Domenica 9 maggio si è ritrovata una bella schiera con le pettorine nuove fiammanti, decorate con i loghi delle associazioni Salviamo il Paesaggio e Comitato a Difesa ex Cave di Marocco. La stragrande maggioranza dei partecipanti erano donne, vorrà pur dire qualcosa? Con l’azione “Sporchiamoci le mani” han dato vita all’iniziativa di pulizia dai rifiuti del percorso di via San Michele a Mogliano, nel tratto molto frequentato dai pedoni e ciclisti che corre proprio a fianco della tangenziale nord del territorio comunale. Non si è trattato di un’azione di pura immagine: gli attivisti sono proprio entrati con gli stivali, a far “bottino” fin dentro il fosso che costeggia la tangenziale.

Oltre ai bordi della strada, soprattutto tra le erbe palustri, qualche distesa di menta e gli iris, facevano capolino le infiorescenze moderne: un curioso inventario della pochezza umana o -se preferite essere più bonari- della sua eterogeneità. In aggiunta alle sempiterne bottiglie di plastica, lattine, cocci di vetro, eccetera, il campionario della raccolta potrebbe suggerire l’incipit per più di un racconto: chi mai sarà stato a disfarsi di un monitor, chi di una calcolatrice o del telefonino? Quale ciclista deluso ha ripudiato in malo modo la bicicletta? In prossimità di una piazzola, ecco un giacimento sedimentato: vestiti ormai ridotti a stracci, persino una boccetta nuova di smalto verde per unghie. Forse la vendetta antica di un amante, tradito, che ha soffocato anche simbolicamente nel fosso tutto il guardaroba della compagna fedifraga? Avrà vinto la sua gara notturna quel pilota che, derapando in curva come un ossesso, ha seminato un copri cerchione? E quel signore che ha gettato il proprio catetere, completo di sacca d’urina, possiamo considerarlo un folle che anelava, col suo gesto sconsiderato, a liberarsi dalla malattia? E chi ha lanciato le sue bottiglie piene di olio usato sa che può fregiarsi del titolo di potenziale killer seriale? Ogni coccio una storia, ogni rifiuto tolto dalla strada una qualche possibile spiegazione. Mettiamola in ridere, per non soffrire troppo. Povero mondo così male assortito: c’è chi deve lavorare il doppio per sistemare le cose che altri continuano a sporcare, con la spudoratezza degli impuniti. Già, c’è sempre un “loro” indistinto o un’autorità insopportabile che ha tutti gli obblighi e le povere vittime tassepaganti, hanno il diritto di prendersi certi diritti: sporcare l’ambiente rientra in questa libertà, diciamo, rivoluzionaria. Poveri noi! Un esercito di italiani è fatto di grandi allenatori, scafati uomini di governo, debordanti di creatività, grandi ingegneri; tutti si entusiasmano per le novità, ma pochi che abbiano a cuore l’arte della manutenzione. E invece è proprio nella conservazione che si riconosce il grado di maturità di un popolo: e qui siamo ancora lontani. Il Paese col Diritto Civile più antico e prestigioso non sa svuotare un portacenere di cicche a casa propria, nel sacrosanto comodo bidone e lo affida a Madre Natura. Per intossicarla. Ma torniamo coi piedi a terra: a fine del tempo prestabilito, i volontari avevano riempito più o meno una ventina di grandi sacchi. Soddisfatti del buon lavoro, ma anche delusi perché non era stato possibile completare meglio l’ultimo tratto di strada da bonificare. Di fronte alla montagna di immondizie vien da pensare a quel vecchio saggio di Thoreau: all’epoca sua, nel 1800 o giù di lì, aveva lanciato una battuta che voleva essere di sarcastico pessimismo e oggi appare addirittura venata di ingenuità: “Grazie a Dio gli uomini non possono ancora volare e sporcare i cieli così come fanno con la terra!” No, vecchio mio, gli uomini sono riusciti a volare e a disseminare anche il cielo di rifiuti, e pericolosi, come dimostra anche in questi giorni il rientro in atmosfera del missile spaziale cinese. Una specie di metafora poco rassicurante: il calcolo delle probabilità assicurava che i pezzi sarebbero precipitati nell’oceano, di cui è fatta la Terra per tre quarti. Confidiamo sempre che la Natura, così immensa e accogliente, ci preservi dal pagare lo scotto per i nostri errori di piccole creature bastarde e supponenti. Meno male c’è chi non crede in questa fede fatalistica e distorta. Si attrezza e parte: a compiere dei gesti individuali, pratici, dove è possibile dar dimostrazione di amare davvero la propria terra e sentirsi fieri di coltivare l’arte perfetta della manutenzione del paesaggio veneto, oggi tremendamente in bilico e continuamente eroso.

Roberto Masiero
Roberto Masiero è nato da genitori veneti e cresciuto a Bolzano, in anni in cui era forte la tensione tra popolazioni di diversa estrazione linguistica. Risiede nel trevigiano e nel corso della sua vita ha coltivato una vera avversione per ogni forma di pregiudizio. Tra le sue principali pubblicazioni: la raccolta di racconti Una notte di niente, i romanzi Mistero animato, La strana distanza dei nostri abbracci, L’illusione che non basta e Dragan l’imperdonabile.

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