Le celebrazioni per il 25 Aprile a Mogliano sono terminate e meriterebbero un racconto “minuto per minuto” con intenzioni, proibizioni e poi con una partecipazione che da anni non si vedeva. Incontriamo la presidente dell’Anpi, Giuliana Marton, alla mostra del Broletto sulla resistenza con il deliberato scopo di tralasciare l’intreccio politico di questi giorni e parlare di un altro argomento: suo padre, Bruno Marton.
Cara Giuliana, hai avuto un genitore importante. Un partigiano, un democristiano, un amministratore.
E un papà altrettanto importante. Prima di rispondere alle tue domande voglio ricordare che noi eravamo una famiglia… importante, in sette più i cugini. Spesso pranzavamo e ci muovevamo in nove e lui era il riconosciuto e autorevole capo. Se vuoi nell’educazione manteneva certe idee conservatrici ma era capace di iniziative, come posso definirle, coraggiose. Anzi audaci per quei tempi.
Fammi un esempio.
Ti avverto che ti porto fuori dalla politica. Pensa che una volta ha voluto visitare la Svizzera, non giravano tanti soldi ma lo abbiamo fatto lo stesso, tutta la tribù, con una mini-roulotte, una tenda, e un pulmino Volkswagen. Li ricordi quelli degli hippy? Alla notte, dentro con i materassini.
Sorelle comprese?
Certo e pensa che un paio di anni dopo prestò la Giulietta, la macchina veloce famosa, a mia sorella Gianna, che aveva appena preso la patente e partimmo con un’amica e noi due sorelle minorenni. Quattro ragazzine in giro per l’Europa.
Tu sei l’ultima figlia. Un rapporto sempre idilliaco?
Di rispetto di sicuro, ma sulle idee del mondo conflittuale quanto basta.
Scusa ma anche qui vorrei un racconto magari che ne so…
Va bene. Come hai intuito faccio parte di quella generazione che nel ‘68 si è data da fare. La faccio breve. In quel momento mio papà Bruno era sindaco di Treviso e c’era il progetto della tangenziale, manifestazioni nostre contrarie, devastazione del territorio, contadini sfrattati. Durante i cortei a cui partecipavo, ero anche incinta tra parentesi, sentivo delle cose terribili su di lui e mi facevo piccola piccola. Non era facile come figlia. Adesso però devo ammettere che aveva ragione lui, pensa che fino ad allora i camion attraversavano la città…
Stiamo andando a tuo padre amministratore.
Eh sì, sai cosa? Fondamentalmente non ho cambiato idea però ho imparato che l’ideologia deve stemperarsi nella realtà. Un buon politico deve essere soprattutto un buon amministratore.
Bruno Marton è stato il sindaco di Mogliano, due volte di Treviso e anche due volte presidente della Provincia, poi presidente della Fondazione Cassamarca… beh non è poco.
Pensa che lui non ha mai voluto essere un deputato, ha sempre scelto di tenere i piedi fissi sul territorio. Devo fare un tuffo all’indietro, carpiato, e vorrei tornare a Bruno Marton partigiano. Anche qua bramo un paio di storie.
Cominciamo col dire che mio papà non fu l’unico cattolico a Mogliano a partecipare alla resistenza. Non voglio annoiarti con la famiglia Marton che abitava proprio in centro, ci siamo trasferiti a Treviso nel ‘51 e quindi tutta l’azione, iniziale, partiva da qui. La storia dei documenti falsi per esempio…
Beh, lui aveva una piccola tipografia.
Sì, esatto è proprio sotto il palco dell’attuale Busan stampavano i documenti per gli ebrei. E usavano due timbri, uno lungo e uno rotondo. Li abbiamo cercati per anni. Se li avessimo trovati probabilmente Bruno Marton sarebbe stato nominato uno “dei giusti di Israele”. Papà inoltre era rappresentante del CLN per l’allora nascente Democrazia Cristiana. Fu lui a rappresentarla nella riunione di Bavaria dove cominciò la resistenza dal punto di vista organizzativo.
Un antifascismo quindi che viene da lontano
Mi viene in mente proprio adesso un curioso episodio che la dice lunga sull’antifascismo dei miei. Una volta il mio moroso Ernesto (Perillo, attuale marito) arrivò a casa con una camicia nera, moda o scelta infelice, e mia madre alla fine gli si avvicinò e gli disse che la prossima volta poteva non metterla, insomma la faceva star male.
Vorrei arrivare al famoso episodio della fucilazione.
Intanto ti dico subito che lui non volle parlarne per molto tempo e poi cercò di smorzarne la gravità. Comunque, brevemente successe questo. I fascisti lo arrestarono, lo picchiarono e lo misero al muro. Ma non bastò, lui con la sua chiacchiera riuscì perfino con loro a guadagnar tempo, ore su ore per arrivare al mattino quando la situazione cambiò.
E come ve lo raccontava?
Intanto ancora adesso ho la sensazione che questa terribile esperienza lo abbia temprato, non aveva più paura di morire, neanche negli ultimi giorni della malattia. Poi, ma era tipico suo, ironizzava sull’ultima sigaretta.
No, questa mi manca.
Mio papà aveva smesso di fumare ma tormentava tutti chiedendo appunto una sigaretta. L’ultima diceva. “Dame na sigareta” era quasi un soprannome e usò questa tecnica anche con il suo fucilatore. Diceva che l’aveva accettata anche se “pacioeada”. Non ho capito quanto scherzasse e quanto no. Sta di fatto però che dopo quell’arresto mia mamma ogni volta che lui ritardava si preoccupava parecchio. Anche dopo la guerra, magari lui arrivava ad ore assurde dopo i Consigli e comunque voleva raccontarle tutta la riunione, emendamento su emendamento. Un tipo.
Non abbiamo parlato di tante cose. L’invenzione con Cora Bellio delle colonie per permettere ai ragazzi moglianesi, anche bisognosi, di andare in montagna o al mare. Non abbiamo parlato del suo essere democristiano, moroteo, della sua influenza su Tina Anselmi, non abbiamo parlato molto della estesa famiglia Marton e poco pure di Giuliana ma arriva Ernesto Perillo che deve spegnere le luci della mostra. Osservo che ha una camicia chiara.

Treviso 03 05 2025 – Grazie di questo contributo…