8 settembre: ricordare un campo di concentramento.

Questa mattina, venerdì 8 settembre, alla caserma Cadorin di via Feltrina verrà rievocata una delle pagine più buie e sconosciute nella recente storia della città di Treviso.

Nella caserma per quattordici mesi dal 2 luglio del ’42 all’8 settembre ’43, ottanta anni fa,a Monigo fu allestito un campo di internamento per prigionieri di guerra sloveni e croati. Un campo terribile dove transitarono ventimila civili in condizioni disumane e ben duecento morirono di stenti e malattia. Particolare vergognoso, le bambine e i bambini morti furono più di cinquanta e tra di loro pure alcuni neonati.

Il ricordo di queste atrocità fu quasi smarrito nel dopoguerra e solo il lavoro dell’ISTRESCO (Istituto per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea della Marca Trevigiana) ha permesso di recuperare le poche testimonianze e perfino dei disegni fatti dai deportati all’interno del lager. Un po’ alla volta la verità su quanto successo è riaffiorata e sono stati pubblicati diversi libri su quei lontani-vicini avvenimenti.

Citiamo per tutti il libro Di là del muro il campo di concentramento di Treviso (1942-1943)di Francesca Meneghetti.

“…Il prigioniero, appena giunto nel campo, veniva sottoposto a “bonifica” (cioè a una doccia con simultanea disinfestazione degli abiti, che gli venivano poi restituiti, in quanto non era prevista una divisa, a differenza dei lager tedeschi). Poi gli veniva fornito il corredo: due coperte, un cucchiaio, una gavetta e un po’ di paglia. Per dormire, disponeva di un giaciglio su letti a castello. (…) Circa 200 furono le vittime del campo (ci sono tre elenchi al riguardo, che contano rispettivamente 187, 192 e 225). A Treviso morirono 53 bambini sotto i dieci anni; il tasso di mortalità infantile (calcolato sui 45 nati nel campo) fu quasi del 300 per mille, includendo 2 bambini nati nel campo di Monigo e poi morti nel campo di Gonars. Il professor Menemio Bortolozzi di Treviso, anatomopatologo, autore di molte autopsie, documentò come la fame fosse una delle prime cause di morte, accanto alla tubercolosi e ad altre malattie favorite dal freddo e dal sovraffollamento. “Non erano cadaveri normali”, avrebbe affermato il medico, “sembravano delle mummie o dei corpi riesumati”. Il fegato di una persona pesava un terzo del normale.”

La cerimonia di questa mattina con una rappresentanza slovena e croata e la partecipazione del Sindaco di Treviso è un piccolo gesto ma deve servire a studiare e a non dimenticare quei giorni bui.

Otello Bison
Otello Bison scrive a tempo pieno dividendosi tra narrativa e divulgazione storica. Collabora al “ILDIARIOONLINE.IT” su temi ambientali e locali.

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