Domenica prossima si terranno le primarie per la scelta del segretario del Partito Democratico. Come noto, a contendersi questo ruolo saranno Stefano Bonaccini ed Elly Schlein, con il primo che ha prevalso ampiamente nel voto degli iscritti rispetto agli altri tre candidati (c’erano anche Gianni Cuperlo e Paola De Micheli). La sfida è aperta e… vinca il migliore.

Ma qui ora, quello che conta, è la partecipazione dei cittadini che, mi auguro, possano cogliere questo appuntamento come un’opportunità. Perché in fondo le primarie costituiscono un passaggio fondamentale non solo per il PD e il centrosinistra, ma per la democrazia in questo Paese. Infatti non rappresentano solo un modo per selezionare quella che in maniera in po’ enfatica viene definita “classe dirigente”, ma per restituire ai cittadini la possibilità di scegliere direttamente chi in questo caso sarà il segretario del PD, oppure il candidato a guidare la coalizione di centrosinistra, oppure il candidato sindaco; o anche i nomi da inserire nelle liste per le elezioni politiche, dal momento che oggi, in virtù di questa scellerata legge elettorale, sono i segretari di partito a decidere chi saranno i candidati e quindi anche gli eletti. Quando il centrosinistra ha utilizzato questo strumento, difficilmente il candidato riuscito vincitore ha poi perso le elezioni vere. Quando invece il centrosinistra è ricorso a formule bizzarre, ha imposto una figura condivisa solo nei “caminetti” o ha tirato fuori dal cappello un candidato che era la brutta copia dell’avversario, gli elettori hanno scelto, giustamente, l’originale. Pertanto, primarie sempre e primarie ovunque. A patto che non si parli solo dei candidati, ma anche dei loro programmi e di ciò che vogliono proporre per un partito e, soprattutto, per una città o per il Paese.

Ricordo ancora le “prime” primarie dell’ottobre del 2005 che incoronarono Romano Prodi a guidare l’Unione. Che vinse le elezioni perché l’uomo era di spessore, ma la cui coalizione… beh, lasciamo perdere. Sembra un secolo fa. Anche se l’esito era già scritto, quel giorno c’era un entusiasmo vero. Man mano che le ore passavano, io e i miei compagni di seggio ci stupivamo di tutte quelle persone in fila che aspettavano il loro turno in maniera ordinata. Non riuscivamo a credere ai dati dell’affluenza. A un certo punto in tutta Italia siamo stati costretti a fotocopiare le schede elettorali per permettere a tutti di votare. Quindi il mio invito è di andare a votare domenica prossima e di scegliere confrontando i programmi dei due candidati. E di farlo anche considerando che i dati drammatici dell’affluenza alle elezioni regionali della Lombardia e del Lazio possono rappresentare per la nostra democrazia un punto di non ritorno.

Per una serie di ragioni la mia scelta domenica andrà, in maniera convinta, a Stefano Bonaccini. Il motivo più importante è che è una delle poche figure del PD (azzarderei l’unica) che in questo momento sarebbe in grado di battere la destra. E scusate se è poco. Perché lui la destra l’ha già battuta, peraltro quando era più forte. Obiezione: sì, ma in Emilia-Romagna. Certo, in Emilia-Romagna, ma facendo, non solo dicendo, cose di sinistra e portando la sua Regione ad essere, ad esempio, ai vertici della sanità in Italia. Mi pare un buon viatico. Inoltre, la sua candidatura parla a tutto il Paese e non solo a una parte. Perché a mio parere il PD deve essere guidato da una figura che sia in grado di interpretare i bisogni di tutti, non solo di coloro (sempre meno, purtroppo) che già ti votano, ben sapendo che vanno difesi non solo i diritti civili ma anche i diritti sociali che la destra sta smantellando. Bonaccini è un amministratore locale e si è sempre misurato, oltre che con il consenso, con i problemi reali delle persone. Non è un caso che la stragrande maggioranza di sindaci, assessori, consiglieri comunali lo sostengano guardando alla sua concretezza: il suo programma per la segreteria, infatti, è quasi un programma elettorale per l’Italia di cose che ha già realizzato nella sua Regione. Infine, Bonaccini è uno dei pochi che ha ben chiaro cosa sia un partito, come funziona, come (ri)organizzarlo e che cosa deve comunicare.

Daniele Ceschin
Nato a Pieve di Soligo il 20.12.1971. Storico con un dottorato di Storia sociale europea dal medioevo all’età contemporanea. Docente a contratto di Storia contemporanea dal 2007 al 2011 all’università di Ca’ Foscari di Venezia. Autore di pubblicazioni a carattere storico. E’ stato Vicesindaco a Mogliano Veneto dal 2017 al 2019.

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