Il Congresso del Partito Democratico è figlio di due secoli diversi.

Quello dei grandi partiti novecenteschi ricchi di ideologie e di senso del collettivo e quello del nuovo secolo così denso di individualismo e di bisogno di governo.

Non sarà facile venirne a capo.

E questo perché, con la caduta dei grandi punti di riferimento politici, ideali e strutturali siamo di certo apparentemente più maturi e compiuti ma anche più poveri e soli.

In quest’ambiente così complesso e contemporaneamente povero di senso e ricco di opportunità si muove la “persona umana”.

“Stare insieme”.

Tante cose che giudicavamo difficili da compiersi sono avvenute contemporaneamente.

È ritornata la guerra con le sue nefandezze, le sue ragioni vieppiù nascoste, i suoi leader che non hanno nulla dell’antico richiamo al mito.

È scoppiata la pandemia che ha cambiato profondamente il senso delle cose a tutti noi lasciandoci contemporaneamente vogliosi di ripresa di diritti e libertà, preoccupati del nemico nascosto ed inquietante e costretti dai fatti ad economie di vita e di futuro poco chiare.

È divenuta lampante la capacità straordinaria della Chiesa Cattolica di essere memoria, guida, speranza e ricordo quando spesso vorremmo che nessuno ci facesse memori delle responsabilità.

E la Terra mantiene ed accentua i suoi drammatici limiti, le sue sventure, le differenze tra i ricchi e i diseredati, gli ambienti naturali che si sciolgono e si distruggono dimostrando responsabilità e incapacità del genere umano ad amare innanzitutto sé stesso.

In questo quadro si riprende a “pensare” dopo anni di isolamento dettato dalla paura della malattia e continuando a convivere con la tragedia dei 100 e più conflitti che ci insanguinano le mani.

Pensare.

Questo potrebbe essere la novità.

Pensare e riflettere, ragionare e capire, confrontarsi e determinare il silenzio nell’affrettato sfogo dei sentimenti che varia se siamo colpiti nell’animo e nella materialità del vivere.

Lo stare insieme non fittizio, non solo “social”, così povero e individuale è una strada necessaria.

Perché aiuta a capire il senso del limite delle nostre idee e delle nostre forze.

Perché permette di non guardare solo alla miseria di una parola spesso povera e incapace di darsi senso reale.

Ma comunica con un viso, uno sguardo, un motto, un tic, un sorriso ed un ammiccamento che a volte cerca o rifiuta solidarietà.

Questo che sto descrivendo è un metodo certo del secolo passato.

Ma è attuale ed importante, da conoscere e percorrere.

Non escludendo certo il nuovo che la comunicazione ci dona e ci permette di leggere e usufruire.

Ma assumendo un metodo.

Lo stare insieme conta.

Il contraddirsi in faccia, il rispondersi nel merito, il sollecitare idee, il cambiare opinione, il riconoscere ignoranza e sapienza sono gesti di crescita e di grande opportunità di maturare.

Ecco perché ha senso un Partito.

Con la P maiuscola naturalmente.

Ed ecco perché questa verità è tutt’altro che antica o desueta.

È per oggi e per noi.

Tutto questo ha una conseguenza precisa: un partito è una cosa seria e chi vi milita ha diritti e doveri.

La possibile Carta dei Diritti è fatta di espressione di volontà, di idee, di opinioni.

È fatta di candidature e di confronti.

È fatta di scelte e di costruzione di obbiettivi.

Ed è fatta di chiarezza: un conto sono le espressioni e le scelte che si affrontano in un partito ed un conto quelle che si pongono ad un corpo elettorale abbastanza indefinito.

“Il senso della nostra esistenza”.

La sinistra è necessaria.

Per la sua storia che ci è stata consegnata, per i suoi valori che a volte sono stati abbandonati o evitati, per quel mondo che ho tentato prima di delineare.

Questa necessità è decisiva ed è collettiva, non singola.

È di coloro che sono occupati a basso salario, di quelli che si sono visti trasformare un contratto in una partita IVA perdendo diritti e opportunità.

È di quelli che hanno invece scelto la partita IVA per la maggiore libertà che offriva nei tempi e nel mondo del lavoro.

È di coloro che svolgono un’attività priva di sollecitazioni e di possibilità di crescita e nello stesso momento è di quelli che vogliono pensare al tempo di lavoro come tempo fondamentale nella loro esistenza e non come solo sostegno e giustificazione al tempo di non lavoro.

Il lavoro come senso di vita, come possibilità di espressione delle proprie capacità, come contributo alla crescita della società, come luogo che permette l’espressione delle proprie idee e perfino dei propri sogni.

Il lavoro come finale di uno studio e di una formazione e come inizio di una nuova e qualificata preparazione; il lavoro ed i servizi che necessita nelle sue varie dimensioni individuali, di famiglia, collettive e così via.

Il lavoro come momento invece triste, emarginato, insoddisfacente, marginalizzato, a volte inutile e perfino dannoso per sè e per la salute.

Il lavoro, infine, come percorso generale unificante che mette insieme tutti.

Che consente di confrontare, di vedere, di capire le differenze e le similitudini.

Il povero ed il ricco, chi lo cerca e chi lo trova, chi lo mantiene e chi lo ha terminato per gli anni che porta, chi lo odia perché lo costringe e chi lo ama perché lo esalta: tutti si confrontano sul lavoro.

Tutti hanno il lavoro come cardine della loro vita.

Per il denaro e per la personalità, per gli studi e per le esperienze.

Il lavoro è il punto di riferimento per un partito.

Unifica ed è di tutti.

Permette di pensare e ragionare insieme perché tutti hanno il lavoro come esperienza basica.

Genera poi i confronti con le Associazioni di Massa, I Sindacati, le Categorie Economiche e così via.

Il lavoratore poi nell’immaginario collettivo genera rispetto.

Consente stima e pone la differenza tra i lavori come opportunità e non come limite.

Il lavoro non vuol certo dire dimenticare il resto della vita individuale e della società.

I problemi dei generi, dei servizi, della democrazia, delle Istituzioni, dei diritti, dei doveri e così via.

E non pretende nemmeno che essi siano – questi temi – sottoposti a quello del lavoro.

Figuriamoci, non è proprio così e soprattutto non deve esserlo.

Ma è più semplice discuterli con chi ha già con “noi” un tema forte in comune piuttosto che esprimere solo un problema astratto di valori.

“Il PD”.

Allora il PD.

Certo un Partito innanzitutto non può e non potrà mai, in questo nuovo secolo, piacermi del tutto.

È impensabile l’identificazione che nel Novecento ha consentito al PCI e ad altre forze politiche di tutte le tendenze di esprimere in percentuali altissime il gradimento dei propri militanti e perfino quello dei propri elettori.

Le forme di espressione dello scorso secolo sono state semplici.

Il riconoscimento era basico nella individuazione del proprio Partito di riferimento.

Oggi non è così.

Ma tre cose servono in ogni caso e sono necessarie.

Certezza nella forma organizzata e nella partecipazione alla sua vita dei militanti e dei dirigenti.

Certezza nei valori e nei richiami fondativi che non possono essere semplicemente un corollario alla vita di ogni giorno ed alla tattica dei comportamenti.

Certezza nei richiami alla Società vista non come luogo elettorale ma come momento di formazione dei pensieri collettivi, del senso delle trasformazioni e dei processi di affermazione delle idee.

Questo è il Partito ideale.

Non ancora il PD.

Il PD però può avvicinarsi a questo “senso collettivo” e può pensare di costruirlo a partire dalla definizione prima e fondamentale delle tre certezze che cercavo di delineare.

Contenuti da far emergere quindi nel metodo dell’operare e nell’operare stesso.

Contenuti e non nomi.

Non ho nulla contro chi pensa di candidarsi a guidare il PD.

Anzi.

Devo dire che sia la Schlein che Bonaccini mi sono pure simpatici.

Ma non voglio che vincano i Giornali e le Televisioni, Facebook e Twitter, il Gossip e quant’altro.

Non posso dimenticare che quando fu eletto segretario Berlinguer non era certo il più amato e il più seguito dei leader.

E per me prima dei nomi vengono i contenuti, i progetti, i valori fondativi.

L’inizio del confronto di alcuni mesi che in forma costituente il PD ed Articolo 1 affrontano anche con altri soggetti e protagonisti può essere una strada da seguire.

Anche perché si partecipa ad un percorso e si rimane autonomi nel determinare le proprie scelte.

“Una sensazione…”

Di partenza c’è un segnale che mi piace.

Quello delle candidature per il Lazio e per la Lombardia.

Due candidati del PD scelti e non imposti da altri.

Nel Lazio maturando una decisione che da molto tempo era nota ed in Lombardia trovando una opportunità nuova e assolutamente credibile.

E le Sirene che volevano guardare altrove ora sono in difficoltà.

Maurizio Cecconi
Veneziano, funzionario del PCI per 20 anni tra il 1969 ed il 1990. Assessore al Comune di Venezia per quasi 10 anni è poi divenuto imprenditore della Cultura ed è oggi consulente della Società che ha fondato: Villaggio Globale International. È anche Segretario Generale di Ermitage Italia.

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