Ascolta l’articolo

Hanno prodotto una larga reazione le parole del ministro Piantedosi di fronte al tragico naufragio sulle coste calabresi.

La magistratura farà i suoi accertamenti  per capire la dinamica e le responsabilità . Ma le parole di un  ministro non hanno bisogno di passare attraverso il vaglio della legge. Devono passare attraverso il vaglio della nostra sensibilità civile.

Le parole di Piantedosi sono apparse inumane, rafforzate poi dall’onorevole Rampelli  e infiocchettate da quel Vittorio Feltri che continua a mostrare quanto invecchiare non sia un’arte alla portata di tutti.

Di fronte a tali tragedie conta, se sei persona delle istituzioni,  ogni singola parola, ogni singolo gesto, perché di fronte alla morte e al dolore gli esseri civili esprimono empatia non corrosività.

Gli indifferenti o i crudeli non sentono alcuna vicinanza con il dolore, quando non sia strettamente il proprio.  I freddi corpi sono vite dissipate, fastidi. Non sono uomini, donne, bambini, che hanno vissuto: sono intoppi per i loro alti obiettivi personali.

Va da sé che l’Italia, a Crotone, era tutta e solo nella figura del Presidente.

E’ così che si fa, se sei un paese democratico e civile.

Ma il “sentimento” delle parole di Piantedosi permette di fare qualche considerazione sui tempi grevi che stiamo vivendo.

Raramente consideriamo che la specie umana abbia, tra le tante sue peculiarità, quella di essere scarsamente cooperativa e fortemente conflittuale. Esattamente il contrario della stragrande maggioranza della biomassa vivente.

Siamo portati, superficialmente, a credere che  essere e rimanere umani implichi avere pietas, comprensione, accoglienza.  Non sono comportamenti spontanei. Esigono scelte, ragionamenti, maturità.

La nostra eccezionalità di specie, certo occultata dalle splendide produzioni artistiche che ci inducono a credere che siamo meravigliosi, è invece il motore di una lunga storia di conflitti, una storia in cui la pace è un’eccezione quando non una parentesi tra conflitti.

Una parte consistente dell’umanità considera le altre parti come diversi, ma anche antagonisti, persino nemici, persino inferiori.

Questa convinzione  non determina necessariamente una “appartenenza politica”. E’ assai più profonda delle personali scelte di voto.

E’ la ruggine o l’ombra del nostro processo di civiltà. Una malattia antica, alimentata da esperienze affettive ed emotive individuali, scelte ideologiche, interessi economici. Una epidemia che si affievolisce e poi riesplode sistematicamente. Anche tra le istituzioni, come abbiamo visto in questi giorni.

Per questo è necessario, quando diventa tanto manifesta (ma anche in ogni momento concreto della quotidianità), ostacolarla. Soprattutto con una convinzione:  che i modelli conflittuali sono meno efficaci dei modelli cooperativi. Che  non c’è futuro per la nostra specie sulla punta di baionette o missili o usando parole di astio e denigrazione.

Affoghiamo tutti se le assi dell’imbarcazione comune sono corrose dalla crudeltà…

Fulvio Ervas
Fulvio è nato nell’entroterra veneziano qualche decina di anni fa. Ha gli occhi molto azzurri e li usa davvero per guardare: ama le particelle elementari, i frutti selvatici e tutti gli animali. Si laurea in Scienze Agrarie con un’inquietante tesi sulla “Salvaguardia della mucca Burlina”. Insegna scienze naturali e nelle ore libere tre campi magnetici lo contendono: i funghi da cercare, l’orto da coltivare, le storie da raccontare. Nel 1999 ha vinto il premio Calvino ex aequo con Paola Mastrocoda. Da allora ha pubblicato moltissimi libri tra i quali “Tu non tacere”, “Follia docente”, “Nonnitudine”, gli otto che hanno per protagonista l’ispettore Stucky da cui è stato tratto il film “Finché c’è prosecco c’è speranza” interpretato da Giuseppe Battiston e “Se ti abbraccio non aver paura” che ha vinto numerosi premi ed ha ispirato, nel 2019, il film di Gabriele Salvatores “Tutto il mio folle amore”.

1 COMMENT

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here