Il crollo dell’Unione Sovietica, cessata ufficialmente di esistere il 26 dicembre 1991, apre in tutto il vasto territorio dell’ex impero comunista il vaso di Pandora delle rivalità e delle rivendicazioni nazionali. Il 6 gennaio 1992 il Nagorno Karabakh si auto proclama repubblica indipendente e inizia un conflitto vero e proprio tra l’Azerbaigian e il Nagorno Karabakh, che è chiaramente sostenuto dall’Armenia. In precedenza c’erano stati scontri di confine e attacchi isolati.

La guerra dura tre anni e, nonostante l’inferiorità numerica di combattenti e mezzi, le forze armene riescono a vincere, essendo molto più compatte e coordinate rispetto la parte avversa. Gli armeni, oltre a stanziarsi nel territorio del Nagorno Karabakh, occupano anche dei distretti azeri che hanno lo scopo di proteggere l’enclave conquistata e fungere da cuscinetto lungo il già noto corridoio di Lacin, che esisteva già in epoca sovietica.

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU condanna l’occupazione armena di tali distretti, chiedendo il ritiro delle truppe dal territorio, senza però ottenerlo. Il 12 maggio 1994 viene firmato un cessate il fuoco da parte dei Ministri della Difesa di Azerbaigian, Armenia e Nagorno Karabakh.

Come accade solitamente a seguito di una guerra, si formano maree di profughi, e in questo caso sono numerosi da ambo le parti. 400.000 armeni lasciano l’Azerbaigian, alla volta dell’Armenia. Sono circa 500.000 gli azeri che abbandonano sia i distretti occupati dagli armeni, che l’Armenia stessa, percorrendo il percorso inverso. Il Nagorno Karabakh si auto proclama nuovamente repubblica indipendente con capitale Stepanakert, dotandosi, nel giro di poco tempo, di una Costituzione e istituzioni proprie.

Purtroppo nessun stato nel mondo ha deciso di riconoscere questa nuova entità statale, da allora fino ad oggi. Di recente, per quanto concerne l’Italia, ci sono stati pronunciamenti di sostegno da parte di diversi Consigli comunali e regionali. La stessa Russia e gli Stati Uniti non si sono mai pronunciati a suo sostegno. Per quanto concerne la Russia, è fondamentale ricordare che la Repubblica Armena ha fin da subito aderito al CSI, consolidando gli storici forti legami con la Russia. In Armenia sono sempre state massicciamente presenti forze militari russe, specie lungo i confini con la Turchia.

Quando venne firmato il cessate il fuoco, la Repubblica presidenziale d’Armenia era governata da Levon Petrossian, un leader politicamente indipendente e che non era stato riciclato dal vecchio apparato sovietico comunista. Era il primo presidente dell’Armenia indipendente e aveva anzitempo proposto di definire al più presto la questione karabacha, non escludendo soluzioni di compromesso. In tal caso cozzò fortemente con un’opposizione netta sia a livello politico interno, che di opinione pubblica. I presidenti che gli succedettero erano di altro convincimento.

Segue un trentennio in cui non si riesce a giungere a un trattato di pace, nonostante gli interventi di mediazione del Gruppo di Minsk (USA, Russia, Francia). Entrambe le parti si sono sempre appellate a due principi del diritto internazionale: l’Armenia a quello dell’autodeterminazione dei popoli, e l’Azerbaigian a quello dell’intangibilità dei confini, rifiutandosi di fare alcun passo indietro.

Nel corso di questo lungo periodo, però, le due repubbliche sono cresciute in modo molto diverso. L’Armenia, priva di materie prime, è riuscita a progredire economicamente in modo molto graduale, grazie soprattutto all’agro alimentare e al turismo. Politicamente, a seguito di un referendum popolare del 2015, da Repubblica presidenziale è divenuta repubblica parlamentare. L’Azerbaigian, governato da oltre vent’anni dagli Aliyev, prima il padre e poi il figlio, che si sono succeduti nella carica di presidente, si è progressivamente arricchito, grazie agli ingenti giacimenti di petrolio e gas di cui dispone. Gli introiti della vendita di tali fonti energetiche hanno consentito negli anni al governo azero di investire ingenti somme in armamenti supertecnologici di prima generazione, compresi gli efficientissimi droni di fabbricazione turca e israeliana.

A questo punto, duole dirlo a chi ha sempre sostenuto con convinzione la causa di questo popolo maledetto dalla Storia, i governanti e l’intelligence armeni non sono stati in grado di valutare e comprendere per tempo quanto rischiosa stesse divenendo la situazione. Non è bastata, come campanello d’allarme, nemmeno la breve, ma significativa aggressione bellica da parte azera dell’aprile del 2016, a seguito della quale sono stati conquistati alcuni avamposti nei distretti occupati dagli armeni, apparentemente di scarsa entità, ma significativi da un punto di vista strategico.

Così, mentre la fiera e laboriosa Repubblica dell’Artsakh negli anni era cresciuta economicamente, aprendosi anche al turismo, e culturalmente, con importanti centri studi, grazie a considerevoli contributi della diaspora armena statunitense, a Erevan si continuava a sperare che la tregua perdurasse, pur essendo ormai attaccata a un filo sottilissimo (2 – CONTINUA).

Sandra Fabbro
Sandra Fabbro è nata a Treviso nel 1955. Laureata in Lingue e Letterature straniere (russo e inglese), ha insegnato lingua russa in corsi serali per adulti fino al 1989 e lingua inglese nelle scuole secondarie di primo grado fino al 2015. Ha collaborato alla stesura di unità didattiche finalizzate all’Educazione ai Diritti Umani, quale membro di Amnesty International. Dagli anni 2000 fa parte dell’Associazione Italiarmenia, con sede a Padova, collaborando all’organizzazione delle diverse iniziative di questa. Per il sito dell’Associazione redige recensioni sui libri di carattere armenistico che vengono pubblicati in Italia e queste vengono inserite sotto la voce “Novità librarie”. Ha tradotto dall’inglese “Surviviors. Il genocidio armeno raccontato da chi allora era bambino” di Donald Miller e Lorna Touryan Miller, Guerini e Associati, 2007. Fa parte del Comitato Scientifico per il Giardino dei Giusti del Mondo di Padova

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