A 80 anni dall’armistizio dell’8 settembre del 1943.

In queste pagine cercherò di liberare di retorica l’8 settembre, rifugiandomi nella “piccola storia”, proponendo un frammento di vita famigliare che mi riguarda.

L’8 settembre è comunque un fatto storico che è destinato a rimanere a lungo nella memoria collettiva.

Alle 19,45 il generale Badoglio comunicava via radio al popolo italiano che il 3 settembre era stato firmato l’armistizio con le forze alleate a Cassibile, un piccolo comune in provincia di Siracusa. Protagonisti non furono direttamente Badoglio e Eisenhower.

Infatti, sotto una tenda, all’ombra di un ulivo firmarono per essi, rispettivamente, il generale di brigata Giuseppe Castellano e Walter B. Smith, generale americano di stato maggiore. La stessa notte, tra l’8 e il 9 settembre, il re, la regina e il principe Umberto fuggirono da Roma per imbarcarsi sulla nave regale “Baionetta” verso Malta.

Si unirono alla fuga lo stesso generale Badoglio e lo Stato maggiore al completo.

Senza comando, con ordini contradditori e confusi, in balia dei tedeschi, con l’unica direttiva “ad atti di forza reagire con atti di forza”, l’esercito italiano si sfasciò. Molti soldati e ufficiali si tolsero la divisa e tentarono di raggiungere le proprie case, mentre una parte di militari si rifugiò in montagna e formò con alcuni civili le prime formazioni partigiane.

In un film del 1960 “Tutti a casa“, Luigi Comencini ha raccontato da par suo il drammatico momento vissuto dalle giovani truppe italiane.

Per i tedeschi, la resa degli italiani agli alleati fu considerata, nelle parole di Goebbels, “il maggior tradimento della storia moderna”. La reazione fu violenta. Mezz’ora dopo l’annuncio, con la parola convenzionale Achse (Asse) seguì l’ordine di occupare tutti i centri strategici italiani. Furono catturati 22.000 ufficiali e più di 650.000 soldati italiani. Rinchiusi in carri di bestiame piombati, vennero inviati nei campi di internamento in Germania. I tedeschi si impadronirono anche di una gran quantità di materiale bellico: 1.265.660 fucili; 38.383 mitragliatrici; 9.988 pezzi d’artiglieria di vario calibro; 970 carri armati; 4.553 aerei; 10 torpediniere e cacciatorpediniere. Vennero poi sequestrati 1.173 cannoni controcarro, 1.581 pezzi contraerei, 8.736 mortai, 333.069.000 sigari e sigarette, 672.000 giacche a vento, 783.000 maglie, 592.100 paia di pantaloni, 2.064.100 camicie, 3.388.200 paia di scarpe, 5.251.500 paia di calze. E, ancora, 56.000 pneumatici, 140.000 rotoli di filo spinato.

Dunque, l’8 settembre è divenuto uno dei momenti topici nella storia nazionale che, proprio per questo, ha generato una ricca memorialistica. In quanto segue, per tornare all’inizio, propongo il ricordo di quei giorni attraverso il vissuto narrato da un protagonista, mio padre, che a quella guerra dedicò, senza averla scelta, gran parte- 6 anni- della sua giovinezza.

Questo racconto, insieme alle memorie di tanti altri soldati, è stato raccolto da Gianfranco Pacorigh, un cultore di storia locale, e pubblicato nel volume: “Nessuno è dimenticato. Storie di guerra e di persone del Comune di Porpetto dal 1911 al 1945“.

La bellezza di questo testo deriva dalla modalità con cui fu concepito e realizzato. L’autore, un impiegato comunale di Porpetto, un paese del Friuli vicino a Palmanova, nel tempo libero frequentava locali pubblici per registrare racconti che i reduci delle due guerre amavano raccontare liberamente, con maggior intensità alla fine della guerra. Ne è venuto fuori un volume di notevole dimensione che ha il pregio di farci vivere la storia dal di dentro, facendoci toccare con mano il vissuto terribile che ha caratterizzato la generazione dei ventenni nel quinquennio ‘40-’45, e che non ha lasciato indenni ovviamente i civili. Il racconto che propongo era per altro parte delle conversazioni che mi capitava di ascoltare di frequente durante i pranzi domenicali, liberi dal lavoro.

Alcuni giorni dopo l’armistizio dell’8 settembre, ho preso il treno insieme a tanti altri, che andava fino al Brennero, passando per Padova, dove abitavo.

Sul treno eravamo in tanti, la gente si era sistemata anche sul tetto delle carrozze, dentro mancava l’aria. Correva voce che fino a Mestre si poteva scendere e che poi il treno sarebbe stato sigillato e chi non fosse sceso in tempo, sarebbe andato a finire nei campi di concentramento in Germania.

La paura era tanta e ad ogni stazione i capistazione ci dicevano di scendere. Io avevo comunque deciso di andare giù ad Abano e infatti lì sono riuscito a scendere dal treno. Prima di abbandonare il treno, il tenente, commosso, si è messo a piangere e mi ha abbracciato. Da lì ho preso la direzione di casa attraverso i campi perché mi sentivo più sicuro.

 A Tencarola, vicino ad Abano, delle donne, che erano fuori a lavorare sui campi, mi sono venute incontro e mi hanno invitato a seguirle a casa perché raccontassi loro la mia storia e quello che stava succedendo. Hanno voluto insistentemente darmi da mangiare la minestra e offrirmi del buon vino.

Poi ho ripreso il cammino verso casa e ricordo che prima di inoltrarmi sulla strada che da Vicenza porta a Padova, un uomo, che si trovava nei dintorni, haperlustrato la zona per controllare che non ci fossero delle brigate nere (fascisti).

Sono arrivato a casa il 14 settembre del 1943. Prima di avvicinarmi, ho visto in lontananza nel cortile mio padre con i miei fratelli, e vicino mia madre. Io non osavo proseguire, perché era tanto che non mi vedevano e che non avevano mie notizie. Poi mia madre, non so come, mi ha riconosciuto e dalla gioia si è inginocchiata per terra piangendo. Fino ad un attimo prima, aveva creduto cheoramai fossi morto.

Mio padre, il giorno dopo è andato a ringraziare la Madonna di Monte Berico perché ero salvo, dopo aver fatto il soldato, in pace e in guerra, per ben 72 mesi.

Anche i miei fratelli erano vivi ed erano tornati due giorni prima di me.

Carla Xodo
Carla Xodo è professoressa emerita di pedagogia generale e sociale dell’Università degli studi di Padova. Tra i molti incarichi istituzionali al Ministero e all’Università, è stata anche vicesindaco e assessore alla pubblica istruzione e cultura del Comune di Mogliano Veneto nella legislatura 1980 al 1984.

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