere i piccoli. In tutta Italia ci sono circa 200 orsi. In Slovenia si contano all’incirca 1200 esemplari e non sussistono problemi: è una questione di capacità di gestione.  Ma qui, a fronte di un’economia turistica imponente, suggerisce persino Reinhold Messner, il re degli ottomila, meglio sarebbe spostarne parte in altri territori desertici come il Tibet e la Siberia. Al mondo bisogna scegliere e… l’economia è l’economia. Si ripropone la stessa canzone che riguarda i lupi: privilegiare la convivenza, con i rischi che talvolta comporta, o accettare le ragioni dei pastori e degli allevatori che subiscono la razzia di incolpevoli agnelli e mandrie?

Praticamente, la specie umana che ora ama tanto gli animali ed ora preferisce farne abbacchio e bistecche, che ora si sente Tarzan e ora trema al più piccolo rumore nel bosco, ci costringe ad una conclusione: gli orsi sono bestie meravigliose, da stringere quando sono peluches, oppure da confinare nelle favole, nei cartoni animati e negli zoo. Il movimento del pendolo della sensibilità umana, sempre oscillante rispetto a ciò che desidera davvero, non ha soluzione.

Roberto Masiero
Roberto Masiero è nato da genitori veneti e cresciuto a Bolzano, in anni in cui era forte la tensione tra popolazioni di diversa estrazione linguistica. Risiede nel trevigiano e nel corso della sua vita ha coltivato una vera avversione per ogni forma di pregiudizio. Tra le sue principali pubblicazioni: la raccolta di racconti Una notte di niente, i romanzi Mistero animato, La strana distanza dei nostri abbracci, L’illusione che non basta e Dragan l’imperdonabile.

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