Il nome di Quinto Anfossi probabilmente non dice nulla. Infatti è un nome inventato. Si tratta dell’ambizioso e maldestro protagonista di un racconto lungo di Italo Calvino pubblicato per la prima volta nel 1957 e intitolato La speculazione edilizia. Siamo in una cittadina della riviera ligure e Anfossi, un giovane intellettuale di sinistra e che ha pure fatto la Resistenza, mette da parte i suoi ideali e si adegua allo spirito del tempo imbarcandosi in un’impresa apparentemente semplice ma in realtà al di sopra delle sue possibilità: rendere edificabile il terreno accanto alla casa di famiglia per ricavarci degli immobili ad uso turistico. In fondo, così hanno fatto tutti i suoi vicini e, a parte il suo piccolo orto-giardino, non c’è rimasto nemmeno un fazzoletto verde, nelle vicinanze. Perché non dovrebbe farlo anche lui e guadagnarci qualcosa? Anzi, perché non specularci come hanno fatto tutti gli altri? Siamo, come scriverà poi Calvino, in un’“epoca di bassa marea morale”, in un sistema di connivenze tra pubblico e privato dove “sono sempre i peggiori che vincono”. La storia non avrà poi un lieto fine né per il protagonista né per il suo terreno che prenderà le sembianze di un scheletro di cemento. Ma questa parte qui c’interessa meno.

Quello che è singolare è che il racconto di Calvino, che pochi probabilmente conoscono (Calvino ormai viene studiato poco anche a scuola), dopo sessant’anni avrebbe molto da insegnare ai nostri amministratori locali, anche a quelli di Mogliano. Perché guardando nel merito alcuni degli accordi “pubblico-privato” approvati nel luglio scorso in Consiglio comunale, il risultato è il medesimo: piccole porzioni di verde, già soffocate dal cemento, attraverso un cambio di destinazione d’uso, diventano edificabili con la concessione di cubature ai privati. 1.500 metri cubi di qua, altri 2.900 di là; e ancora 3.000 metri cubi di su, altri 3.300 di giù. Tutto a norma di legge, sia chiaro. Sono scelte. Ma secondo me sbagliate, perché irreversibili.

Come nella fisica aristotelica siamo di fronte all’horror vacui. Non devono esistere spazi vuoti, in questo caso dal cemento. Il cemento, appunto. Come se non ce ne fosse già abbastanza a Mogliano, come nel resto del Veneto, la regione che ha il record di consumo di suolo in Italia, pari all’11,87% della superficie totale.  Come se non ci fossero centinaia di immobili vuoti in città. Come se non ci fossero lottizzazioni iniziate e abbandonate (vedi Zerman) che gridano vendetta. Prima o poi qualche amministratore, al netto degli strumenti urbanistici, dovrà pure iniziare una riflessione seria sul cemento che c’è e soprattutto su cosa farne. Nel frattempo, dove ora c’è l’erba, sorgeranno case e ancora case. E, in cambio, parcheggi, tanti parcheggi. Ne vale la pena? Tra l’altro a fronte di un quadro demografico che è sostanzialmente invariato da dieci anni. Tra l’altro quando bisognerebbe privilegiare la mobilità lenta e scoraggiare l’utilizzo delle automobili. Finirà probabilmente come cantava Adriano Celentano: “Solo case su case / Catrame e cemento / Là dove c’era l’erba ora c’è / Una città, ah / E quella casa in mezzo al verde ormai / Dove sarà, ah / Non so, non so / Perché continuano / A costruire, le case / E non lasciano l’erba / Non lasciano l’erba / Non lasciano l’erba / Non lasciano l’erba”.

Daniele Ceschin
Nato a Pieve di Soligo il 20.12.1971. Storico con un dottorato di Storia sociale europea dal medioevo all’età contemporanea. Docente a contratto di Storia contemporanea dal 2007 al 2011 all’università di Ca’ Foscari di Venezia. Autore di pubblicazioni a carattere storico. E’ stato Vicesindaco a Mogliano Veneto dal 2017 al 2019.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here