Il 7 gennaio di quest’anno, IL DIARIO ha pubblicato un mio resoconto sulla situazione di grave crisi umanitaria in atto nel Nagorno-Karabakh (Artsakh), enclave armena in territorio azero, causata da un blocco, del tutto illecito e pretestuoso, imposto dalle autorità dell’Azerbaigian sul corridoio di Lacin, una via di collegamento di vitale importanza tra la Repubblica Armena e l’auto proclamata Repubblica dell’Artsakh; questa è la denominazione impiegata dagli armeni e ufficializzata per tale territorio, la cui capitale è Stepanakert..

  Chiudere tale via di accesso ha reso impossibili per tutti questi mesi una serie di contatti di vitale importanza, soprattutto per quanto concerne rifornimenti di generi di prima necessità (alimentari, medicinali, carburante) da parte della Repubblica Armena ai loro compatrioti residenti in Artsakh. Inoltre, il blocco sta impedendo agli abitanti di questa piccola enclave di recarsi in Armenia per usufruire di cure mediche solo lì realizzabili.

  Il blocco permane a tutt’oggi, con conseguenze ben immaginabili per una popolazione civile sempre più provata, materialmente e psicologicamente.

  Nel precedente articolo sono state succintamente spiegate le ragioni che hanno determinato due conflitti, svoltisi a distanza di anni tra la Repubblica dell’Azerbaigian e il Nagorno-Karabakh, con conseguente coinvolgimento dell’Armenia. Parliamo dei primi anni ’90 del secolo scorso e del 2020. Dovendo sorvolare qui sul tema, consiglio però la lettura a chi ne sia interessato di due libri, entrambi di Emanuele Aliprandi: Le ragioni del Karabakh. Storia di una piccola terra e di un grande popolo, & MyBook Caravaggio, Vasto (Chieti) 2010 e Pallottole e petrolio, Amazon Italia Logistica S.r.l., Torrazza Piemonte (TO) 2021.

  Ora è necessario concentrarci sull’attualità, che è sempre più preoccupante. Riassumiamo quindi alcuni fatti che, a mio avviso, vanno concatenati tra loro.

  La Repubblica dell’Artsakh non ha ancora ottenuto alcun riconoscimento internazionale dall’anno dell’auto proclamazione, il 1992, ad oggi, quando nello stesso periodo il piccolo Kosovo ottenne subito questo consenso da parte di diversi importanti paesi, Stati Uniti compresi e la nostra Italia. L’Azerbaigian è pertanto messo nelle condizioni di rivendicare ostinatamente il possesso dell’Artsakh.

  L’ultima guerra, scatenata nel settembre del 2020 dall’Azerbaigian, con l’appoggio politico e militare della Turchia, si è conclusa il 9 novembre dello stesso anno con la mediazione della Russia. Vladimir Putin ha stabilito il momento e le condizioni, con la firma di un accordo trilaterale di tregua, sancito dal Presidente azero Aljiev, il Primo Ministro armeno Pashinian e dallo stesso Presidente russo. Con tale accordo la Russia si è impegnata a presidiare i territori contesi e conquistati dalle forze azere che hanno vinto tale conflitto, con forze di peacekeeping, per almeno cinque anni – così si disse inizialmente – ma comunque fin tanto che non saranno stabilite delle linee di confine definitive.

  Dal novembre 2020 ad oggi la situazione è andata progressivamente peggiorando, soprattutto per la popolazione dell’Artsakh, che subisce, minacce, soprusi e vessazioni. Da settimane i contadini sono vittime di sparatorie, per impedire i raccolti nei campi. Di tanti soldati armeni fatti prigionieri non si sa più nulla.

  Il 13 e 14 settembre 2022 il Governo azero, approfittando del fatto che gli occhi del mondo erano puntati tutti sull’Ucraina invasa dalla Russia, si è permesso di attaccare con una serie di bombardamenti alcune città armene vicine al confine con l’Azerbaigian. Si tratta di Goris, Vardenis, Kapan, Sotk e Jermuk. Quest’ultima è un noto centro termale, gemellato con Asolo (TV).

  Il Primo Ministro Pashinian, informato di un minaccioso movimento di truppe azere lungo il confine, preceduto da un’aspra propaganda antiarmena da parte governativa, aveva lanciato, qualche giorno prima un appello ai paesi occidentali e alla Russia, ma la sua voce è rimasta inascoltata.

  Il tal caso l’Azerbaigian ha impunemente colpito uno Stato sovrano democratico, internazionalmente riconosciuto. L’unica a protesta è venuta dalla Francia, dove risiede una numerosa comunità armena, e da Nancy Pelosi, che è volata in Armenia dagli Stati Uniti, ma poi basta. La Russia è rimasta latitante, tranne fare qualche sterile dichiarazione fuori tempo massimo, e questo nonostante gli accordi di lunga data in vigore tra i due paesi.

  Rammentiamo che l’Armenia nel 1991, appena divenuta indipendente, è entrata a far parte della CSI, in seguito è divenuta membro dell’OTSC (Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva), composta da Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan.

  Inoltre tra Armenia e Russia esistono storiche relazioni economiche, culturali, politiche, che possono essere oggetto di interessanti approfondimenti, ma in altro contesto. Gli armeni hanno sempre percepito la Russia come un  grande paese cui affidarsi in caso di bisogno.

  L’interrogativo che ci si pone ora è invece questo: il governo di Baku intende sfruttare la situazione sempre più complicata in cui è precipitata la Russia negli ultimi mesi e negli ultimi giorni, per progettare altre aggressioni, nella speranza di passare inosservata?

  E per quanto concerne la Russia, per quanto tempo le cosiddette forze di peacekeeping svolgeranno la funzione loro assegnata e resteranno dislocate nel territorio previsto?

  Ma non dobbiamo puntare il dito solo sulla Russia: troppo comodo e troppo ipocrita.

  L’Italia è legata all’Azerbaigian da relazioni economiche evidentemente così convenienti e condizionanti, perché ci sia il coraggio e la dignità di alzare la voce contro la politica aggressiva e liberticida di Aljiev, un dittatore convinto e sicuro nelle proprie scelte, che non teme ostacoli, forte del sostegno del suo mentore Erdogan, da poco rieletto Presidente della Turchia. Gas in cambio di armi: su questo si basano i “buoni rapporti” che i governi italiani più recenti hanno suggellato con l’Azerbaigian, e che sono confermati da quello attuale.

Purtroppo lo stillicidio azero continua: il 28 giugno, una postazione dell’Esercito di Difesa dell’Artsakh, correttamente dislocata nella zona di pertinenza, è stata attaccata, anche con l’uso di droni, dall’esercito azero, nonostante il cessate il fuoco in vigore. Sono morti in quattro. I loro nomi sono: Arno Abgaryan, Samvel Torosyan, Yervand Tadevosyan e Gagik Balayan.

  Nessuno si interessa a questi fatti, cui il Coordinamento delle Associazioni e Organizzazioni armene in Italia sta facendo di tutto per dare la massima risonanza. Ma tale gruppo di persone, che sono tempestivamente intervenute con un comunicato stampa, non può essere lasciato solo.

Sandra Fabbro
Sandra Fabbro è nata a Treviso nel 1955. Laureata in Lingue e Letterature straniere (russo e inglese), ha insegnato lingua russa in corsi serali per adulti fino al 1989 e lingua inglese nelle scuole secondarie di primo grado fino al 2015. Ha collaborato alla stesura di unità didattiche finalizzate all’Educazione ai Diritti Umani, quale membro di Amnesty International. Dagli anni 2000 fa parte dell’Associazione Italiarmenia, con sede a Padova, collaborando all’organizzazione delle diverse iniziative di questa. Per il sito dell’Associazione redige recensioni sui libri di carattere armenistico che vengono pubblicati in Italia e queste vengono inserite sotto la voce “Novità librarie”. Ha tradotto dall’inglese “Surviviors. Il genocidio armeno raccontato da chi allora era bambino” di Donald Miller e Lorna Touryan Miller, Guerini e Associati, 2007. Fa parte del Comitato Scientifico per il Giardino dei Giusti del Mondo di Padova

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