Marcinelle, 8 agosto 1956. Quella mattina la miniera di carbone di Bois du Cazier a Marcinelle, in Belgio, si riempie di fumo a causa di un incendio nel condotto che porta l’aria dentro i tunnel sotterranei.

262 morti, di cui 136 “musi neri” italiani provenienti da 13 regioni diverse, tra cui anche il Veneto. Quasi la metà erano originari dell’Abruzzo. Migranti morti come topi tra i 765 e i 1035 metri sottoterra. Le ricerche dei sopravvissuti continuarono per due settimane. Si salvarono solamente in 12.

Tutto era iniziato dieci anni prima con l’accordo “uomo-carbone”, quando l’Italia doveva inviare in Belgio 2.000 uomini a settimana e, in cambio, Bruxelles si impegnava a fornire a Roma 200 chilogrammi di carbone al giorno per ogni minatore. Così, tra il 1946 e il 1956 circa 142mila italiani varcarono le Alpi per andare a lavorare nelle miniere di carbone della Vallonia.

Il giorno dopo il “Corriere della Sera” commentava: “L’Italia può esportare dei lavoratori, ma non degli schiavi. Se il contegno dei datori di lavoro stranieri e l’atteggiamento egoistico degli stessi sindacati operai di quei Paesi costringono i nostri uomini a lavorare in condizioni di estremo e continuo pericolo, è doveroso intervenire in loro difesa anche sul piano politico e diplomatico, perchè gli eccellenti rapporti che intercorrono tra l’Italia e il Belgio non finiscano col soffrirne. Sappiamo che la C.E.C.A. è intervenuta nella questione per trovare una formula, che possa conciliare gli interessi delle società belghe con i sacrosanti diritti alla vita dei minatori italiani e con le giuste esigenze delle nostre autorità tutorie”.

Il disastro di Marcinelle è il terzo incidente minerario per il numero di morti italiani, dopo quello del 1907 a Monongah (171 morti) e quello del 1913 a Dawson (146 morti) entrambi negli Stati Uniti. In Italia, il primato di mortalità spetta alla miniera di zolfo di Casteltermini, in provincia di Agrigento: il 4 luglio 1916 morirono 89 solfatari. Ma è utile ricordare anche un’altra tragedia rimossa dalla memoria collettiva che, per dimensioni, è forse la maggiore: quella accaduta il 28 febbraio 1940 nella miniera di carbone di Arsia-Raša, in Istria (allora italiana). Qui persero la vita 185 minatori, molti croati, ma anche numerosi italiani. Un episodio dimenticato prima dall’Italia fascista e poi dalla Jugoslavia di Tito.

Daniele Ceschin
Nato a Pieve di Soligo il 20.12.1971. Storico con un dottorato di Storia sociale europea dal medioevo all’età contemporanea. Docente a contratto di Storia contemporanea dal 2007 al 2011 all’università di Ca’ Foscari di Venezia. Autore di pubblicazioni a carattere storico. E’ stato Vicesindaco a Mogliano Veneto dal 2017 al 2019.

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