Oggi Giulio Regeni avrebbe 34 anni. Ne aveva appena compiuti 28 quando sei anni fa venne barbaramente ucciso in Egitto. Molti si chiedono il motivo per cui a distanza di tempo migliaia di persone, non solo in Italia, periodicamente si ritrovano in piazza per chiedere verità e giustizia per Giulio. La ragione è semplice: perché su questa vicenda, a parte la magistratura italiana, la strada della verità non è mai stata cercata. Tacendo delle omissioni e dei depistaggi del regime di al-Sisi, in Italia finora tutti i governi che si sono succeduti hanno fatto prevalere la “ragion di Stato”. Un concetto che poco ha a che fare con le ragioni della giustizia e che costituisce una pratica diffusa a tutte le latitudini, aggravata e resa più odiosa dagli enormi interessi economici e commerciali che sono in ballo. A cominciare da quelli relativi alla vendita di armi. Secondo la Rete Italiana per la Pace e il Disarmo nel 2020, per il secondo anno consecutivo, l’Egitto è stato il principale acquirente di armi prodotte da aziende militari italiane, per un totale di 991,2 milioni di euro di materiale bellico autorizzato (120 in più rispetto all’anno precedente). Insomma, nel primo anno di pandemia le vendite sono addirittura aumentate e un quarto delle nostre esportazioni militari sono finite all’ombra delle piramidi.
Per sei anni abbiamo assistito a prese di posizione tanto ferme quanto inefficaci che non si sono tradotte in azioni concrete. Intendiamoci, di fronte alla violazione sistematica dei diritti umani e dei diritti civili da parte di un regime che ha trasformato l’Egitto in una prigione a cielo aperto, possiamo anche decidere di voltarci dall’altra parte e non ascoltare le voci dei dissidenti e degli oppositori. Ma allora lo si dica chiaramente: “Chi sono Regeni, Zaky e migliaia di altre vittime rispetto all’importanza dei nostri rapporti politici ed economici con il governo egiziano”?
Anche dal punto di vista giudiziario in questo momento siamo in una situazione di stallo. Il procedimento nei confronti dei quattro militari imputati è infatti bloccato a causa della mancata collaborazione delle autorità egiziane e per l’impossibilità di notificare gli atti processuali a loro carico. “La questione che riguarda la verità e la giustizia sulla morte di Giulio Regeni – ha dichiarato recentemente Erasmo Palazzotto, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte del ricercatore friulano – non è più solo una questione giudiziaria, ma è anche una questione politica che investe direttamente la responsabilità del nostro governo, non solo nell’ottenere gli indirizzi e la possibilità di notificare gli atti ai quattro imputati e quindi di svolgere il processo in Italia, ma più in generale di ottenere la collaborazione dell’Egitto affinché i responsabili della morte di Giulio Regeni siano processati e puniti per il reato che hanno commesso. Se il governo non riesce a farlo, perde di credibilità sul piano internazionale, ma soprattutto viene messa in discussione la sua capacità di proteggere la vita e la dignità dei cittadini italiani nel mondo”.
Noi cittadini, noi società civile, noi che rispettiamo le istituzioni non smetteremo mai di chiedere verità e giustizia per Giulio. Lo dobbiamo ai suoi genitori, Claudio e Paola, che in questi anni hanno tenuto accesa una luce su una vicenda umana che non è solo privata. Una vicenda che ci appartiene soprattutto se pensiamo al dolore della madre di fronte a ciò che rimaneva di Giulio: “Su quel viso, diventato piccolo piccolo, ho riconosciuto, oltre che il male – e mi sono chiesta perché tutto il male del mondo si sia riversato su lui – la punta del naso. È l’unica cosa che ho davvero ritrovato, di lui”.