Rievocare Ferragosti lontani. Ricordare vacanze così diverse da quelle di adesso.

Per noi il pomeriggio era lo Zero balneare, con poca acqua, non troppo pulito, poco trasparente e bellissimo.

Libertà. Non c’erano i compiti per le vacanze, i centri estivi non esistevano e Jesolo non sapevamo neanche dove fosse. Per i ragazzi c’era il fiume, per le ragazze un barlume di libertà: uscire un’oretta dopo cena mano nella mano con le amiche. Sorrisi sguardi intese confidenze e attenzione all’orario. Qualcuno di noi passava casualmente ripetutamente in bicicletta davanti al gruppetto femminile. L’interessata girava ostentatamente il viso dall’altra parte, le altre ridevano. Un disinteresse ostentato però valeva tre disinteressi distratti. Dal come una ragazza non ti guardava dipendeva la sorte eil destino di noi tredicenni. Negli assolati e dilatati pomeriggi al fiume si andava presto, alle due, forse anche prima, giusto in tempo per disubbidire all’ordine di non fare il bagno prima delle tre ore della digestione. Chissenefrega. E il costume? Chissenefrega, le nostre mutande Nigi, doppie con il rinforzo davanti, salvavano la pudicizia. L’eleganza no, quella no, e bagnate diventavano pesanti. Pochi avevano avvertito i genitori del bagno, quasi tutti avevano preso la bici e basta e nessuna mamma avrebbe chiesto nulla fino alle sette. E poi d’estate non c’era dottrina e il calcio era in ribasso. Niente scambio di figurine però alla sera andavamo a vedere la “canicolare” all’oratorio. Ci piaceva molto quando si picchiavano e una volta l’arbitro scappò e i preti lo fecero rifugiare in una stanza del cinema Busan. Spero che al mattino l’abbiano fatto uscire.

Un anno no, un anno ci furono i mondiali e mio papà mi portava a vedere le partite al bar da Gianni, vicino alle “sbarre”. Che poi sarebbe stato il sospirato passaggio a livello, sospiri di attesa visto che era perennemente chiuso e luogo di confine. Di là cominciava il “centro” verso il quale, noi ragazzi della periferia, avevamo una certa diffidenza. La stessa diffidenza che avevano nei nostri confronti i ragazzi delle frazioni. Tre appartenenze distinte e disolito i casuali incontri finivano a sassate. Come a dire che le baby-gang non hanno inventato niente.

Ma il vero incubo o, meglio, il mio vero incubo, era la colonia. Spiego.

Una benemerita istituzione, una formula per cui ragazze e ragazzi del popolo potevano, per un mesetto, soggiornare gratuitamente in luoghi incantevoli. Una grande conquista sociale, una vittoria dei lavoratori, l’uguaglianza realizzata. Ebbene no! È stata per me il primo trauma del distacco, il primo bagno condiviso, nel senso di gabinetto, la prima doccia nudo di fronte al mondo, la minestra in brodo la sera, il silenzio obbligatorio e le mani fuori dalla coperta nel buio della camerata. Mia mamma sosteneva che la colonia al mare mi faceva bene perché avevo sempre la bronchite d’inverno. Però continuava a portare ogni anno una catenina alla Madonna delle Grazie, quella dopo Preganziol. Sono tuttora convinto che le catenine servissero molto di più.

I giovani (allora) moglianesi avevano due possibilità, mari e monti erano coperti, la geografia era soddisfatta: Stella Maris a Jesolo e la colonia di Santo Stefano di Cadore.

È Ferragosto mi sembra giusto celebrare questi tre luoghi marziani rispetto ai giorni nostri. Nessuno o nessuna di noi li può dimenticare. I nostri numeri ricamati sulla biancheria, i pianti durante le visite dei genitori la domenica pomeriggio, le signorine che avevano una tenda protettiva in camera.

Prima puntata. E la seconda?

Torniamo da dove eravamo partiti. Dei nostri meandriformi Caraibi: dallo Zero.

La nostra crociera del tutto compreso: un’ottima biblioteca, fumetti riciclati, sport estremi, tuffi carpiati, l’educazione sentimentale e i primi rudimenti di conoscenza carnale, la prima sigaretta e molte, molte alghe da combattere.

Una metafora della nostra vita “da grandi”?

Otello Bison
Otello Bison scrive a tempo pieno dividendosi tra narrativa e divulgazione storica. Collabora al “ILDIARIOONLINE.IT” su temi ambientali e locali.

1 COMMENT

  1. Io ero a Villorba all’epoca (in quel poco che c’era di Villorba per la verità: oratorio, cinema parrocchiale la domenica pomeriggio e strade e campi da percorrere in bici e a piedi, magari rubando qualche frutto e l’uva fragola per far merenda, fuggendo all’arrivo del contadino) e la sola differenza è che al posto dello Zero c’erano le cave dove si andava anche a pescare e le canaline di irrigazione dei campi.

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