Inizia oggi, con la pubblicazione della prima di tre puntate il reportage
dell’ultimo viaggio in Ucraina di Christian Eccher collaboratore della nostra testata.


Alla dogana della stazione ferroviaria di Chop, la prima città ucraina per chi arrivi da Budapest con l’intercity dalle tre carrozze blu, la doganiera, giovane e avvenente, mi sorride sottecchi mentre controlla il contenuto del mio bagaglio. Ha poco più di vent’anni e, con un guizzo di ardita spavalderia che non mi appartiene, le dico che spero di poterla incontrare nuovamente al mio ritorno. Lei ride e, dopo aver rivolto uno sguardo di complice intesa alla collega a pochi metri da lei, mi segue con lo sguardo mentre esco dalla sala del controllo passaporti; intimidito dalla risata benevola della collega, entro nell’atrio spazioso e buio della stazione senza più voltarmi.

Da Chop, un vecchio “pazik” (piccolo autobus di epoca sovietica) aspetta i passeggeri diretti a Uzhgorod, la capitale della Transcarpazia. I 30 km di strada che separano le due città sono anche un addio alla pianura pannonica. Le dolci colline di Uzhgorod, infatti, annunciano i rilievi più aspri dei Carpazi. Le case a un piano dei paesi che il “pazik” attraversa sono come quelle della pianura pannonica ungherese. La Transcarpazia, infatti, ha fatto parte a lungo dell’Impero austro-ungarico ed è ancora presente una forte componente ungherese, che conta circa 150.000 persone. In questo periodo, le tensioni tra Kiev e Budapest sono fortissime: Viktor Orbán, il premier ungherese, è contrario a un ingresso dell’Ucraina nell’UE e vorrebbe che Zelensky firmasse al più presto una pace con Mosca. Kiev ha fatto arrestare due veterani accusati di essere al soldo di Budapest e di boicottare operazioni belliche L’ungheria ha immediatamente risposto con la cacciata di  alcuni diplomatici ucraini. Questi scontri diplomatici, però, non sembrano impensierire troppo gli abitanti della Transcarpazia, abituati da secoli a vivere insieme. Le presunte ambizioni di Orbán, che secondo alcuni analisti mirerebbe ad annettere la regione, hanno in realtà un altro fine: quello di allontanare l’attenzione della popolazione ungherese dagli scandali che stanno coinvolgendo il governo e, soprattutto, dalla crescente popolarità del leader di opposizione Péter Magyar, il quale potrebbe metter fine al decennale governo Orbán già nell’aprile del 2026. Ciò non vuol dire che non ci siano tentazioni revansciste e annessionistiche da parte di Budapest, ma sono le stesse che animano il nazionalismo ungherese dal 1920 in poi, da quando cioè il Paese, con il Trattato di Trianon, è stato punito per aver perso la guerra con la decurtazione di numerosi territori. Da allora, il popolo magiaro vive in una bolla di nostalgia per un’Ungheria lontana, quasi mitologica, che porta a rimpiangere la perdita non solo della Transcarpazia, ma anche della Vojvodina, della Transilvania, di Bratislava e di alcune zone della Croazia. Un eventuale crollo dell’Ucraina, però, potrebbe davvero costituire un pericolo per la Transcarpazia e per tutte le zone ucraine di confine, come il Budzhak e la Galizia. La partita, come avviene da quando esistono gli Stati nazionali, si gioca al centro, in questo caso a Kiev e a Budapest. Le periferie non hanno voce in capitolo nelle politiche nazionali, nonostante possano costituire un esempio di stabilità e di convivenza interetnica assolute.

Andrey Ljubka e la Georgia

Il centro di Uzhgorod (Ungvár in ungherese) è un intrico di strade che conduce alla piazza del teatro, costruito nel periodo in cui la città era sotto il dominio cecoslovacco, che è durato dal 1920 (Trattato di Trianon) al 1938 (data della spartizione della Cecoslovacchia). A pochi metri dall’edificio del teatro, sulla destra, c’è il ponte sul fiume Uzh, che attraversa la città. Sull’altra sponda, lungo il viale che conduce a un largo boulevard alberato, gli immancabili cartelloni con le foto dei soldati morti al fronte. Anche a Uzhgorod, come nel resto dell’Ucraina, ogni giorno si celebrano funerali militari.

In una di queste vie incontro per caso Andriy Lyubka, uno scrittore (tradotto anche in serbo), che mi invita con i suoi ospiti internazionali a vedere un film sulle proteste in Georgia nel cinema cittadino. Andrey ha organizzato un convegno intitolato “Dialoghi europei”, a cui partecipano intellettuali provenienti dalla Georgia e da quasi tutti i Paesi dell’Europa centrale. Andrey parla correntemente serbo-croato, per cui fra noi non c’è alcuna difficoltà di comunicazione. Il film, intitolato “Inner Blooming Springs”,  parla degli studenti georgiani, delle proteste pro-UE e dei loro tentativi (riusciti) di conciliare studio, proteste e vita privata (sarebbe opportuno che anche gli studenti serbi guardassero questo documentario). La discussione finale fra i partecipanti al convegno e gli spettatori del film mette in luce la necessità di avere, in caso di proteste popolari, una forte articolazione politica che, a volte, può anche non dare i frutti desiderati, come in questo momento in Georgia. Maidan, la rivoluzione ucraina del 2013, ha invece portato a cambiamenti fondamentali nel Paese ma anche a una guerra sanguinosa, che ancora perdura, anche se qui a Uzhgorod si sente poco.


Il reportage dall’Ucraina di Christian Eccher continua con la pubblicazione
del secondo articolo il 02/07/2025 dal titolo: Il treno e Leopoli

Christian Eccher
Christian Eccher è nato a Basilea nel 1977. Si è laureato in Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, dove ha anche conseguito il dottorato di ricerca con una tesi sulla letteratura degli italiani dell’Istria e di Fiume, dal 1945 a oggi. È professore di Lingua e cultura italiana all’Università di Novi Sad, in Serbia, e nel tempo libero si dedica al giornalismo. Si occupa principalmente di geopoetica e i suoi reportage sono raccolti nei libri Vento di Terra: Miniature geopoetiche, Esimdé e Kàrhozat. In Serbia è collaboratore assiduo della rivista di opposizione Danas

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