Da sempre i fiumi sono stati luoghi privilegiati allo sviluppo delle civiltà umane e fin dai tempi più antichi, nei territori attraversati dai corsi d’acqua grandi o piccoli che fossero, si sono sviluppate complesse stratificazioni fatte di opere idrauliche, di sovrastrutture viarie ma anche di insediamenti rurali o urbani ricchi di tesori artistici e architettonici. Le ville che costellano il nostro Veneto ne sono la prova più evidente e non a caso molte di esse sono sorte proprio lungo l’asta dei fiumi. Il territorio attorno allo Zero non fa eccezione ma l’essere considerato un corso d’acqua minore rispetto a suoi fratelli maggiori come Piave, Sile o Brenta ha spesso fatto dimenticare che lungo il suo fluire verso la laguna sono passati secoli di storia e sono fiorite comunità che hanno lasciato importanti testimonianze. Anche di tipo letterario perché, a dispetto delle sue dimensioni, dello Zero si sono interessati scrittori grandi e piccoli come ad esempio Giovanni Comisso, il quale, dopo tanti viaggi in giro per il mondo, trovò il suo buen retiro in una casa colonica a Zero Branco che frequentò tra il 1930 e il 1955 scoprendo nel vicino fiume il palcoscenico ideale di una vita agreste scandita dai ritmi della natura.  

Il posto mi riusciva bellissimo, pure essendo in pianura, isolato nel verde. Vi scopersi subito alcuni riferimenti con i panorami visti nei miei viaggi: le montagne sfumavano lontano, cineree come le colline dell’Occidente viste da Pechino, il fiume Zero fluiva lento e brunastro come i canali d’Olanda, vi erano campi gialli di ravizzone come a primavera attorno a Sciangai, ciliegi in fiore come sulle montagne di Nikko e prati verdi e grassi come nei dintorni di Londra. (1)

Da moglianese autentico GIUSEPPE BERTO ha avuto un rapporto ancora più particolare con il fiume della sua città natale, visto che rischiò addirittura di annegare nelle sue acque non proprio vorticose. Ricordò questa disavventura in una deliziosa novella nella quale troviamo forse la più affettuosa descrizione dello Zero.

A mio avviso poche cose al mondo sono così belle come il fiume del mio paese. E’un modesto fiume di pianura, poco più di un fossato arriverei a dire, ma per prima cosa non rimane mai a secco d’acqua, ossia si tratta di un fiume vero e proprio ad onta delle sue proporzioni, e in secondo luogo viene avanti incerto fra due argini nella campagna, facendo le più impensate e commoventi giravolte, e avendo ai lati tutte le specie di alberi che crescono da noi. E’ sempre bello, ma, certo, la sua stagione è l’estate, ed era appunto un giorno al principio dell’estate , quello della mia passeggiata con Adele. Avevo buone ragioni per prevedere che si sarebbe arrivati lontano. L’argine di un fiume piccolo non è, giustamente, molto largo, e noi per forza dovevamo camminare vicini. Dopo un poco la presi sottobraccio. Dopo un altro poco le passai un bracco intorno alla vita. Lei non parlò, né prima né dopo. Camminava con lo sguardo e forse anche col pensiero, intento all’acqua del fiume, che nel frattempo se ne andava verso il mare tranquilla e in silenzio, piegando non senza dolcezza tutte quelle erbe che crescono sul fondo. Io a differenza di lei, parlavo ininterrottamente: la conversazione, com’è facile immaginare, è il mio principale punto di forza. Le raccontavo cose che partivano dal cuore, i miei ricordi del fiume di quando bambino scappavo di casa per venire a nuotare o a pescare. E poi le mostravo un punto dove, all’età di nove anni, avevo corso il rischio di annegare, e poi un altro punto dove ci eravamo rovesciati con una specie di zattera costruita da noi, e un altro punto ancora, questo profondo più di due metri, dove tanti e tanti anni fa un uomo si gettò per amore, con una pietra al collo. (2)

E lo Zero ha continuato per generazioni ad essere irresistibile paradiso balneare (rigorosamente maschile) almeno fino alle soglie degli anni Settanta, come ci racconta da par suo Otello Bison, nuova voce della letteratura locale contemporanea. Due anni fa nella sua prova d’esordio “Bissa Ranera”, divertito e divertente dizionario dialettale, sempre in bilico fra la nostalgia del “come eravamo” e l’ironia del “come siamo diventati, lo Zero appare alla lettera N (noàr) come palcoscenico di improbabili avventure in stile salgariano. 

Negli anni sessanta (ieri praticamente) passavamo tutti i pomeriggi estivi sulle rive dello Zero. Il nostro Mississippi locale altrettanto avventuroso (…) Un fiume che si chiama “Zero” non è propriamente il massimo ma attraversarlo, articolare del bracciare, respirare poco, erano imprese notevoli che inorgoglivano.” (3)

In libreria appare ora la sua nuova fatica nella quale il fiume diventa addirittura protagonista della narrazione fin dal titolo: Tutto è Zero. Nato dopo una lunga gestazione (della quale siamo stati sofferti compartecipi) questo lungo racconto ha il grande pregio di essere leggibile e godibile fin da subito e fino in fondo. E di questi tempi, credete, non è poco. Nella sua impostazione e nella scelta dell’argomento ha molti padri nobili: il Mark Twain di Huckleberry Finn, il Jerome K. Jerome di Tre uomini in barca, l’Enzo Dematté del Regno sul fiume e perfino il Joseph Conrad di Cuore di Tenebra. Altri fiumi, altri contesti, altri livelli, forse, ma la stessa idea romantica di concepire la discesa di un fiume come percorso lento e a volte inquietante di un rito di passaggio, una prova di coraggio, una scoperta “del mondo che c’è fuori”. In altre parole, signori, finalmente un racconto di avventura con la A maiuscola! Protagonisti due ragazzi e una barca (Bissa, poteva chiamarsi altrimenti?) che si lasciano alle spalle comunità, scuola, famiglia e partono alla scoperta dell’ignoto o meglio alla ricerca di quello che c’è dopo ogni ansa del fiume con l’unica certezza che stanno andando verso il mare. E’ una storia avvincente di pesci mostruosi, pescatori di frodo, attacchi degli indiani, fuochi nella notte, fiocine micidiali, strane strutture abbandonate e allevamenti intensivi anche nel senso dell’inquinamento: in 167 pagine l’autore dispiega tutto un universo fluviale fatto di varia umanità contrapposta ad una natura animale e vegetale sfacciatamente padrona del proprio ambiente. Su queste acque infide la Bissa e il suo equipaggio scivolano silenziosamente, quasi a non voler disturbare l’ecosistema, evitandone se possibile i pericoli ma, quando non è possibile,  affrontandoli con il coraggio di antichi marinai di fronte a terre mai viste prima.

“E’un racconto d’altri tempi che forse ritorneranno o che non sono mai passati veramente, sono scivolati sotto il ponte mentre ci specchiavamo tremuli nella corrente del fiume.” (4)  scrive l’autore nella prefazione. E non possiamo che ringraziarlo di averci ripescato dal profondo del cuore lo stupore meravigliato e la voglia di sapere “come va a finire” che solo l’ avventura, quella autentica, sa dare. In fondo non erano sensazioni perdute ma aspettavano solamente un’occasione come questa per riemergere, proprio come i pesci da un fiume.

BIBLIOGRAFIA

  1. Giovanni Comisso                  LA MIA CASA DI CAMPAGNA (1958)
  2. Giuseppe Berto                      LA CLOROFILLA da UN PO’ DI SUCCESSO (1962)
  3. Otello Bison                           BISSA RANERA (2020)
  4. Otello Bison                           TUTTO E’ ZERO (2023)
Renzo De Zottis
Renzo De Zottis é nato a Treviso il 9 settembre 1954 e da qualche anno ha lasciato l'insegnamento nella scuola media. Collabora da lungo tempo con svariati mensili occupandosi prevalentemente di argomenti di carattere storico. Ha inoltre al suo attivo diversi servizi fotografici per le maggiori testate nazionali di automobilismo storico ed é stato addetto stampa in diverse manifestazioni internazionali del settore. Fa parte del direttivo dell'Unitre Mogliano Veneto e da almeno un ventennio svolge conferenze per questa associazione e per l'Alliance Française di Treviso.

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