Le nostre società soffrono di ipertrofia consumistica, calmierata solo temporaneamente dall’irrompere di crisi, come capita di questi tempi. Per questo è legittimo porsi la domanda: “feste” a tema: “della mamma”, “del papà”, “dei nonni”, “dello sport” ecc. hanno ancora senso? Quanto c’è di autentico in questa bulimia festaiola? Vi è un punto in cui la volontà di sensibilizzare il largo pubblico nei confronti di ruoli o aspetti della vita di notevole rilevanza socio-politico-culturale cede il passo per diventare occasione di nuovi bisogni, alimentare la corsa a nuovi consumi, dilatando un mercato già di per sé esagerato.

Fino a qualche tempo fa, sono stata tentata di pensare così anche riflettendo sulla “festa” dell’8 marzo: omaggi di mimose seguiti magari da incontri serali fra donne in qualche locale, pizzeria, discoteca ecc. Scelte tutt’altro che disdicevoli, ma non di rado scaricate di vero entusiasmo. A volte sembrano esaurire la loro carica di empatia nell’atto stesso del loro accadere, come a dire “ecco, anche quest’anno ce l’abbiamo fatta, abbiamo adempito al nostro dovere, siamo a posto!”.

Gli eventi drammatici degli ultimi tempi hanno costretto a prendere coraggio, invogliato alla partecipazione, riscoprendo il valore originario che ha rappresento e rappresenta questa ricorrenza in termini di diritti. Il padovano Gino Cecchettin, padre di Giulia, la giovane laureanda   assassinata qualche mese addietro, ha deciso di continuare la sua lotta contro le violenze di genere celebrando l’8 marzo con la presentazione del libro che ha dedicato alla figlia, dal titolo Cara Giulia. Il libro racconta chi era Giulia, ce la fa amare con i suoi sogni, aspirazioni, sentimenti che rendono ancora più assurda e disumana la violenza che ha subito e quelle che, continuano ad essere perpetuate nei confronti delle donne. Sì, l’8 marzo ha ancora senso e, al di là della “festa,” il discorso è da riprendere a partire dalla conoscenza, che è la risorsa più importante che abbiamo per affrontare le nostre difficoltà.

Uomini e donne devono imparare a perdere tempo per conquistare conoscenza, abbandonarsi a slanci empatici per comprendere i vissuti degli altri, massimamente dove alberga il dolore e la sofferenza. Per questo, in occasione dell’8 marzo, ho deciso di ricordare, in questo spazio pubblico della nostra città, due donne mancate di recente nella nostra comunità: Lella Trinca e Rita Fazzello.

La prima se ne è andata nell’agosto dello scorso anno, la seconda qualche settimana fa. Due donne diverse, quasi coetanee, che hanno vissuto la loro giovinezza e fatto le loro scelte decisive nello stesso periodo storico. Due donne che si conoscevano appena, ma che io ho avuto la fortuna di frequentare entrambe e di coglierne i tratti di personalità. Entrambe hanno deciso di andarsene in silenzio, una scelta che mi ha colpito moltissimo, perché, apparentemente, in controtendenza rispetto alla pubblicità della loro vita.

Rita Fazzello è stata insegnante prima, dirigente scolastica poi, impegnata politicamente nell’amministrazione cittadina fin dagli anni 80. Lella Trinca è stata una moglie e una madre che aveva scelto di dedicarsi interamente alla famiglia, ma mai chiusa all’interno delle mura domestiche. Se dovessi sintetizzare in una parola chi è stata veramente Lella, direi che il termine che meglio la descrive è socialità, elevata al quadrato per la sintonia che aveva raggiunto con il marito, Mario Trinca.  E casa Trinca – un luogo, un simbolo, un landmark verrebbe da dire – era, è stata per molto tempo una specie di porto di mare. Anche in virtù della posizione strategica lungo il più bel viale di Mogliano, via Barbiero, meglio nota come viale dei Tigli, era aperta a tutti: parenti, amici, conoscenti, noti e meno noti.

Due ragazze – mi piace ricordarle così – che a partire dagli anni caldi del decennio ‘60 – ’70 – hanno saputo rompere gli ormeggi affrontando il mare aperto della diversità, riservando un occhio di riguardo a tutto ciò che esulava dal quietismo borghese, dall’appagamento dell’individualismo disimpegnato, per un riscatto esteso all’emarginazione in genere, ed in specie alle donne. Per questo, nel loro ricordo, è giusto festeggiare l’8 marzo.

Carla Xodo
Carla Xodo è professoressa emerita di pedagogia generale e sociale dell’Università degli studi di Padova. Tra i molti incarichi istituzionali al Ministero e all’Università, è stata anche vicesindaco e assessore alla pubblica istruzione e cultura del Comune di Mogliano Veneto nella legislatura 1980 al 1984.

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