In uno dei miei viaggi di lavoro ho sentito parlare di emotional design (design emozionale) e mi sono incuriosita dopo aver toccato con mano il bellissimo lavoro d’arredamento fatto da due ragazzi italiani Raffaella Travaglia, emotional designer e Fabio Macobatti, ingegnere civile. Insieme nel lavoro e nella vita, arredano case a Dubai, ma anche in Italia ed hanno creato il brand ƎMOHtions. Abbiamo fatto una chiacchierata con Raffaella Travaglia che ci ha raccontato della passione per il suo lavoro e di come è nata l’idea della progettazione emozionale. “IL nostro obiettivo è quello di aiutare nella progettazione interna con un “design emozionale”. Per essere persone soddisfatte abbiamo bisogno di essere stimolate ogni giorno. Questi stimoli positivi possono derivare dal tempo trascorso con la famiglia e con gli amici, dall’attività fisica, da un hobby o dalla lettura di un libro. Un’altra fonte di stimolo è quella di abitare lo spazio.” Lo spazio” che ci circonda invia stimoli continui il nostro corpo e sollecita i nostri sensi: l’ambiente che abitiamo maggiormente è la nostra casa; quindi, possiamo dire che è lo spazio in cui ci identifichiamo, condividiamo, cresciamo e dove ci sentiamo noi stessi. La casa, quindi, inconsapevolmente ci influenza con le sue forme, i suoi colori e le sue disposizioni. Gli stimoli hanno come conseguenza un’emozione e le emozioni sono importanti per il nostro benessere. Quindi la nostra casa inviandoci stimoli positivi diventa una fonte inesauribile di benessere”.

Che cos’è il design emozionale quindi?

Sono una persona emotiva e sensibile. Pensavo che queste mie caratteristiche fossero da nascondere, da proteggere e un po’ me ne vergognavo; invece, nella scoperta di me ho capito che dovevo valorizzarle. Mettendole in evidenza, avrei anche dato più valore alle mie passioni, al mio spazio creativo, al mio modo di vedere il mondo e alla ricerca del benessere. Non ricerco la perfezione ma quel quid in più che possa portare energia positiva, energia giorno per giorno ma focalizzato sull’oggi, ovviamente improntato anche su come vivrai la casa domani. Lo scopo del mio design è creare spazi-tempo ossia spazi in cui coltivare il tempo. Ho voluto declinare la mia visione del mondo anche nel mio modo di fare design. Mi ritengo una persona creativa per cui mi piace unire mondi diversi: l’arredamento non deve essere solo tale, ma deve essere relazione, famiglia, un modo per migliorare quella che è la nostra giornata. Siamo persone con tante passioni che viviamo in un contesto quindi ciò che ci sta intorno deve darci un supporto, deve ispirarci. Così facendo ho unito il mio mondo personale con il mio mondo lavorativo. L’emotional design è un metodo di progettazione, è uno strumento che utilizzo per arredare gli spazi in modo da ottenere emozioni positive partendo dallo studio di ogni singola persona.

Hai sempre fatto questo lavoro?

Pensa che prima ho fatto per dieci anni la ragioniera, ma non riuscivo a trovare il mio centro, né tantomeno soddisfazioni. Ho preso consapevolezza del fatto che non volevo più fare quello e ho sentito di dover seguire la mia passione per l’interior design. A trent’anni ho ripreso in mano la mia vita e ho deciso di fare un master a Milano e di specializzarmi. Sono partita dall’ambito tecnico perché non avevo le basi. Possedevo passione e determinazione, che fanno parte del mio carattere, ma oggettivamente mi mancava la tecnica. Ho imparato a progettare e a usare programmi specifici; ho studiato architettura e ho fatto il percorso che mi ero prefissata. Successivamente ho steso nero su bianco la mia idea di progettazione emozionale. Già dall’inizio sapevo cosa volevo: il design doveva diventare benessere e la casa doveva suscitare emozioni. Volevo creare un ambiente he stimolasse le persone positivamente e creasse energia positiva ogni giorno. Inizialmente avevo questo obiettivo fissato che poi ho cercato di sviluppare. Il percorso di studi mi ha dato la base tecnica e questo mi ha permesso di capire che non ci doveva essere solo quella, il progetto dovevo adattarlo alla persona. In seguito, pertanto, ho approfondito temi legati alla sfera emozionale, all’influenza che può avere lo spazio sull’individuo ossia sul corpo e sulla psiche. Mi sono resa conto di quanto l’ambiente possa influire su un individuo, sulle sue abitudini, sulle relazioni familiari. Una progettazione è volta certamente ad ottenere un buon risultato, ma non si può prescindere dal fatto che alla base c’è sempre una persona; quindi, mi sono focalizzata sulla persona stessa per arrivare poi all’obiettivo del design. Parto dall’individuo per arrivare ad arredare lo spazio in base alle sue emozioni e ai suoi valori e tutto ciò vale per un gruppo familiare ma anche per un team aziendale. Poiché l’ambiente è abitato da esseri umani, può essere applicato in tutti gli ambiti.

Quando incontri qualcuno immagini già quale tipo di arredamento vorrebbe?

In realtà lo capisco facendo un laboratorio che ho sviluppato in collaborazione con una psicologa specializzata nella psicologia dell’abitare. Le ho chiesto una consulenza per capire come poterlo utilizzare in modo non troppo didattico; volevo qualcosa che fosse anche uno svago, un modo per approcciarsi al mondo della progettazione in maniera diversa. Non volevo la solita intervista al cliente per capire i suoi gusti, volevo cercare di capire cosa desidera sotto forma di gioco. Nel caso di una famiglia convoco tutti i membri, vado a casa loro e gli chiedo di dedicarmi un paio d’ore di tempo. Porto con me innanzi tutto stimoli ambientali come l’aromaterapia, la musica, dolcetti insomma cose che possono suscitare sensazioni.

In cosa consiste il laboratorio emozionale?

Il laboratorio emozionale consiste in tre fasi: la prima fase è la presa di consapevolezza. Attraverso fogli e colori faccio un esercizio che mi aiuta a capire come la famiglia in questione vive la casa nel momento attuale per poi andare a migliorarla. Infatti, dall’esercizio si può evincere cosa vorrebbero perfezionare i vari membri, lasciando spazio alla visione di ciascuno dando solo alcuni input. Poi c’è una seconda fase di aspettative, ma questa viene presa in considerazione guardando il punto di vista del gruppo. È vero che la casa viene vissuta individualmente, ma in realtà la si vive anche come gruppo famiglia. Quindi i membri si riuniscono e decidono di fare un progetto insieme. C’è stato un confronto nella prima fase in cui ogni singolo ha capito cos’è importante per gli altri. Sulla base di questo, si fa un progetto tutti insieme, ovviamente tenendo presente cosa è importante per l’uno e per l’altra. Bisogna trovare il giusto compromesso e accettare che una persona può vedere in uno spazio un qualcosa che l’altra persona non percepisce. Viene dato un nome al progetto e in tal modo il progetto stesso diviene della famiglia. Io non voglio vendere il mio stile di design ma voglio capire il loro. Attraverso i laboratori mi vengono le idee ed è un modo di elaborare la mia visione creativa. Mi serve per fare il passaggio successivo: ti consiglio una determinata cosa perché sono certa che sia quella che ti serve, che è giusta per te. La terza fase è la presa di consapevolezza degli stimoli che l’ambiente ci può dare. Si gioca con profumi, con i materiali, con la musica. L’idea è di farli toccare con mano per capire cosa una persona istintivamente andrebbe a prendere. Bisogna staccarli dall’idea di scegliere guardando su internet, devono scegliere ciò che è adatto a loro. Bisogna unire bisogni e piaceri, tempo e vita.

Da dove sei partita e dove vuoi arrivare?

Il mio obiettivo è personale più che lavorativo, perché in realtà ho unito queste due sfere della mia vita. Lo scopo sarebbe quello di avere la mia famiglia, la mia tranquillità, di essere una donna che lavora avendo la sua attività però riuscendo a coltivare quella che è la sfera personale con il proprio compagno (Fabio Macobatti). Per quanto riguarda l’arredamento, vorrei portare avanti quella che è la mia idea di design emozionale perché ritengo che sia importante per le persone anche nei Paesi in forte espansione. La progettazione emozionale si rivolge ai clienti concentrandosi sul loro benessere e creando un ambiente che chiameranno casa personalizzato in base alle loro esperienze. Anche chi abita in Italia può avere un’idea di come sarà la casa dei suoi desideri attraverso un visore. Un investitore che decide di arredare casa affidandosi a noi, riceverà a casa un pacchetto contenente una cartolina di benvenuto. Dovrà costruire il visore e scannerizzare il QR code. Attraverso questo oggetto il cliente potrà visionare ogni locale della casa e spostarsi di stanza in stanza per avere una visione d’insieme degli spazi che poi andrà ad abitare.

Samuela Piccoli
Nata nel 1973, veronese. Ha lavorato come hostess di terra al Check-in guida turistica al ceck-in dell’aeroporto Catullo di Verona. Ha svolto attività di volontariato in alcune scuole veronesi insegnando italiano a bambini stranieri e presso l’Univalpo (Libera università popolare della Valpolicella) come docente di lingua inglese base. Attualmente lavora presso la Banca Generali e collabora, come pubblicista con il “Basso Veronese”, giornale on line con sede a Legnago. Ha conseguito la laurea Triennale in lingue e culture per l’editoria e la laurea Magistrale in Editoria e Giornalismo

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