La figura del Cantautore oggi ha perso spessore oppure no?

Secondo me no, credo che ci sia ancora spazio per l’innovazione, credo che la figura del cantautore sia perfettamente identica a quella che è stata storicamente, semplicemente oggi non intercetta più il mercato. Una delle mie più ferme convinzioni è che la musica sia una cosa e l’industria un’altra e non si toccano se non in rari fortunatissimi casi.

L’ industria parte dal marketing, da un prodotto che deve essere realizzato secondo uno standard di gusto e di vendibilità e poi lo realizza, non utilizza un artista, utilizza del materiale, dei campioni musicali, della gente che li sa assemblare, un ragazzino preso da qualche quartiere con la voglia di affermarsi e pronto a piegarsi alle regole che gli vengono imposte. I cantautori viceversa non vengono più intercettati dal mercato, perché al mercato non interessa intercettare nulla. Il mercato crea ciò di cui ha bisogno, non ha bisogno di andare a cercare il buon artigiano della pelle e del cuoio. Decide che una borsa fatta con una cerata e un graffio va di moda e vende quella. Il mercato produce i suoi stessi prodotti, il cantautore, ma in generale l’artista, il poeta, il musicista sincero produce arte che può anche non incontrare mai il mercato.

Diciamo che la produce da artigiano, dove arrivano le sue gambe. La figura del cantautore mantiene comunque il suo valore, continua ad essere un artista, o artigiano che dir si voglia, che produce musica e parole, dotato di una visione e diciamo di una poetica. Questo è quello che differenzia un cantautore da un bravo autore. Il Cantautore non scrive solo delle canzoni belle o brutte, ma vive sulla sua pelle determinati contenuti che so il viaggio, gli emarginati, l’impegno civile ecc, anche se quest’ ultimo non sempre, si pensi a Conte, Fossati o altri. Quindi il cantautore è ciò che è sempre stato, solo che mentre prima era lo specchio di un cambiamento importante, che esprimeva un’appartenenza sociale, oggi le appartenenze sono del mercato vende che vende solo quello che va e va bene. Ma il cantautore c’ è sempre e ha un suo peso, se riesce ad essere fedele a sé stesso.

Ci sono musicisti, per lo più figli di scuole consolidate e affermate (il primo a venirmi in mente è   “Cheope” alias Alfredo Rapetti, al secolo figlio di Mogol ) che si fregiano di scrivere in tre quattro minuti a velocità industriale. Cosa ne pensi?

E’ assolutamente possibile, si può scrivere con tecnica, mestiere e molto cinismo, anche se questo è ovviamente deprecabile, il tessuto di una canzone è in fondo elementare e puoi sostituire il sarto con la macchina da cucire, anche se poi anche il sarto può farla in quattro minuti, perché il tessuto sartoriale, o gli ingredienti alchemici di cui prima, sono gli stessi, a me, come ad altri colleghi io credo che sia capitato di scrivere almeno una volta una canzone in un tempo simile. Ma non è questa la mia priorità, come anche di molti altri credo e mi auguro.

Un esempio?

“ La saggezza“  e torno a fare riferimento al mio CD “C’era un sogno per cappello” l’ho scritta un quattro minuti,  cazzeggiando su due o tre cambi di un brano di  Bossa Nova che avevo visto eseguire da un musicista che non ricordo, l’ ho steccato più volte, (perché gli accordi di Bossa Nova veri non sono proprio semplici) ma da quegli errori una volta datogli un nome come accordi mi ha richiamato nel suo giochino di note  delle parole e da lì  è nata la canzone che poi ho inciso. Con un esplicito riferimento ad Erasmo da Rotterdam’

In che senso?

Nel senso che con quel brano anziché fare l’elogio della follia caro ad Erasmo, ho fatto l’anti elogio della saggezza, cioè scrivo una canzone che volutamente si contrappone ai valori della saggezza. Sin da bambini ci dicono:” Non correre che cadi e ti rompi la testa”, si però -aggiungo- prima di rompermela mi sono divertito, e non è detto che divertendomi debba sempre matematicamente rompermela, come il mondo degli adulti e quindi dei saggi o presunti tali, vorrebbero.  Io credo che anche gli errori vadano a volte materializzati e quindi vissuti e commessi. Sennò non li capisci. Il compito di un cantautore è anche quello di teatralizzare e materializzarsi nell’ errore. 

Se scrivo una canzone su uno stronzo, che poi scopro che è un serial killer, chi mi ascolta, attraverso la mia, ascolta inevitabilmente la sua voce.  Il mio compito, da cantautore è di raccontare i “come” che l’hanno indotto a diventare così e quindi il motivo, per lui “etico” dell’essere stato uno stronzo ed un Serial Killer. Va da sé che poi il giudizio morale sulla sua figura, depravata e malata, è assolutamente negativo, ma a questo ci arriva l’ascoltatore. Perché la canzone non deve necessariamente raccontare la parte autenticamente morale. Ma porre dei dubbi, anche su ciò che la morale e la saggezza, non di rado piene di pretese e prive di riguardi ci impongono. Insomma, bene che ci sia la saggezza, ma non ha sempre ragione.

Alberto Cantone “la Saggezza” (https://youtu.be/3Z8xPbNkdaE)

Tu hai collaborato anche con molti celebri cantautori, tra cui Claudio Lolli. Cosa ricordi di lui?

Ti dirò che di lui ricordo la sua squisita gentilezza umana, abbinata però ad una grande sofferenza, al suo essere un uomo sconfitto, soprattutto   in quelli che erano stati i sogni della sua generazione, io l’ho conosciuto quando gli organizzai nel ‘98 il Concerto del 1° Maggio al Teatro Aurora, qui a Treviso e passammo una giornata insieme, con il nostro manager Flavio Carretta e il chitarrista di Claudio, Paolo Capodacqua. Da allora diventammo amici. Abbiamo suonato insieme tante volte in giro, Sulmona, a Milano, in Salento ecc. Con noi il nostro manager Flavio Carretta abbinava nomi come Goran Kuzminac, Ivan Della Mea, Max Manfredi (no lui veramente è arrivato dopo), i Gang e altri.

Il più bel ricordo in assoluto di Claudio è quando mi telefonò nel 2007, per chiedermi di potere fare una parte nel disco che stavo preparando. Tieni conto che per me era il secondo disco ed ero rispetto a lui, un debuttante. Fu un grande onore avere la sua voce nel brano “La mia città”, anch’essa inclusa nell’ album: “C‘era un sogno per cappello”. Non ti nascondo che poi trovai un po’ di difficoltà nello scegliere il brano in cui farlo intervenire, perché già a quel tempo Claudio aveva una voce molto, molto, dilatata e io volevo invece un disco dalle atmosfere più ritmate, rispetto al precedente. Qualcuno diceva in modo un po’ dispregiativo che ormai non cantasse più, ma recitasse. Allora pensai che io avessi scritto un brano su una città probabilmente un po’ xenofoba, forse anche un po’ razzista, probabilmente piuttosto arricchita, e anche un po’ ipocrita e bacchettona, dove si trova anche un Castello d’ Amore… Inutile dire che il pezzo mi ha portato ad essere malvisto ed emarginato da molti miei concittadini per diversi anni…

Per tonare a Claudio in questo brano abbiamo unito la voce di due generazioni, con l’effetto che Claudio esce nel disco con la sua voce garbata e un po’ trascinata, che ha reso molto bene ciò che volevo dire di Treviso. Incluso il fatto che è “Una puttana di talento”, e proprio per questo sa farsi perdonare e finisci per tornare sempre tra le sue braccia.  Non posso che ringraziare Claudio per essere stato anche in questa performance non meno generoso ed intenso, da grande artista qual era.

Alberto Cantone e Claudio Lolli in: “ La mia Città” (https://youtu.be/yOe6P2X8yrk)

Tu qualche giorno fa hai presentato un brano che parla di un barbiere di Treviso…

Bah io penso di essere un affabulatore che sconfina nella canzone e questo brano che ha scritto Pier Luigi Tamborini, e che a lui è molto caro, narra la storia del barbiere Giovanni Mestriner, che probabilmente visse nella sua bottega i racconti che sentiva. Racconti di clienti non comuni, come gli ambasciatori, le potestà, i generali d’ armi e facevano i loro discorsi pensando tutto sommato di avere a che fare con un analfabeta che ascoltava, ma pensava a tagliare i capelli. E parlavano persino di segreti militari, convinti di non essere ascoltati.

In realtà Giovanni Mestriner, approfittando del suo ruolo di barbiere ha trascritto i loro discorsi in un complesso monumentale di carte, con cui ha riempito la sua casa di riviera Garibaldi. Attraverso le sue mani, le sue forbici e lame varie sono passati tra il ‘600 e 700 segreti si ogni tipo, che ci illuminano su parti della storia di Treviso, che non conosciamo. Storia segreta che venne scoperta quando, all’ indomani della sua morte, nella casa crollò un muro di carte che furono portate alla bell’ e meglio, nei sotterranei del Museo. Fino a quando scoperte cento anni fa e riordinate dall’ abate Bailo, contribuirono a ricostruire tutti gli elementi mancanti della storia di Treviso letta attraverso, come già detto gli uomini di potere.  La cui diffusione è dovuta circa venti anni fa a Sante Rosetto e a Giovanni Tamborini che hanno scritto per l’appunto il libro: “Il barbiere di Treviso” .

Veniamo al tuo prossimo album

È quasi pronto, l’uscita è prevista per Gennaio e oltre alle canzoni scritte con Giandomenico Mazzoccato e Giovanni Tamborini, raccoglierà una storia che parlerà di viaggi e civiltà perdute, raccontate da un angolatura apparentemente marginale. Il titolo: “L’Invettiva dalle città perdute” per ora mi fermerei qui, invitandovi ad ascoltare ancora nell’attesa il CD che lo precede, quello che parla del… Novecento, non so se hai presente…

(Amerigo con Giandomenico Mazzoccato)

Il  CD di Alberto Cantone che precede quello quello a breve in uscita

(Il Pittore milionario)

(Il  Regista  e il Mediano)

(La pantera)

Stefano Stringini
Docente di Lettere presso il Liceo G. Berto di Mogliano. Ha pubblicato alcuni libri di Poesie: “Emermesi” (Pescara, Tracce, 1986), “Breviari, Taccuini e Baedekers” ( Bologna, Andomeda, 1992), “Rimario d’ Oltremura” (Chieti, Noubs, 1997) e vinto qualche Premio, l’ ultimo è stato quello conferitogli dall’ “Istituto Italiano di Cultura di Napoli.” (2019) Ricercatore sonoro (rumori, parole e musica) è istruttore di Hata Yoga e tiene Workshop di scrittura creativa con i Tarocchi.

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