Popolo e profeti

Le vicende politiche internazionali hanno cambiato registro. Non vi è dubbio che l’immobilismo della politica abbia rappresentato nella seconda metà del Novecento, fino alla fine del comunismo, il trionfo degli apparati, degli “eletti”, dei protagonisti passati per lunghe esperienze.

Ce ne siamo accorti anche in Italia. Anzi, per certi versi abbiamo anticipato la fine di questa stagione con la “crisi” delle manette che ha tolto credibilità e sicurezza alla politica.

Da lì è partita la fortuna dei principianti, degli sconosciuti, degli emergenti, anche favoriti dal contemporaneo cambiamento della comunicazione, dei modi per apparire, del senso del “favore” popolare.

Partiti inediti, partiti cambiati, protagonisti umani che superano largamente anche la loro stessa forza politica di riferimento. In pochi anni abbiamo visto di tutto e di più e lo continuiamo a vedere, seppur meno violentemente.

Ma non è stato un nostro privilegio. Per nulla. Questa democrazia, ubriaca di trasformazione, è corsa per l’Europa generando leader e facendoli quasi scomparire, come ad esempio è chiaramente successo a Macron.

Ed ancora ridando fiato a personaggi di estrema destra in molte vicende elettorali dimostrando così che le paure ataviche post-’48 erano alla fine ovunque, dall’Ungheria all’Austria, dalla Germania all’Italia.

Si è poi abbreviata la “corda”, la relazione, il rapporto tra Governo e Popolo. È diventata istantanea, misurata su gesti e parole, sui comportamenti e soprattutto su ciò che immediatamente viene percepito dalla gente.

La vittoria della pancia, si è scritto. Anche, ma forse non proprio. La vittoria del fine sui mezzi che diventano poi tutti consentiti. Il fine è mostrato e raccontato e diviene “ragione” al di là dei mezzi con cui si ottiene, fino a che non ci riguardano di persona, direttamente.

Si può dire che occorre veramente essere in crisi nel profondo per superare l’innamoramento storico per le proposte, le parole e i gesti concreti di governo.

Questo è stato ed è l’amore per Trump e il disamore per i Democratici americani, lenti, ondivaghi e divisi.

E questo è oggi anche la caduta nei sondaggi di Trump, che si può definire crisi da “sberla”. Perché se la distanza tra governante e governato si restringe, altrettanto la paura da contraccolpo diretto diventa più forte. I sondaggi in Canada lo dimostrano.

Pino Pascali, 32 mq – ph. Cosmo Laera, Fondazione Museo Pino Pascali

E non è un caso che ciò non avvenga se non nei luoghi dotati di democrazia elettorale. Si badi bene, l’abbiamo definita “elettorale” perché la distanza da quella “sostanziale” è immensa.
Quindi niente scossoni nei regimi a democrazia ridotta o insistente. Essi infatti sono nelle condizioni di non far avvenire o di mediare quell’avvicinamento tra potere e popolo di cui si è scritto.

E ciò, tra l’altro, fa riflettere perché, da quanto abbiamo scritto, appare come non sempre l’avvicinamento tra popolo e governo sia oggettivamente utile.

La politica diffusa, che non conosce regole ed adora il tempo breve nel governo, uccide infatti la democrazia. La delega nei sistemi democratici aveva questo senso: “stemperare”. E oggi non si stempera nulla.

Per questo Giorgia Meloni non ama il Parlamento. Non per richiami ai vecchi regimi, ma per utilità. Esso infatti non risponde alle sue necessità di messaggio e di protagonismo.

In questo panorama si vota il nuovo Papa. Ed è interessante cogliere come molti dei passaggi stereotipati sulla sua collocazione politica siano inermi di fronte ad un dibattito che è “altro”.

Ma c’è di più. Da sempre l’elezione di un Papa risponde alle necessità profonde della Chiesa. Il Papa “buono” che lanciò il Concilio vide poi un Papa di immagine severa e curiale dimostratosi invece fondamentale nella vita e nei cambiamenti del cattolicesimo.

E così fu anche in seguito, perché il Papa viaggiatore e co-distruttore del Comunismo reale ha visto giungere, un po’ di tempo dopo, il Papa sociale, di tutti, soprattutto dei deboli, degli oppressi e degli ultimi. E questo in una epoca di vittoria assoluta del Capitalismo. Non è un caso.

Papa Francesco ha però cambiato le carte in tavola. Le ha proprio cambiate, non le ha mescolate. Il suo legame con gli ultimi, da una parte, e la considerazione sull’Altro Mondo protagonista (non più l’Occidente) non possono essere di fatto accantonati. Sono la Chiesa di oggi. E ciò renderà difficile proseguire senza tenerne conto.

Diciamo che il Papa che verrà non sarà così libero di cambiare come fu in passato. Dovrà fare riferimento. E quella idea di “Spirito Santo” che si posa come amichevole guida qui traspare in forma tutta umana, storica, concreta.

Immagine di copertina: Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1968

Si ringrazia la redazione della testata giornalistica “ytali.com” per averci concesso di riproporre l’articolo su “ILDIARIOonline”
Maurizio Cecconi
Veneziano, funzionario del PCI per 20 anni tra il 1969 ed il 1990. Assessore al Comune di Venezia per quasi 10 anni è poi divenuto imprenditore della Cultura ed è oggi consulente della Società che ha fondato: Villaggio Globale International. È anche Segretario Generale di Ermitage Italia.

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