Qui fuori fa davvero freddo. Mi trovo davanti ad un edificio luminoso che dà sulla piazza. La facciata completamente vetrata lascia intravvedere, oltre ai mobili di design, l’attività serena che si svolge all’interno. Entro: sono accolto alla modernissima reception da una ragazza gradevole, dai capelli infiammati. Chiedo della direttrice: cortesemente mi indirizza al quarto piano. Evito l’ascensore dalle pareti trasparenti e prendo, a piedi, per l’ampia scala. I gradini di color metallo brunito, vagamente lucidi, girano lenti salendo attorno ad una colonna: stupore! Non subito mi accorgo che è fatta di fogli bianchissimi di carta, impilati a migliaia l’uno sull’altro senza soluzione di continuità. Hanno le dimensioni di quelli dei giornali. Questa strana colonna imprime un’idea di solidità, realizzo che la carta dispone di una forza intrinseca, ricordo che è figlia del legno e qui vale come simbolo: sono fogli non ancora stampati che potenzialmente potrebbero contenere lo scibile, le relazioni umane, il genio, alludono alla biblioteca fantastica di Alessandria, quella ideata da Jorge Luis Borges. Mentre sfioro i vari piani, ne colgo le particolarità: sono ambienti open-space, ma non rilasciano un’impressione di freddo gigantismo. La disposizione razionale della scaffalatura bianca e linda, tante librerie a giorno, forma di quando in quando invitanti salottini, ove la gente si sofferma a conversare sui divanetti colorati. O a leggere. Disposte su tavoli, in ordine accattivante ma mai accalcate e ben in vista, sono disposte le novità librarie in orizzontale, in aggiunta ai volumi allineati sugli scaffali. Un lindore familiare ti avvolge. Si potrebbe essere dentro un grande albergo e invece mi ritrovo in una biblioteca pubblica. Comunale.

Ad ogni piano un’assistente consiglia ed indirizza i lettori, un piano intero è dedicato ai bambini…

Desidero trasmettervi queste sensazioni, provate in occasione di un mio piccolo recente tour letterario in Alto Adige. Il fatto è che la descrizione, per nulla esagerata, riguarda la biblioteca di un comune di appena 17.000 abitanti: il confronto con la vecchia scatola da scarpe che è la biblioteca moglianese mi è venuto spontaneo e un poco mi ferisce, anche nell’orgoglio. Confesso che non frequento la “nostra” biblioteca: mi immalinconisce. Mi rendo conto, con questa affermazione, che mi espongo a prevedibili critiche, ma insisto per esprimere un concetto. Negli anni 60, e prima, la biblioteca serviva – stringi stringi – per prestare i libri. Anche adesso assolve a questa preziosa funzione, ma è solo il primo passo di un percorso: oggi si richiederebbe che dalla biblioteca potessero svilupparsi occasioni di confronto sociale, di discussione critica, di promozione di laboratori, anche di inclusione culturale per i nuovi italiani. Una funzione di accoglienza e ritrovo. Potrebbe essere il volano per l’incontro dei fermenti culturali che pure non mancano in città, ma avvengono quasi sempre rigorosamente fuori dal suo alveo naturale. Si dirà che altrove, specie in Alto Adige, ci sono più soldi, eccetera. È un fatto, ma oltre un certo limite questa argomentazione è soltanto un paravento. Si tratta sempre di stabilire delle priorità e probabilmente oggi la biblioteca non è nel novero di esse: non molto tempo fa ci eravamo illusi che si trovasse finalmente una soluzione consona, nello spazio attiguo al parco di Villa Longobardi. Lì o altrove fa lo stesso: non dico che Mogliano dovrebbe disporre di locali come quelli di Montebelluna, che pure è nel Veneto, dove un poco si è sacrificata la funzionalità per valorizzare l’idea dell’architetto, ma la nostra città, pur blasonata letterariamente, si presenta proprio male. Una biblioteca “aperta” dovrebbe avere anche orari di apertura flessibili: invece mi è capitato di assistere, in un tardo pomeriggio e non a notte fonda, che il personale sarebbe stato costretto a invitare ad uscire la gente presente ad una lettura, perché era sforato il breve tempo assegnato. Forse, c’erano irrisolti problemi di assicurazione o di straordinario non autorizzato. Solo la cortesia della responsabile e a proprio “rischio” ha evitato la brutta figura. Sacrosanta burocrazia, regolamenti. Una presentazione letteraria in biblioteca, oggi rara per motivi oggettivi di spazio, dovrebbe essere salutata come un evento e invece è quasi una seccatura. Non vorrei sparare sul pianista con altri esempi impietosi: in una parola oggi si vive di ordinaria amministrazione. E non è una responsabilità degli addetti, a loro volta incolpevoli vittime di una precarietà istituzionale. Dunque preferisco guardare in avanti, come si dice, ad un futuro più luminoso dove anche l’attività culturale moglianese possa trovare un esito felice, con l’appoggio finalmente convinto delle autorità e dei propri referenti culturali. Se son rose, o ancora spine, vivendo si vedrà…

     

Roberto Masiero
Roberto Masiero è nato da genitori veneti e cresciuto a Bolzano, in anni in cui era forte la tensione tra popolazioni di diversa estrazione linguistica. Risiede nel trevigiano e nel corso della sua vita ha coltivato una vera avversione per ogni forma di pregiudizio. Tra le sue principali pubblicazioni: la raccolta di racconti Una notte di niente, i romanzi Mistero animato, La strana distanza dei nostri abbracci, L’illusione che non basta e Dragan l’imperdonabile.

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