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Se fosse stata cucita diversamente, questa connotativa raccolta di racconti che danno il titolo alla recensione e sgorgati dalla penna nuova di Erida Petriti, potrebbe avere il respiro di un romanzo breve, per molti versi autobiografico: ma l’autrice avvertiva l’esigenza di frapporre un velo, tra la propria esperienza diretta di giovane vittima della insensata dittatura di Henver Hoxa, e il diritto ad una dignitosa, quasi pudica riservatezza. Le conseguenze del disastro sociale albanese si sono proiettate ben oltre il periodo storico in cui ebbe il sopravvento tale regime, di fatto ufficialmente chiuso con le libere elezioni del 1991: nell’emigrazione forzata, nell’imperversare delle bande che, dopo, provocarono una vera e propria guerra civile, nella lacerazione permanente della psiche di quanti ebbero familiari torturati e fatti sparire, nelle contraddizioni di una società non ancora abbastanza pronta, per inesperienza, ad inserirsi nel percorso della vita democratica del proprio Paese di lignaggio europeo.
Erida Petriti è giovane, ma non lo fu abbastanza da scansare l’orrore della dittatura nel periodo del suo drammatico epilogo: tutta l’infanzia e l’adolescenza ne sono state influenzate. Di violenza è stata inquinata specialmente l’amara memoria della sua famiglia, perseguitata, rea di un peccato originale inviso al potere: quello di provenire da una classe sociale culturalmente ed economicamente più elevata. La storia è beffarda: in Italia abbiamo subito l’aggressività dell’era fascista, prodotto patologico della destra estrema. A poche centinaia di chilometri, divisi appena da un braccio di mare, gli albanesi sono stati soffocati nella barbarie e negli eccessi di un comunismo di tipo staliniano, ottuso. La lezione della storia ci insegna che il rischio della politica, ma spesso anche della religione, quando si affida ad interpretarle in esclusiva ad uomini della provvidenza spietati, è proprio la degenerazione delle teorie, anche se formalmente rivolte al bene, in delinquenziali macchine oppressive.
L’ atmosfera pungente di tale cornice, in questo libro fa soltanto da sfondo: la scelta dell’autrice, che ora vive a Mogliano Veneto, è stata quella di rappresentare uno spaccato dei suoi anni giovanili, quello proprio o anche dell’ambiente da lei ben conosciuto, usando – quasi come avatar o alter ego protettivo – dei protagonisti diversi da se stessa. Nell’uso della terza persona è riposta la chiave che le ha aperto una finestra discreta per consentirle di raccontare, pur nell’imbarazzo di ricordi gravosi. Ne risulta un libro avvincente, dove l’accento non è meramente cronachistico o rievocativo. Qui emergono soprattutto gli esiti dei sentimenti, le emozioni di una ragazza carne e sangue che sta crescendo in età e consapevolezza; dove c’è ampio spazio anche per l’amore, per i rapporti puliti, almeno tanto quanto ce n’è per le negatività, o per quello concesso al subconscio che proietta mostri surreali.
Lo stile di Erida Petriti trasmette una linearità che a volte rasenta l’ingenuo, ma non si inganni il lettore! Sotto la scorza rivivono vicende appassionanti, complesse, quasi sempre spiazzanti, nella loro immediatezza. Il primo dei racconti La rivoluzione dei sogni ci proietta nell’orrida materializzazione di un preside di scuola, perverso e colluso col potere, dove i sogni di riscatto, uccisi simbolicamente da chi non osa ribellarsi ai soprusi, reclamano vendetta. Un altro brano dei più riusciti, e a mio avviso toccanti, riguarda Matilda: evocativo di un ritratto abbozzato, sepolto in un bauletto come una reliquia, e di una bambina curiosa. Nel foglio scovato appare un volto bellissimo, prezioso come può esserlo il ritratto della mamma che non c’è più e di cui non esistono altre fotografie: due labbra rosse, unica nota di colore e il resto sono esili contorni grigi, quasi sbaditi anche dalle lacrime. Tutto l’episodio è immerso di cupezza, ma quel rosso delle labbra rimane una pennellata indimenticabile.
Questa ben studiata raccolta di racconti vive di presenze, ma soprattutto di assenze che riappaiono. La fantasia dell’autrice si nutre di vita vissuta, ma la trasfigura con naturale espressività in passaggi di notevole spessore. Le assenze, appunto, non sono mai il ripiegamento in un territorio dell’anima senza luce: come nel racconto Il vento del passato, ecco che magari riaffiora dalle nebbie del tempo una presenza forte, il fantasma evanescente eppure fisicamente sensuale di un innamorato che sfida le leggi imposte dal destino umano, a concludere una storia sentimentale altrimenti ingiustamente inconclusa.
Erida Petriti ha nel proprio dna un’inclinazione narrativa che deriva dalla propria antica tradizione, dove la realtà concreta si fonde, quasi naturalmente, insieme alla percezione che esistono altri mondi oltre a quello sensibile, e dove tutti siamo coinvolti in altre e diverse dimensioni. Non si tratta di semplici fantasie o espedienti letterari astuti: sono echi paleo-balcanici e magici che l’autrice, donna contemporanea, ha assunto inconsapevolmente fin dal latte materno e si manifestano puntualmente. Nel libro c’è spazio per una narrazione che colpisce il cuore a pugnalate, come in Ricordi di una prostituta, dove la fiducia nel proprio uomo si sporca nella bruttura. Con essa affiora come una colpa lo stigma di una comunità istintiva che non perdona; oppure come in Memorie di una testa tagliata che ci riporta alla disperazione di un padre nella sua macabra ricerca, per recuperare almeno il simulacro di suo figlio ucciso.
Le atmosfere pesanti, comunque cariche di tensione narrativa, si stemperano sapientemente nel sorriso più comico, quando rievocano le fughe d’amore e le birbonate di incorreggibili collegiali, come in follie d’amore d’altri tempi.
Nella raccolta trova persino spazio una gustosa avventura vissuta da un’albanese, ricoverata in uno dei nostri ospedali, che condivide la stanza con una vecchia e logorroica vicina di letto, bisbetica, capace di esprimersi solo in un serrato ciarlare veneto. Pur nella ristrettezza scenografica di una camera d’ospedale, Erida Petriti trova il modo di donarci una scenetta vivace e leggera.
Il testo non si esaurisce qui e lascio volentieri i lettori a scoprire tante altre storie, in un’alternanza di inferni e paradisi provvisori. Accompagneranno la scoperta in modo coinvolgente, dove l’uso della lingua italiana adottata da un’autrice nativa albanese (non si tratta di una traduzione!) ci rende consapevoli di quanto sia generosa l’opportunità di contaminazione tra popoli, anche per arricchire l’offerta letteraria. Del resto, reciprocamente, ricordava il grande scrittore di Argirocastro, Ismail Kadare: “l’Albania è il paese ex comunista dove Dante Alighieri è più studiato. Addirittura, Dante Alighieri è più studiato in Albania che in Francia”.
Nel caso specifico di Riflessa in uno specchio rotto è anche l’occasione per avvicinarci, in un modo poco didascalico, all’affascinante contesto albanese che spesso abbiamo ignorato o è stato filtrato attraverso gli occhiali del pregiudizio. Segnalo infine la bella prefazione del giornalista Valerio Di Donato che contribuisce in modo intelligente a completare il testo con alcune note esplicative molto interessanti.
Anche attraverso il frammento di uno specchio rotto, anzi grazie ad esso, riusciamo dunque a intravedere, tra i riflessi, la vicenda umana di una scrittrice autentica, dalla spiccata personalità.
Treviso 27 02 2023 – L’Articolo è molto bello ed anche la calda voce della lettrice invogliano a scoprire il “mondo” di Erida Petriti…
Ci sono due fili, che legano l’Italia, all’Albania.
Il primo, è quello storico, che parte dagli anni della Grande Guerra, per proseguire durante gli anni del secondo conflitto mondiale, e terminare negli anni Novanta, con lo sbarco a Brindisi di migliaia di esuli albanesi.
Il secondo filo, è quello letterario, di cui Erida Petriti, autrice del libro “Riflessa in uno specchio rotto”, per la Pav Edizioni, con la brillante presentazione di Valerio Di Donato, è annoverabile tra le scrittrici esordienti.
Prendendo il lettore virtualmente per mano, Erida, ci accompagna in un viaggio intriso di Speranza, e di cruda realtà, figlia, questa, di un regime comunista spietato, prima, e della guerra civile, poi.
Lo stile di Erida, è semplice, genuino, non ricercato, e forse proprio grazie a questo suo scrivere, invita il lettore a saperne di più, sul suo Paese.
Il libro di Erida, racconta storie di chi ha combattuto, contro il proprio passato, riuscendo a chiudere definitivamente i conti, iniziando una nuova vita.
Storie di bambine, alle quali il regime, ha portato via loro il papà, che consideravano il proprio eroe.
Storie di bambine, emozionate per il loro primo giorno di scuola, tornate a casa con appiccicate addosso l”etichetta di figlie di famiglie capitaliste, nemiche quindi del popolo.
Storie di ex carcerati, tornati a casa, dopo anni di detenzione.
Storie di madri, che hanno allevato i propri figli, orfani di padre.
Storie di giovani, e del loro sogno d’amore, spezzato via dal susseguirsi di eventi avversi.
Storie di amicizie fra compagne di collegio.
Storie di donne ingannate.
Storie di amori rivelatisi veri e propri inganni.
Storie di ragazze, uccise accidentalmente da proiettili vaganti.
Storie di vittime innocenti della guerra civile.
Storie di padri, chiedere in ginocchio, la restituzione del corpo del proprio figlio.
Storie, di una breve “vacanza” in ospedale, e di come i pregiudizi, riescano a minare stupidamente le relazioni fra uomini e donne.
Storie di amicizie ritrovate.
Un grazie, a Erida, per questo spaccato di Storia Patria, alla quale, da lettore appassionato, mi auguro possano seguire altri scritti.