In questi giorni ha fatto scalpore la notizia che il benemerito virologo prof. Andrea Crisanti, di anni 67, insieme a sua moglie Nicoletta, hanno acquistato per farne la propria dimora Villa Priuli Custoza, nella frazione Villa del Ferro in val Liona nei Berici. Si tratta di una villa veneta dello Scamozzi, un celebre architetto allievo del Palladio; completa l’edificio un suo bel giardino, parte all’italiana, di oltre un ettaro. Costo: poco meno di due milioni di euro.  Sulla rete si sono scatenati in centinaia per accusare il professore di aver speculato sul Covid e lui si è sentito in dovere di giustificarsi con pubbliche spiegazioni. Da qui parte la mia superpotente incazzatura e uso argomentazioni a livello rasoterra, giusto per adeguarmi alla mentalità di certi sedicenti “moralizzatori”. Ad ogni stagione di campionato leggiamo sulla Gazzetta dello Sport (ed equivalenti) di emolumenti straordinari, riconosciuti a ragazzotti molto meno che trentenni, per assicurarsi le loro commoventi prestazioni tirando calci al pallone. Ma abbiamo presente che, senza citare i casi più eclatanti, ci sono diversi giocatori di calcio in serie C che si beccano emolumenti da oltre 150 mila euro a stagione? Per pudore non cito le cifre milionarie che girano già qui, ma senz’altro nelle serie superiori, anche se a guardare i cosiddetti stipendi minimi contrattuali ufficiali, del tutto ridicoli, ci sarebbe dal fare una colletta per sostenere il nostro sport nazionale. Potete accettare che una coppia di professionisti medici, dal curriculum prestigioso a livello internazionale nella ricerca per la cura e prevenzione di malattie terribili come la malaria ed il Covid, giunti ad un’età ragguardevole, possano aver legittimamente accumulato un certo patrimonio? No? Allora cominciate a tempestare coi vostri improperi sulla tastiera – cito a caso categorie di lavoratori molto popolari – anche i vostri cantanti del cuore, i conduttori televisivi e via… cantando. Cominciate seriamente a maledire gli evasori fiscali che vi sfrecciano sotto il naso con le spocchiose potenti autovetture, esibiscono il lusso e intanto rubano sul nostro sangue di cittadini corretti risorse inimmaginabili. Avrete anche sicuramente altri esempi dove attingere, anche con ragione, per alimentare la vostra ubbia livorosa da sanculotti: certo, ci sono classi poco abbienti, tanta gente fatica a far quadrare il pranzo con la cena, ma questo è il nostro sistema borghese e di mercato di cui abbiamo, volenti o nolenti, dovuto accettare le regole del gioco.

Seconda considerazione: solo nel Veneto abbiamo oltre 500 tra ville venete e palazzi storici in vendita, senza contare quelle in stato di vero irrimediabile degrado. Basta già solo scorrere lungo il nostro Terraglio per vedere quante di esse hanno gli occhi (le imposte) definitivamente chiusi. Basta solo pensare alle pessime condizioni in cui versa villa Franchetti, in attesa di qualcuno che si divida i costi di gestione e la rilanci, mentre intanto gli affreschi nel porticato si sgretolano. C’era un certo scrittore che diceva: «La vera terra dei barbari non è quella che non ha mai conosciuto l’arte, ma quella che, disseminata di capolavori, non sa né apprezzarli né conservarli.» (Marcel Proust). Il cosiddetto modello veneto non riguarda più la bellezza, ma il primato nel fare ricchezza, anche e soprattutto nel consumo di suolo. I tanto decantati coni visivi che nei piani urbanistici assicurano che la visione delle ville venete non sia ostacolata da costruzioni incongrue, non tengono mai abbastanza conto della porzione di paesaggio che dovrebbe essere assicurato guardando “dalla villa”. Il punto di vista dei coni visivi dovrebbe essere anche quello, proprio com’era nei sapienti progetti originari: così ora le strade interrompono i parchi, e le ville rimangono come disarmonici monumenti coinvolti nel traffico, accanto a sottopassaggi, accostati ai centri commerciali. Se gran parte di queste sono tutelate come beni di interesse storico e artistico, solo pochissime vengono considerate beni paesaggistici. Un caso nella provincia di Treviso è quello di Vedelago, il comune definito “il più scavato d’Italia”: l’estrazione di ghiaia ne ha trasformato il territorio riempiendolo di enormi voragini, e le ruspe si spingono alle porte della palladiana villa Emo. Mentre si chiacchiera di piani di risanamento, il patrimonio va in malora.

Perciò inviterei i leoni da tastiera, invece che ruggire, a salutare con entusiasmo l’evento, quando c’è qualcuno che, beato lui, può permettersi l’onore/onere, per amore della bellezza, di adottare una villa veneta, restituendo indirettamente alla comunità, attraverso il sempre necessario restauro e l’onerosa manutenzione, un bene che altrimenti giacerebbe desolato, in attesa di non si sa quali miracolosi provvedimenti. Il fatto che i proventi derivino, nel caso di Crisanti, dalla sua attività di ricercatore e medico e da quelli della propria moglie non è certo una colpa. Proprio non riesco, malgrado mi sforzi, a immaginare un diverso compromesso sociale, in un Veneto politicamente orgoglioso di esibire le proprie radici culturali e paesaggistiche, ma che di fatto le lascia disseccare, vuoi per spregevole convenienza o per scarsa visione del futuro. Senza fare per questo del prof. Crisanti un eroe, citerei tra i suoi meriti e non come scandalo – mi perdonino i sanculotti arrabbiati- proprio quello di spendere parte dei sacrosanti danari, sottolineo presumibilmente onestamente guadagnati, nella valorizzazione del nostro patrimonio veneto, preservandone l’integrità, anche se ad uso prevalentemente personale. Il tutto in attesa di un nuovo ecumenico Rinascimento, prodigo di risorse per tutti e orientato al bene comune, meno sospettoso e insinuante, che tarda sempre ad arrivare.

Roberto Masiero
Roberto Masiero è nato da genitori veneti e cresciuto a Bolzano, in anni in cui era forte la tensione tra popolazioni di diversa estrazione linguistica. Risiede nel trevigiano e nel corso della sua vita ha coltivato una vera avversione per ogni forma di pregiudizio. Tra le sue principali pubblicazioni: la raccolta di racconti Una notte di niente, i romanzi Mistero animato, La strana distanza dei nostri abbracci, L’illusione che non basta, Dragan l’imperdonabile e Il mite caprone rosso. Vita breve di norbert c.kaser.

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