Ho affrontato nei giorni scorsi in un articolo su queste pagine gli scricchiolii, le debolezze, i segnali di crisi della democrazia. Ed ho scelto volutamente alcune dimensioni internazionali per caratterizzare il mio pensiero. Ora invece cercherò di guardare al nostro Paese, a casa “nostra” per capire se esistano gli stessi problemi, le stesse avvisaglie pericolose. Preannuncio subito che sono convinto di una risposta affermativa alla mia domanda e quindi tenterò di spiegare il perchè.

Il primo elemento è quello del voto. Pare non interessi a nessuno che il 50% degli italiani non si rechi a votare.  Certo i giornali in quei giorni lo scrivono a caratteri cubitali ma poi tutto tace. Anzi. Succede una cosa diversa. Il comportamento della politica e dei partiti si basa su logiche che danno per scontata ed aquisita questa scelta di separazione.

Perchè di separazione si tratta. E la politica spesso è più cinica di quanto si possa immaginare e quindi si dichiara preoccupata e in ansia per il dato del non voto ma lo assume come “fatto accaduto” nei propri comportamenti, nelle proprie scelte. Tanto gli eletti in Parlamento, nelle Regioni e nei Comuni non cambiano mica!

Mi verrebbe voglia di proporre che gli eletti fossero diminuiti per ogni lista in maniera percentuale secondo i non votanti di quel collegio! Chissà, forse cambierebbe qualcosa. Mi si domanderà se la “mia” sinistra non soffre di questo male. Purtroppo ne soffre e non poco.

Sento e leggo di segnali positivi al vertice del maggior partito di opposizione ma non so se questi segnali avranno la forza (lo spero e lavorerò per questo) per vincere nel corpo medio dirigenziale a volte assuefatto a logiche di potere che non hanno bisogno dei non votanti.

Ancora. Qualcuno potrebbe dirmi che il populismo verbale e sostanziale è l’antidoto alla disaffezione al voto. E lo potrebbe fare citando i casi di Berlusconi, della Lega e di Grillo.

È esattamente il contrario. Anni di urlatori seriali, di promettitori insolventi, di falsi ammanicatori hanno educato a non credere e a non fidarsi. Anni di televisione distorta e mercificatrice hanno dato la copertura culturale ed ideologica al populismo gretto e volgare.

Ed infine i social sono divenuti o rischiano di divenire il falso stadio di uno stridore di mille voci cui, per la gran parte, non interessa capire e sentire ma solo “dire” perchè il confronto non c’è e non c’è nemmeno lo sguardo di chi ti fa capire quando è meglio tacere. Un tale sfacelo ha disilluso, allontanato, disincantato e stomacato molti di quelli che pensavano fosse possibile cambiare in meglio la societa’.

Perchè chi va a votare è chiaro: ha per lo meno un po’ di fiducia e quindi con lui si può dialogare e si può “contendere” la sua fiducia. Chi non va a votare, se togliamo gli impossibilitati, lo fa per distacco, per disamore, per lontananza e quindi ri-conquistarlo al voto è difficile, faticoso, complesso e soprattutto lungo e sottomesso a continue verifiche.

Ma la democrazia è fatta di questa fatica. E chi la esercita e la “gode” pur nelle sue complessità non può non esercitare fino in fondo la ricerca della sua pienezza che sta appunto nella riconquista al diritto democratico al voto.

Aggiungerò un secondo argomento che mi si pone di fronte pensando ai limiti che la democrazia subisce nel nostro Paese. E penso a quello che ritengo sia ai nostri tempi l’elogio dell’ignoranza. Vi siete accorti che conta l’affabulazione piuttosto che il senso di ciò che si dice? Che si desiderà la facilità di ogni concetto piuttosto che la fatica delle complessità del nostro mondo? Che sempre di più ci si parla usando meno parole possibili e quasi ci si vanta di non conoscere nuovi termini?

Che usando quei simboletti che si chiamano emoticon esplicitiamo spesso l’incapacità congenita di esprimere sentimenti con parole appropiate? E credete forse che tutto ciò non c’entri con la democrazia? C’entra eccome!

Democrazia è diritto di voto certo ma è emancipazione per chi non contava nulla ed assume invece la possibilità di divenire protagonista. Ed allora democrazia è conoscenza, studio, perseveranza nell’affermare i propri diritti, e’ opportunità di “sapere” divenuta aperta e non per pochi…

E se invece quella che chiamiamo “gente” non si confronta, non discute, non impara il valore della lettura, non ascolta, non conosce il peso della pietra che ha la parola dove andremo? E credete forse che il disamore che la destra ha per la scuola – dimostrato in mille occasioni – e che manifesta per la cultura – vista come nicchia utile solo a certe lobbies sinistrorse – sia costruito a caso? No.

Tutto ciò è una manifestazione evidente di un desiderio di diminuzione della democrazia, è un segno di fastidio per le idee non dominanti, è la chiara espressione di una ambizione alla volgarizzazione della “societas” come fu pensata e voluta con e dopo la Resistenza. Ed allora i segnali vanno colti, a livello internazionale e qui nel nostro Paese perché le coincidenze sembrano troppe. E questa volta sul serio il troppo stroppia.

Maurizio Cecconi
Veneziano, funzionario del PCI per 20 anni tra il 1969 ed il 1990. Assessore al Comune di Venezia per quasi 10 anni è poi divenuto imprenditore della Cultura ed è oggi consulente della Società che ha fondato: Villaggio Globale International. È anche Segretario Generale di Ermitage Italia.

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