I segnali che si ricevono non possono passare inosservati e trovarci distratti.

Impensabile naturalmente è il silenzio.

Il mio è un ragionamento, una riflessione per il popolo democratico, per la gente che si “sente” di sinistra nel cuore e per chi non vuole essere complice delle disparità sociali, di quelle economiche o culturali.

Non credo di aver mai vissuto un’epoca simile a questa.

In cui coesistono insieme e convivono – apparentemente senza problemi – disparità, complessità e differenze sempre più radicali.

Intanto la prima: in un mondo come quello che ci ospita stanno accanto il massimo della “scoperta”, della “ricerca” e della “novità” scientifica con una disparità drammatica nella disponibilità delle ricchezze e dei consumi. 

Una contraddizione certo antica che l’evoluzione dopo le guerre mondiali nel novecento non ha toccato, non ha sconfitto ed ha combattuto solo in piccola parte.

Lo vediamo nelle disponibilità materiali, nella partecipazione dei lavoratori alla vita imprenditoriale, nelle stesse aspirazioni che vengono trasmesse alle giovani generazioni.

I “desideri” che la società in generale esprime e fa esprimere sono marcatamente espressione di questo consumismo esasperato sia ove vi è la disponibilità concreta, il “potere” d’acquisto, sia dove questo è soltanto un “sogno” – evidentemente naturale e legittimo – maturato alla luce di una comunicazione globale figlia ovviamente della ricchezza.

L’essere umano sembra incapace di cogliere la contraddizione tra la sua capacità di creare ed inventare e la sua incapacità di vivere e di stare insieme.

La seconda è drammaticamente evidente: la guerra.

Si può arrivare perfino a rimpiangere i tempi della “guerra fredda” che tanto abbiamo contrastato e odiato in un recente passato.

E questo perché pare quasi che ci si sia messi d’accordo: il nucleare non si usa certo fino all’ultimo istante ma prima ci si può tranquillamente scannare e soprattutto si può inviare al massacro.

Ed allora i luoghi dello scontro fanno notizia solamente per poco.

O divengono espressione virtuale di potenza per tifosi accecati o vengono giustificati in virtù di strategie politiche e morali.

Il racconto della tragedia è sempre più memoria di un evento piuttosto che dimensione “troppo” umana.

Ed anche qui la comunicazione è spesso manovra, sottile o volgare strumento di convincimento e di schieramento.

Ma la crisi più delicata è quella che sta subendo il significato concreto e fattuale della parola “democrazia”.

Non siamo di fronte ad una evoluzione comprensibile storicamente dei significati che questo termine comprende.

Siamo di fronte ad una “rottura” secca con il desiderio e l’aspirazione alla democrazia.

Non è cioè solo drammatica la violazione forzata della democrazia.

È assolutamente perverso invece il mancato bisogno di lotta per la democrazia che sempre di più si avverte anche a livello popolare.

La sopportazione delle democrazie monche, della violazione dei diritti, dell’affermazione di poteri forti, dei ricatti personali e familiari viaggia accanto alla corruzione dei governi che diviene “sistema” permesso di vita insieme al privilegio del risultato rispetto al modo con cui si costruisce.

Il vecchio detto che proponeva la democrazia come miglior governo anche se farraginosa, burocratica e stancante è passato di moda.

Infine, per non esagerare nei richiami al pensiero, vale la pena ragionare sul pesante freno che ha avuto in questi anni la dimensione collettiva.

Lo ha avuto ovunque fuorché nel volontariato singolare o associato.

Capiamoci bene.

È grande in Occidente – dove ancora il senso novecentesco della parola democrazia è riconoscibile – la sensazione di mancanza rispetto a quel che è stato il secolo scorso.

Sindacati, partiti, associazioni non erano solo molto più presenti e più forti.

Erano anche realmente “vissute”, “partecipate”, “usate” dal popolo.

Divenivano forte momento educativo e formativo perché “portavano” alla realizzazione di unità, di un minimo comun denominatore che non era solo utile base di lavoro ma era uno “stare sociale”.

Era abitudine al confronto, alla comunanza di obiettivi e di ricerca di destino.

Di fronte alle forme del lavoro e dello stare insieme che oggi separano, escludono, distanziano e individuano il singolo come unico protagonista si capisce bene come vi sia la sensazione di difficoltà e marginalità che mi permettevo di sottolineare.

Ed allora se queste parole che mi sono affannato a spendere non sono solo foglie morte mi pare necessario che ciascuno di noi faccia un esame di coscienza.

In particolare mi rivolgo a quelli che il Novecento lo hanno seppur in parte attraversato e visto o a quelli che qualche limite qui indicato pensano di sentirlo proprio anche nel nuovo secolo.

Possiamo dividerci sull’interpretazione del passato?

Possiamo rivendicare il “giusto” parziale rispetto ad un “giusto” comune forse meno ricco ma che ci fa ritrovare insieme?

Possiamo far finta di nulla rispetto ad un “nemico” così terribile?

Questo modo di essere che francamente aspira solo a rimanere isolato e settario premia chi vive bene nel secolo delle emarginazioni e della fatica democratica.

Non premia certo chi subisce i torti e le angherie di questa società.

Il “diario” della vita del popolo di sinistra non può non accorgersene.

Maurizio Cecconi
Veneziano, funzionario del PCI per 20 anni tra il 1969 ed il 1990. Assessore al Comune di Venezia per quasi 10 anni è poi divenuto imprenditore della Cultura ed è oggi consulente della Società che ha fondato: Villaggio Globale International. È anche Segretario Generale di Ermitage Italia.

5 COMMENTS

  1. Caro Maurizio, per un altra volta ti voglio ringraziare per la tua analisi cosi realistica! Grazie caro amico! Vassilis

  2. Credo purtroppo che non esista molto il senso di comunità e appartenenza in questo momento storico…. A volte rimango perplessa nel vedere che esiste la parola “democrazia” solo perché esprimerla fa un certo effetto.. poi però bisogna lavorarci sopra per non vederla evaporare.Hai ragione c’è proprio un nemico da tenere ben lontano:l’indifferenza!!!!

  3. Manca qualcosa che riesca ad aggregare i molteplici sensi di comunità che germogliano e si sostanziano attorno ad innumerevoli consapevolezze meritevoli.
    In questa condizione finiscono per essere una sorta di “individualismi collettivi”: piccoli nuclei di ragionevolezza che sfociano solo in rivoli che non riescono ad unirsi a formare un fiume…

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