Poi è arrivata l’estate e ciascuna scuola ha lavorato alacremente per garantire la sicurezza di tutti; non si può dire però che vi sia stata un altrettanto efficace riorganizzazione nei trasporti e un tracciamento dei contagi impeccabile (almeno in seconda battuta). In seguito, un nuovo peggioramento dei dati del contagio ha portato ad inizio novembre a una nuova chiusura delle scuole. E poi c’è stata la paventata riapertura post feste natalizie, almeno al 50%, risoltasi con un nulla di fatto.

Non è facile conciliare i tempi (lunghi) di risoluzione della pandemia con i tempi della scuola, ed è chiaro che la necessità dell’istruzione deve essere prioritaria in uno Stato. Ancora, non è facile spiegare ad alcuni colleghi delle medie o delle elementari perché i docenti delle superiori non facciano lezione coi ragazzi e loro sì, quando in realtà il motivo è a mio avviso molto semplice: solo gli studenti dai 12-13 anni in su possono ragionevolmente seguire con una certa autonomia le lezioni online.

La DDI non è assolutamente la scuola in presenza, ma credo sia la soluzione migliore in una situazione emergenziale, dato che i dati post vacanze natalizie non permettevano una riapertura immediata.

Questo appunto accadeva a gennaio; arrivati a febbraio si è deciso di far ripartire, almeno in parte, la macchina scolastica, consentendo la presenza del 50% degli allievi a scuola. Le vie intraprese dai Dirigenti Scolastici sono state sostanzialmente due: o alternare le classi in presenza (una settimana in classe e una settimana in DDI) o far andare a scuola la metà delle classi con gli altri studenti che si collegano da casa. L’unica novità rispetto ad inizio anno è stato l’uso obbligatorio della mascherina anche da seduti (anche se in realtà, per chi ha continuato ad andare a scuola in ottemperanza ai vari DPCM, già da novembre si è adottata questa misura). Ovviamente vi è chi non è stato totalmente ligio alle regole, ma si può affermare che, almeno all’interno dei plessi scolastici, molti studenti abbiano capito cosa fare per poter evitare i contagi. Nei gradi scolastici inferiori è chiaro che la promiscuità può essere più evidente ed è senz’altro più difficile separare gli allievi o farli stare distanti in alcune situazioni. Ma credo che il problema non risieda tanto quando si è “dentro” la scuola, quanto piuttosto quando si è “fuori” di essa: in effetti, se vi è fortunatamente stata una riduzione nella capienza degli autobus scolastici, è altrettanto vero che è al di fuori della scuola dove spesso si creano i cosiddetti “assembramenti” e i ragazzi non sempre sono così attenti al rispetto delle regole come lo sono dentro alla scuola. Ecco, quindi, che è prima e dopo la scuola che il rischio è più elevato. C’è un modo di prevenire tutto ciò? Da un punto di vista logistico si può pensare che i genitori potrebbero portare i figli a scuola in macchina, ma ovviamente non tutti hanno questa possibilità, dovendo lavorare. Da un punto di vista sociale, invece, l’unica possibilità è educare i ragazzi a rispettare le norme anti-contagio; mascherina sempre correttamente indossata, distanziamento e frequente igienizzazione delle mani sono norme ormai intrinseche, che vanno comunque sempre ricordate agli adolescenti.

La notizia più recente è il ritorno alla zona rossa e la chiusura di tutte le scuole sino a Pasqua: speriamo che questo sia davvero uno degli ultimi grossi sacrifici richiesti a tutti noi.

In un altro articolo mi piacerebbe occuparmi delle conseguenze psicologiche che questa pandemia sta avendo, soprattutto sulla fascia adolescenziale; ad ora mi basta affermare, per esperienza diretta, che molti ragazzi sono più tristi, meno sfavillanti del solito, preoccupati, annoiati e, soprattutto, non sempre riescono a portare avanti l’impegno scolastico come dovrebbero. Perché, se è vero che molti allievi hanno continuato a studiare come facevano prima, è altrettanto vero che la pandemia ha aggravato molto situazioni di difficoltà e ha fatto emergere ancora di più i casi problematici. Non è un caso che molte scuole si siano dotate di uno psicologo, figura che può aiutare i ragazzi che lo necessitino ad elaborare questo periodo. Pur non essendo un professionista della psiche, a volte mi basta guardare nei loro occhi per capire che quell’aria malinconica non se la scolleranno di dosso molto presto, e che purtroppo la fine di questa terribile pandemia sarà solo l’inizio di quella che si prefigura come una lunga, e molto difficile, rinascita.

Federico Faggian
Nato a Treviso il 02-06-1981. Laureato in Lingue a Ca’ Foscari, specializzato alla SSIS Veneto. Insegnante di spagnolo in una scuola superiore di Treviso. E’ stato presidente del quartiere Ovest-Ghetto e collaboratore de L’Eco di Mogliano; è consigliere di un’importante realtà associativa locale, il CRCS Ovest-Ghetto. Impegnato da molti anni in città nel mondo dello sport, dell’associazionismo volontario e della cultura.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here