La notizia del giorno, dopo la separazione di Totti e Hilary, è che nel DNA di ciascuno di noi c’è un po’dell’Uomo di Neanderthal. Millenni di evoluzione dell’Homo Sapiens Sapiens non sono riusciti a cancellare le tracce di questo nostro stretto parente, estintosi, forse a causa nostra, più o meno 30.000 anni fa. Questo vuol dire che Cicerone, Shakespeare, Mozart, Picasso e perfino Chiara Ferragni hanno qualcosa in comune con un essere umano tozzo, piuttosto peloso, dal grande naso camuso e dalle arcate orbitali da pugile che contendeva la residenza all’orso delle caverne? Ebbene sì.

Dobbiamo questa straordinaria scoperta al biologo svedese Svante Pääbo che ha ricevuto in questi giorni il premio Nobel 2022 per la Medicina proprio grazie ai suoi studi e alle sue intuizioni di paleogenomica, scienza basata sulla ricostruzione e l’analisi di informazioni genomiche di specie estinte. Tutto parte dall’estrazione del DNA antico da manufatti museali, ghiaccio, siti archeologici e paleontologici utilizzando tecnologie di sequenziamento di nuovissima generazione. Nel 2008 Pääbo estrae un DNA dall’osso di una falange rinvenuta nella grotta di Denisova in Siberia e si accorge che quel profilo genetico è di una specie umana di cui nessuno sospettava l’esistenza: l’uomo di Denisova, un altro ceppo umano che non è sopravvissuto ma che ha lasciato i suoi geni alle popolazioni del Tibet.

Nel 2010 ricostruisce la sequenza completa del DNA neandertaliano, appena un po’ diverso da quello del Sapiens ma, siccome le due specie hanno convissuto per migliaia di anni, ecco che Pääbo scopre che ciascuno di noi, in una percentuale variabile tra l’1 al 4 per cento, conserva nel proprio DNA una parte di Neanderthal. E’ proprio grazie a questi geni se i Sapiens, provenienti dall’Africa, sono riusciti ad adattarsi al clima piuttosto ostile dell’Europa glaciale, acquisendo col tempo la capacità di sintetizzare la vitamina D o di resistere alla disidratazione. Di contro è accertato che oggi il rischio di avere reazioni severe al COVID sembra sia determinato dalla maggiore o minore presenza di geni neanderthaliani sul nostro cromosoma 3.

Insomma, l’uomo di Neanderthal siamo noi (o quasi).

Serve ora fare un passo indietro e capire chi erano questi cugini estinti. Nel 1856 durante gli scavi in una cava di calcare nella valle di Neander (Neander Thal, appunto) nei pressi di Düsseldorf, venne alla luce uno scheletro umano di un uomo altro circa un metro e sessanta con una prominente mascella, fronte sfuggente all’indietro e arcate sopraccigliari sporgenti. I resti stavano per essere riseppelliti in una fossa comune in terra consacrata ma un insegnante di scienze naturali del posto, tale J.C.Fulhrott, si precipitò a recuperarli e metterli in salvo per la scienza, ritenendo si trattasse di una vittima del Diluvio Universale!

Vista l’impossibilità di avere informazioni stratigrafiche che ne determinassero l’età, si discusse a lungo se si trattava di un primitivo abitante dell’Europa preistorica, di un soldato romano o piuttosto di un individuo moderno affetto da deformità patologica. Alla fine, furono i darwinisti (L’origine delle specie esce proprio nel 1859) i primi a dare all’Homo Neanderthalensis il giusto posto come anello della catena evolutiva verso l’uomo moderno: non un antenato dell’Homo Sapiens dunque ma un ramo collaterale ormai estinto. Dalla metà del XIX° secolo ad oggi le conoscenze su questi nostri cugini sono aumentate a dismisura sia grazie a ritrovamenti sempre più numerosi che ci hanno consegnato scheletri quasi completi di uomini, donne e bambini sia grazie all’evoluzione tecnologica che oggi ci consente di indagare sulla struttura organica più recondita anche di organismi fossili.

Sappiamo che i Neanderthal erano di corporatura assai robusta, ma con gambe e avambracci piuttosto corti, possedevano un volume cerebrale mediamente superiore al nostro (circa 1.500 cc) che però non significa automaticamente una intelligenza superiore perché questo dipende da quali aree del cervello sono più sviluppate. Nulla sappiamo del loro aspetto esteriore, forse alcuni erano biondi con gli occhi azzurri, seppellivano i loro morti; non ci hanno lasciato nessuna manifestazione artistica ma erano abilissimi cacciatori in grado di sopravvivere in una ambiente ostile come quello dell’era glaciale wurmiana. Una sorta di paleomistero resta la loro estinzione, visto che da 30.000 anni in poi non si trovano più tracce dei Neanderthal.

Le ipotesi sono molteplici: lo scontro diretto con i Sapiens, la dissoluzione per interbeeding, cioè per incroci sempre più frequenti con i Sapiens, le malattie mortali portate dai Sapiens per le quali il loro sistema immunitario non era attrezzato oppure l’arretramento forzato verso regioni sempre meno ricche di risorse naturali. In realtà, come sempre succede, non esiste una sola e unica spiegazione della scomparsa dei Neanderthal ma probabilmente un insieme di spiegazioni variabili a seconda del luogo e del momento. Di sicuro dopo più di 50.000 anni di isolamento essi si sono trovati improvvisamente a dover fare i conti con un balzo nel futuro troppo impegnativo per le loro capacità di adattamento e il contatto con i Sapiens Sapiens risultò distruttivo. A ben guardare una spiegazione che si potrebbe applicare post voto anche alla sinistra italiana ma questa è tutta un’altra storia.

Renzo De Zottis
Renzo De Zottis é nato a Treviso il 9 settembre 1954 e da qualche anno ha lasciato l'insegnamento nella scuola media. Collabora da lungo tempo con svariati mensili occupandosi prevalentemente di argomenti di carattere storico. Ha inoltre al suo attivo diversi servizi fotografici per le maggiori testate nazionali di automobilismo storico ed é stato addetto stampa in diverse manifestazioni internazionali del settore. Fa parte del direttivo dell'Unitre Mogliano Veneto e da almeno un ventennio svolge conferenze per questa associazione e per l'Alliance Française di Treviso.

2 COMMENTS

  1. Treviso 08 10 2022 – Analisi ineccepibile. Lo scienziato svedese Svante Pääbo merita pienamente il premio Nobel che gli è stato conferito [ott.2022]. Per quanto riguarda la politica ritengo che il PD non debba cambiare nulla, perché inseguire le tendenze dell’elettorato non premia. Seguire le mode e le tendenze, premia nel mercato “commerciale” ma non nella politica… Gianni Milanese

  2. Io da donna pratica, uso pensare che discendendo tutti da uno/due prototipi che per comodità chiamo Adamo ed Eva, ritengo ovvio che siamo tutti geneticamente simili, quindi il razzismo non avrebbe motivo di esistere. Per quanto riguarda la sinistra il mio pensiero è : le discussioni vanno bene, ma ad un certo punto bisogna fare, anche rischiando di sbagliare. Se stiamo sul divano col telecomando in mano, indecisi tra il film sul primo e la bagarre sul 5, ma non accendiamo il televisore, dubito che succederà qualcosa. Persino i monopattini sono stati qualcosa. La gente vuole fatti e deve sapere cosa è stato fatto. Trovate il modo di reclamizzare meglio la sostanza del fatto.

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