C’è una scena di un documentario di Daniele Vicari, ovviamente passato per lo più inosservato: “Il mio Paese” (viaggio nell’ Italia del lavoro) ,[1] in cui il deputato, sociologo e scrittore  Gianfranco Bettin, intervistato sul dramma dei veleni del Petrolchimico di  Porto Marghera, afferma come ipotesi di soluzione al problema: “Serve il nutrimento di una cultura secolare, millenaria,  la consapevolezza di quello che abbiamo attraversato in chiaroscuro, anche con questa nostra vicenda. Però anche quella libertà di sguardo, quella disponibilità all’ avventura verso il nuovo tempo…”.

Sono parole che sicuramente non possono costituire la sintesi della presentazione del libro: “I tempi stanno cambiando”[2], promosso dall’associazione “Omega aps”, nell’ambito dell’ultimo incontro della rassegna “Geostorie”, avvenuto lo scorso 29 Novembre presso l’Auditorium: “Donatori del Sangue” di Mogliano Veneto.

Ma che ne rappresentano sicuramente un importante, tanto per non dire fondamentale corollario, o, quanto meno la struggente anticipazione in virtù della quale il “Petrolchimico” di Marghera, come l’“Ilva” di Taranto, o i numerosi complessi industriali del Torinese, diventano la metafora vivente ed estesa di un dramma che coinvolge il mondo e il suo ecosistema.

È stato questo, nel corso della serata il filo conduttore della conversazione tra Bettin e Paolo Favaro, locale esponente del “Forum salviamo il paesaggio” alla quale il folto pubblico presente ha assistito tra perplessità e scenari ambientali in bilico tra previsioni apocalittiche e più o meno auspicabili punti di svolta, nella speranza di un sinergico e ragionevole dialogo (beninteso tutto o per buona parte in fieri) tra clima, scienza e politica.

Quello che è emerso in sede di dialogo è stato non di meno caratterizzato dal parallelo che si è venuto a creare tra le diseguaglianze nei diritti e le crisi climatica ed energetica, problematiche che spesso sono state affrontate, anche nell’ambito della sinistra ecologista e non, con delle dinamiche conflittuali.

Dinamiche rispetto alle quali solo in questi ultimi  anni  sta forse emergendo un filo conduttore, che manca ancora però  di un solido punto di incontro, nella misura in cui, anche se si sta uscendo dalla cultura della  medicalizzazione, propria della politica ecologista  degli anni ‘70 [3] già di per sé alla ricerca di un nuovo rapporto con la dimensione sociale e ambientale, la politica ecologista a vivere paure di ben maggiore consistenza, rispetto a quelle della guerra fredda e del nucleare.

Paure che vanno dalla guerra in Ucraina alla crisi energetica, sino alla pandemia, secondo delle dinamiche, che, ha osservato ancora Bettin, devono fare i conti da un lato con lo “sviluppismo” industrialista.

Dall’altro chi ignorando gli effetti sempre più devastanti di una politica assolutamente sorda e geoclastica nei confronti dell’ambiente e delle sorti del nostro pianeta, risulta sempre più incline ad un pericoloso “terrappiattismo”, proprio di coloro che negano i pericoli e i problemi del cambiamento climatico, con la logica di chi nasconde le cicche sotto il tappeto, illudendosi così di fumare di meno.

A questi, come ha rilevato Bettin si contrappone una politica ecologista che manca di autodeterminazione, per lo meno nell’accezione sinergica, come se fosse vittima di un senso di fallimento acquisito, rispetto al quale più che comportarsi come lo shakespeariano duca e mago Prospero, perfettamente in grado di dominare  “La tempesta” di cui è protagonista nell’omonima tragedia, preferisce fare la parte dell’apprendista stregone, che scatena forze e sinergie sociali, senza riuscire poi a mantenerne il controllo.

Secondo un’ impasse  che,  basata sul ritmo lento della presa di coscienza e di posizioni concrete dinanzi  ai drammi del  climate change, fa fatica a concretizzare anche le possibilità legate al PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) tanto nel riuscire a tagliare i sussidi alle fonti fossili, quanto a quello di riuscire a giocare sino in fondo la carta delle energie rinnovabili, l’unica al momento concepibile, ma non di meno zavorrata dalle stesse culture socialdemocratiche, che fanno sì che da sempre l’ecologia politica in Italia conti ben poco.

Insomma, per fare riferimento ancora a “La tempesta” di Shakespeare secondo Lida Federici un Calibano[4], che con il suo potere di controllo rimanda alle strategie di carattere imperialista e colonialista, con le quali stiamo facendo non di meno i conti tutti[5].

Anche al di là di quell’ecomarxismo che -osserva ancora Bettin- ha conservato una contraddizione per la quale non è riuscito a superare quei presupposti che lo hanno reso subordinato a quello stesso capitalismo che avrebbe voluto sconfiggere.

Siamo all’irreversibilità da equazioni del disastro? Speriamo di no. Non sino a quando c’è una collettività in grado di fare il possibile per conservare l’innato senso dell’identità terrestre, che tra istinto di sopravvivenza oltre le equazioni, i rapporti e  le tassonomie, segue ancora il mito, ferito e sicuramente prostrato dell’energia terrestre e delle sue multiformi possibilità. Quelle in base alle quali il sociologo Franco Ferrajoli, citato da Bettin non a caso, invita a stipulare una globale costituzione civile, che unisca una federazione di popoli estera su tutta la terra.

[1] Milano, Rizzoli, 2007, Documentario liberamente basato sul precedente lungometraggio di J. Ivens dal titolo: “ L’ Italia non è un paese povero”, commissionato  nel 1950 da E. Mattei e finalizzato  ad evidenziare  le contraddizioni, già allora evidenti nel mito del nostrano Boom economico.

[2] G. Bettin: “ I tempi stanno cambiando”,  Edizioni E/O, Roma, 2022.

[3]Cfr La nascita di Medicina Democratica nel 1976, della rivista: “ Lan uova ecologia”,

[4] Mostro repellente, schiavo del mago Prospero

[5] S. Federici: “ Calibano e la strega, le donne, il corpo e l’ accumulazione originaria”, Mimesis, 2015

Stefano Stringini
Docente di Lettere presso il Liceo G. Berto di Mogliano. Ha pubblicato alcuni libri di Poesie: “Emermesi” (Pescara, Tracce, 1986), “Breviari, Taccuini e Baedekers” ( Bologna, Andomeda, 1992), “Rimario d’ Oltremura” (Chieti, Noubs, 1997) e vinto qualche Premio, l’ ultimo è stato quello conferitogli dall’ “Istituto Italiano di Cultura di Napoli.” (2019) Ricercatore sonoro (rumori, parole e musica) è istruttore di Hata Yoga e tiene Workshop di scrittura creativa con i Tarocchi.

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