La grancassa pubblicitaria annuncia l’apertura di un nuovo centro commerciale davanti all’aeroporto di Treviso. Alleluja: ne sentivamo proprio il bisogno! Chi vi scrive ha frequentato per oltre trent’anni l’ambiente delle botteghe e dei supermercati. Specie a partire dagli anni 80, abbiamo assistito alla chiusura progressiva dei piccoli negozi alimentari nei centri abitati e alla loro sostituzione, in numero minore ma con moderne strutture. Il vecchio “casoin”, quello che magari appoggiava la penna su un orecchio per esser comodo a prenderla e farvi a mano i conti della spesa, raggiunta l’età della pensione, in modo quasi sempre economicamente soddisfacente chiudeva bottega, visto che i figli avevano studiato e non c’era più ricambio generazionale.

Godevano di rendite di posizione, visto che molti erano proprietari dei locali nei centri storici e dopo, magari, se li prendeva in affitto un istituto bancario o una boutique che li remunerava assai bene: in ogni caso ben pochi abbassavano le saracinesche per problemi reddituali.

Così la cosiddetta distribuzione si rinnovava in modo abbastanza indolore: anzi gli investitori delle grandi superfici di vendita andavano alla ricerca di comperare per due lire le licenze da questi piccoli imprenditori in chiusura, visto che accorpandone insieme qualcuna, automaticamente ottenevano l’autorizzazione ad un’apertura di dimensioni più cospicue ed adeguate al momento storico.

Questo processo ha avuto senso fino ad un certo momento: la distribuzione veneta era arretrata e necessitava un diverso apporto. Ma ora veniamo ai problemi: la nostra Regione Veneto, amministrata sostanzialmente – malgrado gli osanna di buon governo –  apparentemente in modo da non dire mai di no a qualsiasi attività imprenditoriale privata, anche a costo di cementificare e svendere il proprio futuro, continua nel seminare strutture sempre più imponenti e, fatti due conti, insensate.

Basta recarsi a fare un giretto al Valecenter (ex Carrefour), detto con rispetto, per vedere com’è ridotto: la galleria commerciale conta innumerevoli pannelli ciechi, annuncianti prossime aperture improbabili, dove una volta trovavano spazio fiorenti attività. E non parliamo di com’è messo il piano superiore: rilascia un’impressione di epoca morta. La stessa Carrefour ha abbandonato definitivamente la piazza. Se ci spostiamo a Mestre, a quello che era l’Auchan, la sensazione è esattamente la stessa: un modello in crisi.

Non ci vuole il cervello raffinato di Guglielmo Marconi per cogliere i motivi di questo degrado: la proliferazione di una concorrenza esagerata, incassi che non consentono più di coprire i costi gestionali. Per restare all’esempio, nel quartiere ove un tempo c’era solitario l’Auchan oggi sono stati aperti anche un Interspar e un Iperlando, senza contare le precedenti aperture di concorrenti come La Nave de Vero e anche quella di un supermercato Coop. Ognuno dei nuovi operatori confida di essere più bravo degli altri a prendersi i clienti, ma la coperta oramai è drammaticamente corta e nessuno riesce realmente a differenziarsi dai propri competitor.

Prendiamo la questione da un altro punto di vista: la popolazione è generalmente in diminuzione e soprattutto sta invecchiando a passi da gigante: nel 2002 per ogni 143 anziani ultrasessantacinquenni, c’erano 100 giovani fino ai 14 anni. Oggi (dati 2021) ogni 100 giovani ci sono ben 182 anziani, e via di questo passo.

Una seria programmazione dovrebbe concepire il fatto che una popolazione tendenzialmente sempre più vecchia ha una minor mobilità (e senza immissioni di immigrati, visti come fumo negli occhi da certi ideologi miopi che solleticano, tra le righe, il mito della purezza della razza o quello della nostra presunta civiltà superiore). La popolazione meno giovane non va tanto volentieri a rifornirsi nelle megastruttrure lontane da casa propria. Ma il negozio sotto casa è una specie in estinzione e così ci sono interi borghi che non hanno più servizi (emblematico il caso della frazione Campocroce nella nostra Mogliano).

Per parlare di cose vicine, guardiamo al Terraglio e alle sue prossimità: quello che secondo la propaganda di una certa fanfara leghista (ricordo le affermazioni del presidente provinciale sig. Muraro) doveva diventare un boulevard sontuoso è oggi un viale commerciale desolante, dove le ville venete sono in concorrenza, tra distributori e alberi mai ripiantumati (salvo che nel tratto di Preganziol) con l’iper di Lando, il nuovissimo Interspar (San Trovaso). Per non farci mancare nulla, prossimamente su questo schermo, bada ben bada ben, assisteremo con molta probabilità a una nuova apertura nell’ex fabbrica Nigi. Senza contare che è appena stata declinata l’autorizzazione a un altro Lidl a Mogliano, sul Terraglio, nel tratto che va verso Mestre. Mi risulta che lo stop sia avvenuto anche grazie alla opposizione – troppo spesso suo malgrado indebolita – della Sovrintendenza ai beni artistici (ma non so fino a quando resisterà).

Il Veneto, dopo la Lombardia, vanta il secondo posto per consumo di suolo e cementificazione -un vero peccato che anche qui non sia già al primo, come vorrebbe il mantra di superiorità in tutto dei veneti, propagandato da certa destra-, e guarda al futuro con schemi di programmazione che non considerano abbastanza, almeno in questo contesto, l’impronta di vivibilità a cui si dovrebbe mirare. Questa roba strana si chiama visione e dalla visione dipende, nei fatti, l’esito che si otterrà: visione scadente, uguale risultato scadente.

Anche quella dei posti di lavoro che si garantiscono con le nuove aperture, detto per tacitare i soliti “rompiballe”, è una favola: il personale viene assunto quando serve e poi lasciato a casa senza scrupoli quando le attività non sono più profittevoli: questo è il mercato, bellezza!

 E l’impoverimento dei centri storici, con le vetrine vuote da mesi e mesi senza ricambio, dove lo mettiamo? La piccola sana imprenditoria sparisce per un mondo di dipendenti precarizzatii, con turni di lavoro irrispettosi delle esigenze personali e familiari.  In compenso, alle nuove aree commerciali si debbono garantire costosi servizi pubblici, mal ripagati in prospettiva dagli introiti che vengono incamerati con gli oneri delle autorizzazioni.

Si racconta che la misteriosa isola di Pasqua abbia trovato la sua fine quando gli abitanti, sconsiderati, abbatterono via via tutti gli alberi per utilizzarli per le proprie umane rispettabilissime esigenze. È una metafora inquietante che invita a considerare il mondo non solo come una risorsa economica da sfruttare subito, fregandosene di chi verrà dopo. È il momento che la politica inizi finalmente a ragionare in termini di felicità. A scanso di equivoci, intendo quella briciola umanamente possibile, se del caso imponendo anche qualche rifiuto al dominio assoluto del dio danaro, pur di assicurare un futuro meno congestionato. Sussiegosamente il nuovo centro è intitolato al grande scultore Canova, come del resto l’aeroporto, ma fatico a riconoscere la più piccola scintilla o promessa di armonia.

Roberto Masiero
Roberto Masiero è nato da genitori veneti e cresciuto a Bolzano, in anni in cui era forte la tensione tra popolazioni di diversa estrazione linguistica. Risiede nel trevigiano e nel corso della sua vita ha coltivato una vera avversione per ogni forma di pregiudizio. Tra le sue principali pubblicazioni: la raccolta di racconti Una notte di niente, i romanzi Mistero animato, La strana distanza dei nostri abbracci, L’illusione che non basta e Dragan l’imperdonabile.

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