«In Federazione serpeggiava la paura che fossi eletta. I dirigenti mi avevano accettato in lista come l’emblema della novità, del progressismo, del richiamo per le allodole. In questo caso le donne. Sentendosi scavalcati dalla piega degli avvenimenti, escogitarono un modo per levarmi di mezzo nel caso malaugurato di una mia elezione. Prepararono una lettera di dimissioni dalla carica di deputato, per far  passare al mio posto un vecchio socialista dalla barba bianca. Il segretario Ignesti mi chiamò in Federazione. Non fece preamboli. Mi disse subito che dovevo firmare una lettera senza specificarmi il contenuto. “Desidero leggerla”. “Perché?” “Come perché? Non penserai che firmi qualcosa senza sapere che cosa c’è scritto. Mi giudichi così stupida?” “No, che c’entra – era confuso – sai, sono le direttive del partito”. “Meglio ancora. Voglio conoscerle. Sono iscritta, no? Ho diritto di sapere”. “Va bene, facciamola finita. Ecco, leggila”. Me la porse. Non era una lettera, ma una dichiarazione. Avrei dovuto dichiarare che mi sarei dimessa dalla carica di deputato, qualora fossi stata eletta: mi si ringraziava perfino del contributo che avevo dato alla propaganda elettorale. Una farsa. La ripiegai e gliela resi. L’amarezza si impadronì di me, ma la nascosi ben bene. “Non firmo”. “Come non firmi?” “No: è un imbroglio. Avete fatto tutto qui in famiglia, con questi quattro barboni che non sopportano di essere stati scavalcati da una donna. Mi rifiuto di chiamare in causa le direttive del partito: un partito che seguisse una strada così immorale non avrebbe diritto di esistere. Ci siamo intesi? Non ci provate più”».

A ricordare questa vicenda è la proprio la protagonista: Bianca Bianchi (1914-2000). Nata a Vicchio di Mugello (Firenze), laureata in filosofia, pedagogia e storia con Ernesto Codignola, allontanata dall’insegnamento per il suo antifascismo, vicina inizialmente al Partito d’Azione e poi, verso la fine della guerra, iscritta al PSIUP, nella primavera del 1946 Bianca Bianchi venne indicata, con un voto, come capolista per le elezioni del 2 giugno per l’Assemblea Costituente. Tutto bene? No. Il fatto che fosse capolista costituiva un grosso problema. E se fosse stata eletta? Anche a sinistra questa eventualità veniva vissuta con timore e preoccupazione. Che fare? Bisognava correre ai ripari. I dirigenti fiorentini del suo partito chiesero dunque l’intervento dei vertici nazionali, che imposero come capolista una figura di primo piano come Sandro Pertini che, prima della Resistenza, si era fatto quattordici anni tra carcere e confino. Ma per stare tranquilli gli stessi dirigenti sottoposero alla candidata anche la dichiarazione di dimissioni in caso di elezione. Che lei, ovviamente, come ricordato, si rifiutò di sottoscrivere. Nel frattempo era iniziata la campagna elettorale nel collegio Firenze-Pistoia. In poche settimane Bianca Bianchi tenne 116 comizi in sale, piazze, mercati, fiere, perfino davanti alle chiese. È ancora lei a ricordare la diffidenza dell’elettorato di fronte a questo suo ruolo pubblico e il sospetto delle donne stesse nei confronti di una “candidata”:

«Le donne che venivano ai comizi erano poche e strane. Si mettevano in gruppo: mi spiavano. Mi osservavano i gesti delle mani, commentavano fra loro, mi guardavano i capelli sciolti sulle spalle, l’espressione del viso, mi denudavano come se ai loro occhi conducessi una vita peccaminosa, sempre in mezzo agli uomini, lontana da casa. Sembrava perfino che mi condannassero perché osavo parlare di cose di cui avevano sempre parlato gli uomini e mettessi bocca in problemi che non mi dovevano riguardare. Stavano impalate di fronte a me in attesa di una debolezza, di un cedimento, di una contraddizione. Alla fine qualcuna applaudiva fosse pure per il mio coraggio».

La sua tenacia venne premiata con 15.384 preferenze, più del doppio di quelle raccolte da Pertini. Così, lei e Angelina Merlin risultarono le uniche due donne socialiste elette alla Costituente: 2 sulle appena 21 (su 556 deputati) madri costituenti che riuscirono a rompere il pregiudizio e l’ostilità dei partiti nei confronti della partecipazione femminile all’interno delle istituzioni. I suoi interventi in aula si indirizzarono sui problemi della scuola e sui rapporti tra Stato e Chiesa. Poi, negli anni successivi, riuscì a portare avanti in Parlamento alcune importanti battaglie di civiltà. Una su tutte, quella di una legge per il riconoscimento dei figli illegittimi. Ma sono temi sui quali torneremo. Perché quella di Bianca Bianchi è una figura troppo bella e preziosa per riassumerla in poche righe.

Daniele Ceschin
Nato a Pieve di Soligo il 20.12.1971. Storico con un dottorato di Storia sociale europea dal medioevo all’età contemporanea. Docente a contratto di Storia contemporanea dal 2007 al 2011 all’università di Ca’ Foscari di Venezia. Autore di pubblicazioni a carattere storico. E’ stato Vicesindaco a Mogliano Veneto dal 2017 al 2019.

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