Non è stato facile scegliere a quali prenotarsi tra le decine di conversazioni, dibattiti e spettacoli offerti dal programma, distribuiti in varie sedi tra piazza Ferretto e i suggestivi spazi del bel museo M9. Occorre esercitare l’attitudine al compromesso, cioè la mediazione tra gli interessi tuoi e quelli di chi ti accompagna, e l’equilibrio per trovare il giusto tempo per poter partecipare. Queste considerazioni portano direttamente a pensare a cosa è “la politica”, perché le parole scelte – compromesso, mediazione, partecipare – sono fortemente politiche. La considerazione successiva è che il motivo per cui il Festival della Politica attrae moltissima gente è, forse, proprio legato al fatto che la sua impostazione favorisce le precedenti riflessioni, cioè la comprensione che la politica vera è quella che riguarda tutti noi da vicino, nella nostra quotidianità e nelle nostre relazioni, e non quella che ci propina la televisione ogni giorno: infatti nel programma del Festival non erano previsti i soliti personaggi dei partiti, quelli che dagli schermi ci somministrano quotidianamente i concetti rimasticati, irritanti e noiosi, che ormai tutti rifiutiamo.

Non c’è dubbio che, come tema centrale di questa edizione del Festival, sia stata scelta una questione attualissima. È ormai evidente che l’irruzione del femminile sulla scena politica globale sia la vera innovazione degli ultimi decenni. Il movimento delle donne è l’unico soggetto politico stabile, con obiettivi e programmi, che emerge dalla crisi, che pare irreversibile, delle organizzazioni – partiti e sindacati – che nel bene e nel male hanno dominato il Novecento in Occidente. Ma anche negli stati dell’Est europeo usciti dall’impero sovietico, dopo il crollo del muro, le donne stanno praticando la vera opposizione a regimi maschili di impronta neo-autoritaria, in Bielorussia, in Polonia, in Ungheria e nella stessa Russia. Il Festival della Politica 2021 si è aperto proprio nei giorni che seguono la fuga degli occidentali dall’Afghanistan, dopo 20 anni di una guerra che invece di “esportare la democrazia” ha portato solo lutti e rovine, e il ritorno di un regime talebano più forte di prima. Anche lì, però, si sono viste donne manifestare in piazza a viso scoperto, con grande coraggio, davanti a uomini armati che le odiano e che le vorrebbero a casa, presentandosi come soggetto politico che non vuole rinunciare alla libertà.

Questa premessa inquadra l’interesse per un dibattito che ho seguito all’interno del chiostro M9. Il tema era “La cura della comunità”. Vi partecipavano tre donne: Donata Francescato, psicologa; Chiara Saraceno, sociologa; Flavia Perina, giornalista. L’interlocutore maschio era Carlo Cottarelli, economista.

La parola è stata data per primo a Cottarelli. Ha illustrato con accenti positivi il PNRR (Piano nazionale di ripartenza e resilienza) varato dal governo per utilizzare i fondi messi a disposizione dall’Europa per la ripresa post Covid: articolato su sei aree tematiche, la quinta è intitolata “Equità sociale, di genere e territoriale”; prevede uno stanziamento di fondi destinati soprattutto alla creazione di asili nido, con l’esplicita motivazione di aiutare le donne e contrastare il calo demografico. Quando è stato il loro turno, tutte le partecipanti femminili hanno contestato questa interpretazione, con le diverse motivazioni legate alle loro esperienze e competenze professionali. Magari banalizzo i concetti, ma penso che i loro argomenti siano riassumibili così: la creazione di asili nido è a supporto della famiglia, dire che va a favore delle sole donne denota la scarsa considerazione del loro ruolo sociale e delle loro aspirazioni; rivela un pensiero che ancora vede la donna destinata esclusivamente alla procreazione e alle cure familiari, mentre l’uomo può aspirare a carriera e successo; imputare il calo demografico in atto solo alle “difficoltà” delle donne e non a una crisi generale della società sembra un’ulteriore accusa a loro, come se il calo delle nascite fosse dovuto alla indisponibilità delle donne a dedicarsi di più ai bambini e di meno alla realizzazione personale.

Nel giro successivo Cottarelli si è mostrato assolutamente impermeabile a queste argomentazioni. Non dico che fosse in disaccordo, sembrava proprio che non le avesse recepite in nessun modo, perché ha continuato a snocciolare dati economici con ottimismo e come se non esistesse nessuna questione di genere, non accorgendosi minimamente dell’evidente irritazione delle interlocutrici, in particolare di Chiara Saraceno.

Questo dibattito, e tutti gli altri eventi del Festival a cui ho partecipato, mi hanno fatto riflettere soprattutto su una questione: hanno messo in luce la scarsa attitudine all’ascolto di noi maschi in confronto alle donne.

E mi sembra una riflessione molto politica.

Siro Valmassoni
Medico ambientalista, per 40 anni anche anestesista rianimatore

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