“L’ultimo album è stato registrato interamente in questo modo: c’è stato molto poco di preconfezionato! “Forse sono queste parole migliori, rilasciate da Ian Paice nel 2005 all’indomani dell’uscita dell’Album dei Deep Purple”, per comprendere il senso della sua più che ventennale collaborazione con Tolo Marton. Collaborazione che da sempre risulta improntata ad un gusto per la performance a presa diretta, secondo le logiche coinvolgenti di un gioco di note graffianti, a tratti morbide, spesso anticonvenzionali, che nella loro dimensione martellante, producono spesso effetti forse in grado di stupire sia Ian che Tolo, rispetto al punto da cui erano partiti per sviluppare l’esecuzione dell’uno o l’altro brano del repertorio. Per capire qualcosa in più, giusto qualcosa perché non di meno nell’etica della gastronomia del Rock in cross over con altri generi, guai a svelare le ricette, abbiamo avvicinato Tolo Marton, per una chiacchierata “a freddo sulla sua arte e le non si meno preziose collaborazioni, a ridosso della chiusura del tendone del “Rock Music Circus”, avvenuta lo scorso 17 settembre. 

Un tuo commento sulla manifestazione che si è conclusa pochi giorni fa:

 Una grande fatica, ma pure grande soddisfazione, direi a pari merito. Non mi era mai capitata una situazione così complessa, c’era davvero tanto da memorizzare. Non li ho mai contati, ma credo che i brani eseguiti siano stati più di 200. Il pubblico poi, raramente ho suonato di fronte ad un pubblico così entusiasta.

Nel corso della serata conclusiva, hai suonato con il grande Ian Paice, storico batterista dei Deep Purple, quali i momenti più significativi del concerto?

 Non avevo mai visto, tra tutte le volte che ho collaborato con lui, uno Ian Paice così contento, disponibile e anche umile. Tutti i momenti del concerto sono stati significativi.  È stato disponibilissimo e ha suonato con gioia tutti i brani che gli ho proposto, dai Cream a Jimi Hendrix e anche la mia Alpine Valley, per non parlare del repertorio dei Deep Purple. Sempre disponibile, ha firmato gli autografi dopo il concerto, e il pubblico che è venuto a salutarlo non si contava. Alla fine, non avendo cenato, i ristoranti erano chiusi ma non si è lamentato per niente e si è adattato a mangiare un hamburger nel vicino Burger King, sempre sorridente e spiritoso, intrattenendosi con noi. Una serata perfetta.

Cosa pensi che ti leghi di più sul piano del sound a Paice?

L’improvvisazione, la grande intesa e ovviamente il suo stile poderoso ma anche soffice all’occorrenza

Inciderai a breve un nuovo disco?

Fare generi musicali diversi è sempre stata una mia passione e priorità. Sì, sto pensando ad un nuovo disco, lo avevo iniziato in primavera ma subito dopo è arrivato il “Circo”. Ora, senza fretta, mi dedicherò al progetto che avevo tralasciato.

Torniamo a Paice, come e quando vi siete conosciuti e come pensi si sia evoluto il vostro sodalizio artistico (lavorate insieme dal 2001)

Infatti, nel 2001 l’amico Ivano Bosello, grande appassionato e amico di ognuno di loro, mi propose di suonare con Ian Paice per un evento benefico dell’Avis. Ivano organizzò il concerto così mi ritrovai a suonare con Ian e Maurizio Feraco, il mio bassista di allora. Nonostante l’emozione, fu come essere a casa perché la carica e l’affiatamento furono istantanei. Da giovane anch’io in sala da ballo suonavo molti brani dei Deep Purple e farlo con il grande Ian Paice era come stare nel mio elemento

Che rapporto hai con la musica italiana (i Cantautori, attualmente i Rapper e altro)

A pensarci… nessuno. Però ascoltavo musica italiana una volta, quando era bella e interessante, quando c’erano veri compositori.

Puoi dirci qualcosa sull’ importanza dell’improvvisazione secondo Marton?

Improvvisare è un fatto molto naturale. Mi trovo più a mio agio rispetto alle parti obbligate, che comunque sono indispensabili. Capita spesso però che anch’io cambio le mie stesse canzoni, a seconda dell’umore del momento. La musica è sempre un divenire, come del resto lo è la vita, e non si può mai sapere cosa succede un secondo dopo, ecco questo è il mio approccio con la musica.

Hai un amore sviscerato per la cosiddetta “nota del diavolo” tipica del Blues?;

No, non direi. Il blues è uno stile di musica per me, non di vita. Come lo sono gli altri che suono o ascolto… rock, ballate, country, classica, colonne sonore.

Hammer on, bending, pull off, palm muting, quale di queste -diciamo- raffinatezze chitarristiche di intriga di più e perché?

Stoppare le corde con il palmo della mano, lo faccio spesso. Tra l’altro è un efficace sistema per diminuire il volume senza abbassarlo con la manopola della chitarra. Il bending poi (tirare le corde) ovviamente si usa spesso. Uno dei primi a farlo è stato il grande B.B.King, che ascoltando la chitarra Havaiana , per imitarla iniziò appunto a tirare le corde sulla sua chitarra.  Ma ciò che mi piace di più quando suono la chitarra è farle fare suoni che evocano il suono di altri strumenti… un violino, un organo da chiesa, una voce, un cartone animato, la corsa di un treno…

Veniamo all’ effettistica, qual è il tuo pedale preferito, se ce n’è uno.

Prima che affidarmi all’effettistica dò importanza, rifacendomi alla risposta precedente, a ciò che si può ottenere da soli, con le proprie mani. Ricordo che quando nel 1975 entrai a far parte de Le Orme, il loro produttore, il maestro Gian Piero Reverberi, venne a sentirmi per capire se ne fossi all’altezza. Guardò la mia chitarra e l’amplificatore e dubbioso mi chiese: “Dove sono i tuoi effetti?” Risposi: quali effetti? “E lui: “i tuoi effetti per chitarra”. “Non ne ho” gli dissi.  “io gli effetti li faccio con le mani.”  Ho rischiato grosso ma andò bene. A distanza di tanti anni comunque qualche pedale poi l’ho comprato. Mi piace il Leslie, che è una cassa di legno con all’interno una specie di scatola che ruota a due velocità, lenta o veloce.  quando arriva il segnale dalla chitarra, il Leslie emette un suono che si propaga intorno uscendo dalle “finestre” della cassa. È molto piacevole e delicato, quasi liquido. Tuttavia, essendo il Leslie molto pesante, al suo posto uso un piccolo pedale elettronico che riproduce abbastanza bene l’effetto Leslie.  Poi uso altre cose, un distorsore giallo della MXR o un Treble booster che ho dal 1970. È molto “grintoso” ma anche rumoroso.

Quanto è rischioso (in termini commerciali) continuare a fare oggi blues in Italia?

Rischioso no di sicuro. Anzi direi che è un genere riproposto da molto tempo e in giro c’è tanta gente che lo suona. Forse se proprio vogliamo parlare di rischio direi che spesso si sente un po’ di monotonia e poca personalità. Ci vorrebbe più innovazione e comunque più stile personale. Quando da giovane ascoltavo il Blues, ma avveniva anche con il Rock, era palese che i grandi artisti tendevano a “modificare”, rendendo attuali, gli stili dei maestri del Blues come B.B.King, Muddy Waters, Robert Johnson, rispettandone l’importanza ma senza imitarli troppo.

Hai mai pensato di scrivere un intero in italiano?

 In italiano ho scritto quasi niente, in quanto la musica che faccio non è di origine italiana e fin da piccolo ero patito per la musica americana.  Però una canzone o due in italiano le ho scritte. Qualche anno fa ho pubblicato un CD molto particolare, che si chiama: “My cup of music”. Contiene una canzone un po’ leggera e buffa che si intitola: “Vendo Musica (in città)”.

Tu sei stato premiato da Al Hendrix, padre di Jimi, nel 1998  al Jimi  Hendrix Electric Guitar Festival di Seattle… cosa ricordi e cosa pensi che Hendrix possa insegnare ai giovani musicisti di oggi?

A costo di essere monotono, ripeto che ci vuole originalità e innovazione. Hendrix e molti altri, ma lui in particolare ha indicato una strada nuova, una strada che porta a sperimentare nuovi suoni, più immaginifici. Dico sempre che la storia della chitarra è segnata da un prima e un dopo. C’è uno spartiacque che si chiama JIMI HENDRIX, un prima e un dopo Jimi Hendrix.

Tra tutti i grandi classici del Rock che hai proposto nel corso di queste serate, qual’ è quello che ti prende più la pancia in assoluto.

La prima serata, in cui ho proposto il Rock ‘n’ roll anni ‘50, ma non solo. Erano tutte musiche che mi ricordano la mia infanzia e la famiglia. Musiche di autori poco conosciuti che ascoltavo da piccolo. Ovviamente mi sono divertito a suonare altri stili e classici del rock anche nelle altre serate a tema, con l’aiuto dei bravi musicisti che mi hanno affiancato: Carlo Visentin, Andrea De Marchi, Cristiano Schiabello, Monica Guareschi, Ren Ashfield, Joe Shamano, Andrea De Nardi, Paolo Borin, Betz e Ludo delle UB Dolls, Aldo Casai , Willy Mazzer e Bitols. Poi L’ultima serata è stata un tripudio di gioia e emozioni, con il grande IAN PAICE alla batteria

Per concludere, qual’ è la cosa che ti piace fare di più, quando non suoni.

Mi piaceva dipingere quadri pseudo impressionisti, ma ho smesso molto tempo fa perché mi aveva talmente preso che uscivo ogni giorno a cercare paesaggi da ritrarre dal vivo, con qualsiasi tempo ci fosse…sole, pioggia, neve. Trascuravo la musica, il mio vero e unico lavoro.

Aspettiamo dunque le note a colori del tuo prossimo Album allora?

Si, sono curioso del vedere che ne esce fuori.

Stefano Stringini
Docente di Lettere presso il Liceo G. Berto di Mogliano. Ha pubblicato alcuni libri di Poesie: “Emermesi” (Pescara, Tracce, 1986), “Breviari, Taccuini e Baedekers” ( Bologna, Andomeda, 1992), “Rimario d’ Oltremura” (Chieti, Noubs, 1997) e vinto qualche Premio, l’ ultimo è stato quello conferitogli dall’ “Istituto Italiano di Cultura di Napoli.” (2019) Ricercatore sonoro (rumori, parole e musica) è istruttore di Hata Yoga e tiene Workshop di scrittura creativa con i Tarocchi.

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