DALLA SLOVENIA CON MISTERO

Più che il genere – romanzo poliziesco – mi incuriosiva la provenienza dell’autore. Tadej Golob è uno scrittore di Maribor, già Marburg, capoluogo della Stiria slovena vicino all’Austria, cui è legata da antichi vincoli etnici e culturali. Slovenia, dunque Balcani, dunque ex Jugoslavia, dunque…La storia è lunga e anche dolorosa a queste latitudini, se pensiamo ai rapporti per decenni non certo idilliaci con l’Italia. Al fascismo prima e al comunismo dopo, che hanno marcato quest’angolo in ombra di Mitteleuropa.

Questioni antiche, ma non da tutti e del tutto sepolte, riguardanti il confine, la lingua. Sangue e terra, diritti e minoranze, prepotenze e rivalità fra i rispettivi nazionalismi. Roba da archivi. Mugugni reciproci per conti – politici e ideologici – mai veramente chiusi con il passato. Naturalmente, tutto ciò non ha alcunché da vedere direttamente con la trama di “Dove nuotano i pesci gatto” (titolo originario “Jezero”, “Il lago”, anno 2016) appena uscito in Italia grazie alla sensibilità per le letterature di frontiera dell’editrice vicentina Ronzani e nell’ottima traduzione di Patrizia Raveggi (489 pagine, 19,00 euro). Contribuisce però a spiegare quel certo alone di mistero, dovuto alla scarsa conoscenza di una piccola e tenace nazione, al tempo stesso così geograficamente vicina a noi e tanto culturalmente lontana.

Un giallo a tutto tondo, con sconfinamenti frequenti nel noir più trucido. A partire dalla scena iniziale del racconto: il ritrovamento del cadavere decapitato di una giovane donna affiorato dai fondali ghiacciati del lago di Bohinj, nel cuore del parco nazionale del Triglav (Tricorno), la notte di Capodanno. Un recente Capodanno pre-covid. Tocca all’ispettore Taras Birsa, investigatore capo della Direzione della Polizia di Lubiana, capitato per puro caso sulla scena del ritrovamento, occuparsi di un caso che lo porterà, man mano che procede, ad aprire tante segrete stanze dell’alta borghesia lubianese e a svelare intrecci inconfessabili tra affari e politica, che condizionano le scelte persino di chi, ai livelli più elevati della gerarchia, sarebbe chiamato a garantire indagini imparziali ad esclusivo beneficio della giustizia. Ecco allora che, almeno per chi non sia meramente interessato a giocare a fare l’ispettore da salotto (un po’ come quei tifosi di calcio che si sentono tutti “c.t. della Nazionale” davanti al teleschermo), la prospettiva si allarga. Il giallo non è più solo un “giallo”, con guardie alla caccia di ladri e assassini criminalmente sofisticati, ma un’opera di letteratura integrata o comparata.

“Non-eroe amletico e atletico”, lo ha ben ritratto su “Il Foglio Letterario” Patrizia Raveggi. Della trama, sono sufficienti gli spunti offerti nella seconda di copertina. “Come trovare l’assassino se non si sa chi è la vittima”? E già. Perché non sarà facile per il talentuoso ispettore sloveno risolvere il caso della giovane donna ripescata dal lago senza più la testa. Perché cadaveri e sorprese si intensificano, dall’inizio delle indagini, complicando vieppiù la scena. Il lettore può intuirne i collegamenti sotterranei, ma a doverli dimostrare e provare, fra continui misteri e apparenti contraddizioni, è solo lui. Taras Birsa.

Fluidità e freschezza di stile, scrittura accurata, palpitante e ironica. Golob sfoggia una precisione che rasenta la pignoleria quando si dilunga nelle spiegazioni tecniche di un delitto, piuttosto che nei dettagli medico-legali (per quanto macabri) di un’autopsia. Nei riferimenti apparentemente ridondanti a complesse procedure forensi come ad astruse analisi chimico-biologiche. Infine, nelle descrizioni di paesaggi urbani o naturali, fra le montagne tanto amate sia dal cinquantenne e virtuale Taras Birsa, ex alpinista e incallito runner e sciatore nei pochi ritagli di tempo libero, sia dal cinquantenne e tangibile Tadej Golob, esperto alpinista, oltre che giornalista e scrittore poliedrico.

Tadej Golob

Taras alias Tadej? Il dubbio sorge legittimo. L’autore non lascia nulla all’approssimazione, conferendo così maggiore credibilità e verosimiglianza all’operazione creativa, da cui ha preso le mosse una saga poliziesca transitata nel 2019 dai romanzi (Taras Birsa è il protagonista di “Jezero”, di “Leninpark” – “Il parco di Lenin” e di “Dolina rož” – “La valle dei fiori”) ad una fortunata serie televisiva, che ha reso Golob tanto popolare e tanto letto in patria. Da bravo reporter e poi da puntiglioso biografo di noti personaggi del piccolo paese subalpino, l’inventore del poliziotto più stimato della Slovenia sa scavare nei recessi nascosti e nelle zone grigie della psicologia umana quanto della sociologia.

Questa sua capacità di riportarci con tocchi leggeri e precisi, caustici o ironici, disincantati o rassegnati, la realtà concreta della Slovenia contemporanea, la mentalità conformista prevalente fra i suoi connazionali, i vizi come le virtù del suo popolo, è uno degli aspetti che ho trovato più interessanti del libro. Naturalmente, afferrare il filo conduttore che porti al o ai responsabili è impresa titanica per Taras e la sua affiatata squadra: i poliziotti Brajc e Osterc, e, dall’inizio del nuovo anno, una matricola: la psicologa Tina Lanc. Giovane, perspicace, bella. Una donna piovuta nel contesto di un mondo – le forze di polizia – in cui la presenza femminile è di solito confinata a ruoli marginali. Tina si rivela invece una promettente investigatrice, dotata di intuito etanta voglia di imparare dal famoso ispettore capo. Profonde attorno a sé uno charme non esibito e persino ingenuo (è seria e educata, attenta a non “provocare” facili pruriti maschili), e si conquista presto la fiducia del gruppo.

Il suo fascino non lascerà indifferente Taras, nonostante gli slalom di questi per sfuggire all’urto degli istinti e alla carezza dei sentimenti. Il non-eroe super-poliziotto, integerrimo e incorruttibile, sicuro e ironico, tutto lavoro sport e famiglia, scoprirà così di essere anche lui un uomo fallibile, preda di sentimenti e di dubbi. Cosa che ce lo rende, ovviamente, più vicino e più simpatico. Al termine di ogni capitolo, si è già pronti ad affrontare quello successivo inseguiti dalla medesima domanda: “E adesso, che accadrà?”. Come in ogni giallo che si rispetti, il cerchio alla fine si chiude in modo naturale e convincente. Non è presunzione affermare che il romanzo di Tadej Golob possa creare, nel lettore italiano, anche l’effetto collaterale della curiosità più ampia per un paese così diverso e tanto vicino. Invitandoci a frequentare più assiduamente le sue dolci colline e i laghetti alpini, insieme ai suoi scrittori, ancora troppo poco conosciuti.

Valerio Di Donato
Valerio Di Donato, giornalista e scrittore. Ha lavorato a lungo al "Giornale di Brescia", occupandosi di politica interna e estera approfondendo in particolare le vicende dell'area balcanica. Ha pubblicato due libri: "ISTRIANIeri. Storie di esilio", uscito nel 2006 con "Liberedizioni" di Gavardo, una serie di racconti di vita vissuta concernenti la storia degli esuli giuliano-dalmati e non solo. Nel 2021 ha esordito nel romanzo storico con "Le fiamme dei Balcani", per i tipi di "Oltre edizioni" di Sestri Levante.

1 COMMENT

  1. Un articolo di analisi approfondita che solo un conoscitore della Storia e dei luoghi della ex Jugoslavia e della Slovenia in particolare poteva svolgere con cognizione di causa. Di Donato penetra nei recessi dell’opera letteraria (che di questo si tratta, annota giustamente, e non di un ennesimo prodotto di ‘genere’), scavando tra le righe e cogliendo con sensibilità e ricchezza di intuizioni la polemica sociale e politica che Tadej Golob esprime tramite il suo alter ego, il detective Taras Birsa, tratteggiato nella sua inflessibilità ma anche nei suoi timori e tremori “di fronte all’urto degli istinti e alla carezza dei sentimenti” . Grazie Valerio Di Donato per una lettura attenta e partecipe che non solo invoglia a leggere il libro e a interessarsi alla poesia e alla letteratura slovena, ma anche a partire per un’esplorazione delle bellezze naturali che quel Paese sa offrire.

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